Architetto di formazione, scrittore per vocazione, Gianni Biondillo è una figura atipica nel panorama culturale italiano. Conosciuto per i suoi romanzi ambientati a Milano, i saggi sul paesaggio urbano e gli interventi pubblici su città e architettura, da anni costruisce un ponte tra la cultura tecnica e letteraria. In questa intervista, riflettiamo con lui sul ruolo dell’architettura nella società, sulla scrittura come strumento di esplorazione urbana e, su cosa accade a Milano. Nel libro non poteva mancare Torino, i suoi edifici e i retroscena che ne costituiscano la storia.

A cosa deve l’aver scelto l’architettura come campo di interesse e di lavoro?
Le scelte che si fanno da ragazzi restano, da adulti, incomprensibili. In gioventù volevo scrivere e invece ho studiato in un istituto tecnico per poi iscrivermi ad Architettura, al Politecnico di Milano. Ho lavorato come architetto per anni, e tecnicamente lo sono ancora: pago l’Ordine, la Cassa, faccio i crediti formativi (l’architettura è come l’alcolismo, non se ne esce, al massimo si controlla). Ma la scrittura ha poi preso il sopravvento. Il trucco è stato mettere insieme le passioni. Scrivere, da narratore di città.
Nel suo ultimo libro “La costruzione del potere” per Marsilio, lei esplora come l’architettura sia sempre stata strumento di potere, non solo espressione estetica. In che modo oggi il potere continua a costruirsi – o a nascondersi – nello spazio urbano?
E’ la disciplina più “compromessa” non solo con il potere ma con la società. Possiamo, ipoteticamente, vivere senza un libro o senza aver mai visto un dipinto, ma non possiamo vivere senza una casa. Sapere dove tende il pendolo dell’etica del progettista fa capire la sua rettitudine sociale. Ma questo è un fatto politico, sociale appunto, non estetico. Sono esistiti artisti meravigliosi che furono anche uomini orribili. Non si può mai semplificare in modo manicheo. Il “potere” si è sempre mostrato e continua a farlo anche oggi. Spesso utilizzando grandi talenti, spesso pessimi professionisti. Sta a noi decrittare, scegliere, controproporre.
Secondo lei si pontifica solo o il ponte per la Sicilia si farà?
Il ponte più progettato dall’Unità d’Italia è una classica arma di distrazione di massa. Non sono contro e non sono pro. Perché il discorso in sé sarebbe semplicemente insensato, se non fosse, nei fatti, una grande mangiatoia (soldi, distribuzione di prebende, consolidamento di poteri, lobby, etc.) del potente di turno. Prima modernizziamo le infrastrutture della Calabria e della Sicilia, poi (forse) se ne può parlare.
Qual è, secondo lei, l’aspetto più frainteso del paesaggio italiano contemporaneo?
Innanzitutto chiediamoci qual è il paesaggio italiano: il Cervino, le Dolomiti, le Cinque terre, Capri, Sorrento? Quelle sono cartoline. Il paesaggio è una cosa più complessa. Spesso deludente (capannoni abbandonati, autostrade, campi di pannelli solari, periferie anomiche, cumuli di macerie, aree esauste). Per quanto ci deluda dobbiamo renderci conto che è il risultato della nostra azione (economica, politica, ecc.) sul territorio. Se non ci piace è perché non ci piacciamo noi ma non osiamo dirlo. E allora ci rifugiamo nelle cartoline.

Quale edificio sceglierebbe come maggiormente rappresentativo per Torino, e perché ?
Domanda impossibile. Ma mi torna utile il tema del mio saggio, che restringe di molto il campo. Non citerò quindi nulla di Guarino Guarini, ma sicuramente direi il Grattacielo Reale Mutua, ex Torre Littoria. Il perché della scelta si trova leggendo il libro.
C’è un nesso tra l’esposizione Inequalities, da poco inaugurata alla Triennale di Milano, focalizzata sulle diseguaglianze e la città, con in aggiunta, la saga del “Salva Milano” tanto auspicato dal Comune prima, per finire a fare capriole all’indietro per obbligo di legge dopo ?
Milano è l’espressione plastica di una sconfitta. Agli inizi del millennio aveva l’illusione di trasformarsi in una città seduttiva, esclusiva, attrattiva. Ce l’ha fatta, in effetti. Ma a quale prezzo? Quello di essere escludente e classista. Molto si è costruito: tante cose belle, cool, contemporanee, iconiche. Molta fuffa anche, molta edilizia di facciata. Ma, al di là della questione estetica, s’è costruito per chi poteva permetterselo. Oggi paghiamo il conto di questa privatizzazione della città.
Nella foto in testa l’autore con alle spalle la sede della Montecatini di Gio Ponti a Milano.

Walter Roveroni.
Mostra dei materiali autarchici per edilizia.
manifesto propagandistico ca 1939 – ca 1939