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Amar Kanwar e Carolyn Christov Bakargiev

Dall’opera d’arte contemporanea uno spunto di riflessione sul futuro del mondo.

Ospite d’eccezione all’interno del fitto programma di Terra Madre. Salone del Gusto di Torino (22 – 26 settembre 2016) è Amar Kanwar (Nuova Dehli, 1964), uno dei film-maker contemporanei più attivi e impegnati, che dal 1990 ad oggi ha realizzato più di quaranta film, attuando un’attenta indagine sui diversi aspetti della società contemporanea, attraverso uno stile unico che sfida il limite del medium tra documentario, racconto di viaggio e poesia visiva.
Kanwar ha sempre dedicato il suo lavoro alla difesa dei diritti sociali e all’idea di resistenza contro le forze oppressive del potere, toccando temi quali il conflitto legato ai confini o alla religione, la violenza sociale o sessuale, lo sfruttamento economico dell’ambiente e l’oppressione, a partire da due eventi storici che scossero l’India: il 31 ottobre 1984, il Primo Ministro indiano Indira Gandhi venne assassinato da due guardie del corpo Sikh e il 3 dicembre dello stesso anno una nube di gas tossico, fuoriuscita dagli stabilimenti della Union Carbide, a Bhopal, causò migliaia di vittime e l’irreversibile inquinamento del territorio.

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the scene of crime 2011 courtesy castello di Rivoli

Amar Kanwar è intervenuto nella conversazione Il rapporto con la terra attraverso l’arte contemporanea con Carolyn Christov Bakargiev, Direttore della GAM di Torino e del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, all’interno della suggestiva cornice del Teatro Carignano, presentando anche il suo film The Scene of Crime, 2011 – visibile presso il Teatro del Castello di Rivoli, in orario di visita del museo, fino al 2 ottobre prossimo – nel quale è protagonista l’ingiustizia subita dalla comunità indiana della regione di Orissa, progressivamente costretta ad abbandonare il proprio territorio a causa del peggior sfruttamento industriale. Il film, proiettato per la prima volta in Italia, grazie al supporto degli Amici Sostenitori del Castello di Rivoli, è la parte centrale dell’imponente installazione intitolata The Sovereign Forest che, come una mappatura visiva del territorio, mostra il paesaggio prima della sua imminente conversione ad area industriale. L’intero progetto di Amar Kanwar è “un’opera d’arte vivente”, come l’ha definita Carolyn Christov Bakargiev, in continua evoluzione, costituita dal film citato, da 272 varietà di riso e da 3 grandi libri rilegati a mano – The Counting Sisters and Other Stories (2011), The Prediction (1991-2012) e The Constitution (2012) – ciascuno con un racconto proiettato sulle pagine. Sono favole locali, storie di carcere, “prove del crimine” (come una rete da pesca, un indumento di stoffa, semi di riso, giornali inseriti nella carta), elementi che permettono di capire le vite personali che esistono all’interno di questo paesaggio naturale.
Il messaggio intrigante e costruttivo che è emerso in conferenza è stato proprio quello di riflettere con consapevolezza sulle negatività sociali, politiche, ambientali, culturali, di analizzare tutte le prove possibili, passarle al vaglio della legge e di comprendere così la perdita insita nel crimine perpetrato e, di conseguenza, il significato dello stesso. Per la popolazione di Orissa, la devastazione dell’ambiente naturale è l’addio all’unica certezza della propria esistenza. Tuttavia l’idea di divulgare una tale tragedia porterà alla sua soluzione, grazie a quel senso di inadeguatezza che permette all’uomo di relazionarsi con ciò che non conosce. Tale progetto è una risposta creativa al desiderio di comprensione dell’uomo rispetto al crimine, alla politica, ai diritti umani, all’ecologia.
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“Il mio lavoro non si riferisce al lutto della perdita nella catastrofe, ma alla comprensione della perdita stessa attraverso un processo logico che induce a creare un’azione di giustizia”, afferma l’artista. “Sono ossessionato dal desiderio di voler creare e dire quello che sento, ovunque, e con chiunque mi accolga, perché ho l’impressione che se tale slancio è sostenuto dalla coerenza dei valori, anche gli insuccessi, i dubbi condurranno al successo”
Grazie al pensiero di Amar Kanwar è possibile cogliere con evidenza che spesso le riflessioni sul mondo e i suoi contrasti prendono avvio dall’arte.
Come ha fatto notare Carolyn Christov Bakargiev esistono nell’arte continui esempi di questa pratica.
Si ricorda Giuseppe Penone (Garessio, 1947), esponente dell’Arte Povera, che, imprimendo la sua impronta sulla corteccia di un albero con l’opera Continuerà a crescere tranne che in quel punto, nel 1968 invitò a riflettere sulla relazione Uomo-Natura.
Joseph Beuys (Krefeld, 1921 – Düsseldorf 1986), sensibile alle tematiche ecologiste, diede un contributo essenziale alla fondazione del movimento dei Verdi in Germania. Nel 1982, invitato a partecipare alla settima edizione di Documenta importante manifestazione culturale che si svolge ogni cinque anni nella cittadina tedesca di Kassel, egli ha realizzato una delle sue opere più suggestive: 7000 querce. Non si tratta di una scultura tradizionale ma di un grande triangolo posto davanti al Museo Federiciano e composto da 7000 pietre di basalto, ognuna delle quali “adottabile” da un potenziale acquirente. Il ricavato della vendita di ogni pietra servì, nel corso degli anni, a piantare una quercia.
Nel 2012 l’artista cinese Song Dong (Pechino, 1966), partecipando alla 13a edizione di Documenta curata dalla stessa Bakargiev, con l’opera Doing Nothing Garden, creò, con i rifiuti raccolti davanti al Palazzo Reale, un giardino contemplativo in cui furono piantati dei semi di broccolo.
Alla stessa edizione di Documenta fu invitata Amy Balkin (Baltimora, 1967), che, con il suo progetto Public Smog, avrebbe voluto creare uno spazio atmosferico di “aria pulita” che diventasse patrimonio mondiale dell’Unesco. Compilò numerose lettere per valutare con i vari governi nel mondo la possibilità di realizzare tale desiderio, ma non fu possibile.
Come Amar Kanwar ciascun artista è un soggetto “visionario” che in qualche modo profetizza il futuro grazie a quella sensibilità che gli è propria. Colui che tra gli artisti più contemporanei meglio incarna tale prerogativa è, secondo Carolyn Christov Bakargiev, l’inglese Ed Atkins (Oxford, 1982), che con il linguaggio digitale, attraverso l’utilizzo del video ad alta definizione, di testi e disegni, proietta il pubblico in una dimensione sospesa tra reale e virtuale che restituisce l’angoscia del presente.
Proprio questa sera alle 18.30 alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e alle 20 al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea inaugurerà la sorprendente retrospettiva dedicata all’artista, che sarà visitabile in entrambe le sedi fino al 29 gennaio 2017.
www.castellodirivoli.org
www.fsrr.org
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