In un momento in cui una parte dell’opinione pubblica torinese percepisce la città come ripiegata sul proprio passato industriale, priva di visione e poco incline a immaginarsi protagonista nello scenario globale, alcuni segnali di controtendenza provengono dai musei civici e statali, a dimostrazione della concreta possibilità di una Torino che torna a operare su scala mondiale, con metodo, autorevolezza e continuità. È in atto, infatti, una trasformazione silenziosa ma tangibile, guidata da istituzioni che, pur tra vincoli strutturali e risorse limitate, stanno costruendo con pazienza una rete di relazioni culturali sempre più ampia, in particolare con l’Asia orientale.

Nella primavera del 2025, due importanti mostre realizzate da istituzioni museali torinesi sono approdate in Cina, segnando un momento decisivo per l’apertura verso l’estero del comparto culturale cittadino. A Suzhou, il Museum of Wu ospita “Horses. Symbols of Millenary Power from the Mediterranean to Jiangnan, un progetto nato dalla collaborazione tra l’Istituto Italiano di Cultura di Shanghai, la Fondazione Torino Musei e il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino. A Shenzhen, invece, il Nanshan Museum presenta “Steel of Glory”, esposizione curata dai Musei Reali e dedicata alla storia della fanteria europea.

Entrambe le iniziative non solo confermano una rinnovata volontà di confronto con realtà culturali internazionali, ma esprimono una strategia curatoriale matura, fondata sulla co-progettazione, sul dialogo tra istituzioni e sulla consapevolezza che la diplomazia culturale non sia un orizzonte accessorio, ma una traiettoria necessaria per il rilancio della città.

Abbiamo incontrato Giovanni Carlo Federico Villa, direttore di Palazzo Madama, coinvolto direttamente nella mostra di Suzhou, per ricostruire il percorso del progetto e riflettere su cosa significhi, oggi, per una città come Torino confrontarsi alla pari con le grandi istituzioni culturali cinesi.

Giovanni Carlo Federico Villa

Direttore, da dove nasce l’idea della mostra “Horses”?

La Fondazione Torino Musei ha sviluppato un piano strategico pluriennale in cui l’apertura internazionale è uno degli assi fondamentali. Proprio in quest’ottica è stato creato un ufficio dedicato” — una rarità tra i musei civici italiani — “guidato dalla Dott.ssa Angela Benotto, che negli anni ha costruito una rete di relazioni con istituzioni culturali estere”.

Con la Cina si è voluto andare oltre la semplice esportazione di mostre “preconfezionate”, scegliendo invece la strada del dialogo progettuale.

“Tra i vari contatti è nato quello con uno dei grandi musei di Suzhou. L’idea è stata quella di costruire esposizioni che esplorassero i rapporti tra Oriente e Occidente lungo la Via della Seta, adottando un approccio cronologico ampio. Palazzo Madama, con la sua importante collezione di arti applicate, offre una base ideale per sviluppare confronti culturali su scala globale”.

È stato, così, individuato un tema forte e trasversale: il rapporto tra l’Uomo e il cavallo, presente in modo significativo tanto nella civiltà mediterranea quanto in quella delle sponde del Fiume Azzurro. Il cavallo come simbolo, strumento, compagno — un soggetto che ha permesso di costruire un racconto parallelo tra le due culture.

Ma la mostra è frutto di un lavoro corale: “Abbiamo chiesto un ulteriore aiuto ai Musei Reali, in particolare al Museo di Antichità con le sue collezioni archeologiche, per completare il quadro cronologico e rafforzare la coerenza del confronto tra due civiltà, quella cinese e quella europea, che in questa mostra sono unite da dialoghi plurimi e grandi linee del tempo”.

Quindi, Palazzo Madama è stato l’iniziatore di questo progetto?

Nel caso di questa mostra, il progetto di curatela nasce con Palazzo Madama e poi è stato condiviso e portato avanti in sinergia con altri partner”, spiega. Tra questi, figura l’Istituto Italiano di Cultura di Shanghai, diretto dal Professor Francesco D’Arelli, e il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino. Il loro contributo ha permesso di affrontare il tema del rapporto tra Uomo e cavallo con uno sguardo ampio e multidisciplinare.

La collaborazione ha coinvolto anche altri soggetti del sistema museale cittadino. Villa sottolinea un principio ormai consolidato nella pratica della Fondazione Torino Musei: “[…] come stiamo tentando di fare ormai da qualche anno, la volontà è stata quella di mettere in luce la straordinaria ricchezza dei musei civici di Torino. Quindi, non lavorare solipsisticamente come Palazzo Madama, ma di concerto con le altre due collezioni civiche di GAM e MAO”.

Museum of Wu

Che ruolo ha avuto il MAO in questi rapporti?

Il coinvolgimento del MAO è, ovviamente, un coinvolgimento fisiologico”, chiarisce Villa. “Il Museo d’Arte Orientale ha, tra le sue caratteristiche, quella precipua di rappresentare le collezioni extraeuropee dei musei civici”.

Un’identità che affonda le sue radici nella stessa evoluzione del sistema museale torinese: “Palazzo Madama conserva ancora le collezioni precolombiane e africane. Ma nel 2008 si è deciso di costituire il MAO, in qualche modo come un fil rouge che potesse unificare e valorizzare l’intero patrimonio di arte extraeuropea”.

