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Statua di Ovidio a Sulmona. Opera di Ettore Ferrari

Si potrebbe scrivere di tutto e di più sul grande poeta latino, Publio Ovidio Nasone, ma anche no. 

Dipende dal punto di partenza. Se vogliamo solo omaggiarlo, visto che ricorre il bimillenario della sua morte, allora possiamo affiancarci a tutte le istituzioni che nel corso dell’anno lo commemoreranno. Se, invece, vogliamo cercare di riproporlo in chiave moderna  – o semplicemente ricordarlo per essere stato un grande  “affabulatore” – allora diventa, nell’immaginario collettivo un “poeta – simbolo” del nuovo millennio.
Ovidio ha intrigato anche il grande Dante, che non tarda a posizionarlo nel Limbo (Inferno, IV 79 e ss)  insieme ai poeti Omero, Orazio e Lucano  e a tributargli gli onori che merita. Tra gli “spiriti magni”.  Tutta La Divina Commedia è piena di allusioni alle metamorfosi ovidiane e Ovidio, padre dei miti e mito egli stesso, diventa per Dante maestro di moltiplicazioni di senso e di contrapposizioni figurali, serbatoio di similitudini, immagini e riferimenti al mondo classico.  La sua abilità stilistica risulta contagiosa, soprattutto nelle “narrazioni delle trasformazioni” . Tutto muta in continuazione, anche lo stesso Dante – personaggio. E il problema dell’emulazione e dell’imitazione avviene sia a livello microtestuale che macrotestuale.  In un certo senso, le Metamorfosi di Ovidio suggeriscono l’impianto strutturale de La Divina Commedia e ne indicano la strategia narrativa dantesca di tutte e tre le cantiche.
Dunque, non parliamo di aria fritta!
L’importanza sostanziale del poeta latino nella letteratura è indiscussa. Esploratore dell’uomo e della storia, dell’amore e dell’eros, del fuoco passionale e della leggerezza quasi ancestrale della purezza. Con la sua potenza espressiva spiazza gli amanti del linguaggio forbito e i fautori dell’elegia e della scrittura. Ovidio sceglie uno stile espressivo “rilassato e aperto”, facile ma spesso contraddittorio. 
Scrivere di lui e su di lui è quasi inutile, perché ognuno coglie l’aspetto che maggiormente lo seduce, interpretandolo e invertendolo.  Non si può fare a meno di “innamorarsi” della sua arte, audace ed acuta, simbolica e metaforica. La sua profonda conoscenza dei generi narrativi, suggerisce un percorso ricco e variegato di scrittura, che spazia dall’elegia all’epica, dalla precettistica alla fabula e al racconto. Le Metamorfosi e il trittico dedicato all’eros dell’Ars amatoria  sono – forse –  l’espressione più piena della inesauribile vitalità della sua arte. 
Poeta alla moda dell’età augustea, contrastato o ben voluto, Ovidio sa che la sua fama andrà oltre il tempo “perque omnia saecula  (…) vivam” (Metamorfosi, XV, 878-879).  E’ quasi sicuro. Insolenza? No. Profezia che si auto-avvera. Perché parla e presenta il mito così com’è: umanizzandolo e divinizzandolo allo stesso tempo. Gli déi e gli eroi ovidiani sono lì per alimentare l’immaginazione del poeta, che li conduce verso la loro unica via d’uscita: il riscatto. Il verso diventa così espressione dello spirito, abile, incantevole, musicale.  Per questo tutte le sue opere sono proiettate verso un’epoca spaziale indistinta, senza confini fisici, geografici o politici.
Ovidio è un  artista dinamico, versatile e soprattutto “moderno”. E’ un poeta contento di raccontare e trasmettere emozioni.  La sua costante gioia di scrivere, di raccontare in maniera morbida e sinuosa la “meraviglia delle mutazioni” si avverte in ogni parola, in ogni verso, in ogni forma, in ogni espressione sonora, in ogni enfasi.  Arte inimitabile la sua, ma anche flessibile, spontanea e accattivante.
Ricordarlo è un dovere, perché ha arricchito e continua ad arricchire il nostro patrimonio culturale e umano. E poi, Ovidio sa capire la donna e interpretare la spensieratezza amorosa dei giovani  meglio dei nostri grandi autori di fiction
Maria Giovanna Iannizzi

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