In questa prospettiva, i rapporti costruiti dal MAO nel tempo con istituzioni asiatiche si sono rivelati una risorsa preziosa anche per il progetto “Horses” e, più in generale, per l’ampliamento del dialogo culturale con il contesto asiatico.

A questo proposito, a parer suo, quanto conta oggi il confronto diretto con i contesti museali cinesi?

La Cina ha conosciuto un’evoluzione straordinaria in ambito museale negli ultimi decenni: oggi è uno dei Paesi di riferimento per proposta espositiva, curatela e riflessione sul proprio patrimonio”. Villa non ha dubbi sull’importanza del dialogo: “Ci è parso fondamentale avviare un confronto con una delle realtà più all’avanguardia al mondo”.

Un confronto, precisa, che nasce dalla stessa natura delle collezioni torinesi: “Palazzo Madama, con le sue raccolte, rappresenta non solo i musei civici della città e l’eredità europea, ma custodisce anche collezioni che ci permettono di dialogare con contesti globali”.

Il mondo museale cinese, osserva Villa, ha oggi caratteristiche di assoluto rilievo: “Sono musei attenti alla sostenibilità, capaci di andare oltre la semplice valorizzazione delle proprie collezioni per costruire, invece, progetti di dialogo e confronto. È un approccio che recupera in chiave contemporanea lo spirito più autentico della Via della Seta: l’incontro tra Oriente e Occidente”.

Un modello di lavoro da cui, racconta, sono già nate nuove prospettive: “Questa prima esperienza ha aperto la strada a nuove progettualità che vedranno Palazzo Madama protagonista in Cina nel triennio 2025 – 2027, grazie a collaborazioni con musei provinciali e statali che già erano in cantiere e che hanno ricevuto un’accelerazione decisiva”.

Ce ne può parlare in modo più approfondito?

Sì, ci sono diversi progetti in cantiere. A luglio, porteremo nella provincia del Guangdong una grande mostra dedicata alla vita di corte, che racconterà la quotidianità nella corte sabauda tra Sei e Settecento, attraverso collezioni di Palazzo Madama e delle altre residenze reali. Inoltre, stiamo lavorando a un’operazione con il Museo di Nanchino che metterà a confronto la dinastia Ming e la dinastia Savoia, per far emergere come il contatto artistico, commerciale e culturale tra queste realtà non si sia mai interrotto, rappresentando un filo continuo nella Storia. La mostra “Horses” continuerà il suo viaggio, trasformandosi in ogni nuova tappa. Finora abbiamo collaborato con Suzhou, nel triangolo economico di Shanghai-Suzhou-Hangzhou, ma stiamo progettando iniziative anche con i musei del nord della Cina, in particolare in vista del prossimo anno del Cavallo, che si lega perfettamente al tema della mostra”.

Ci sono anche ipotesi concrete per portare collezioni cinesi a Torino attraverso Palazzo Madama?

Sì, proprio con il Museo di Nanchino stiamo lavorando a un’importante mostra da aprire a Torino il prossimo anno, dedicata alla dinastia Ming. I Ming, sebbene noti in Italia, sono ancora poco conosciuti nella loro profondità storica e culturale. Si tratterebbe di presentare questa dinastia per la prima volta nel nostro Paese, mettendola in dialogo con la nostra esperienza storica. L’obiettivo è ricostruire un tessuto di relazioni attraverso una serie di eventi collaterali che valorizzino il percorso di scambio e conoscenza che stiamo portando avanti”.

Le collaborazioni con i musei cinesi non sono semplici eventi espositivi, ma testimonianze di un cambio di paradigma nel modo in cui Torino e le sue istituzioni culturali si misurano con il mondo. Non si tratta di utilizzare la cultura come soft power, ma di tessere una rete di relazioni che ripensi i confini stessi dell’identità museale: da semplici custodi di opere a veri e propri luoghi di dialogo culturale e costruzione di conoscenza condivisa. Oggi, la funzione museale si evolve in un ruolo attivo di mediazione tra culture, tempi e geografie diverse, con l’obiettivo di generare nuovi significati e riflessioni. In Cina, la Storia non è mai solo Passato: è un fondamento vivente, una risorsa attiva nel presente. Il museo, in questa prospettiva, non è solo custode di memorie, ma laboratorio politico e culturale, spazio in cui si costruisce il racconto identitario e si negoziano le relazioni con l’Altro. Il fatto che le istituzioni civiche torinesi, si inseriscano oggi in questo campo con progetti condivisi — non calati dall’alto, ma costruiti in ascolto — segnala una consapevolezza crescente: che l’autorevolezza culturale si gioca non più sul primato, ma sulla reciprocità. È in questo intreccio tra memoria e innovazione che Torino può rilanciare il proprio ruolo nel mondo, andando oltre stereotipi e nostalgie per scrivere nuove pagine di apertura e scambio. Un compito lento, ma necessario, che passa anche dalla capacità di leggere la Cina non come un altrove esotico, ma come un interlocutore complesso e centrale del contemporaneo.

Jessica Matarrese