L’arte è patrimonio collettivo o bene esclusivo? La sua tutela è un dovere pubblico o un atto privato? Questi interrogativi, così profondi e urgenti, si pongono con forza ne “La Collezionista”, lo spettacolo diretto da Marco Lorenzi che ha debuttato dal 5 all’8 febbraio 2025 a Torino, all’interno della stagione di Fertili Terreni Teatro. La pièce si fa carico di una riflessione tanto necessaria quanto provocatoria sul valore dell’arte, il ruolo dei collezionisti e il conflitto tra le generazioni, in un’epoca sempre più segnata dal divario tra mercato e conservazione.

Ambientato in un palazzo veneziano trasformato in museo di arte contemporanea, dove le opere sono nascoste per motivi di sicurezza, “La Collezionista” interroga il pubblico su temi cruciali: l’arte deve essere accessibile a tutti o preservata ad ogni costo? Il collezionismo è una forma di mecenatismo o un’appropriazione della cultura? Dove si colloca il confine tra tutela e speculazione?

Abbiamo discusso di questi temi con Magdalena Barile, sceneggiatrice dello spettacolo, e Barbara Mazzi, attrice, per esplorare il cuore di uno spettacolo che non si limita a raccontare, ma scuote e provoca.

Un’idea che nasce da Peggy Guggenheim, ma guarda al presente

Magdalena Barile spiega come la genesi del progetto sia partita da un’idea di Ida Marinelli, che interpreta la figura della protagonista. L’ispirazione iniziale è nata dalla vita di Peggy Guggenheim, celebre collezionista e mecenate, che dopo la Seconda guerra mondiale ha trasferito la sua collezione a Venezia, creando una delle case museo più famose del mondo. Tuttavia, la sceneggiatrice si è spinta oltre la biografia del personaggio storico, raccontando attraverso una collezionista fittizia l’evoluzione del mondo dell’arte:

Magdalena Barile

La biografia di Peggy Guggenheim era, sì un materiale molto interessante per uno spettacolo, ma ancora più interessante era provare a raccontare attraverso la figura di una collezionista oggi, lo stato dell’arte. Da appassionata di arte e frequentatrice di musei e mostre, ho intrapreso con slancio l’idea di scrivere un testo teatrale che raccontasse, attraverso le vicende di alcuni personaggi fittizi, che cosa fosse cambiato, dall’epoca dei grandi maestri del ‘900 a oggi, nella percezione e nella produzione delle opere d’arte per il grande pubblico”.

Il museo vuoto: metafora di un’arte in crisi

Uno degli elementi più potenti dello spettacolo è la sua ambientazione: un museo svuotato delle sue opere, rese invisibili per motivi di sicurezza. Una metafora che Barile approfondisce così:

Quella di un museo vuoto, sotto assedio, sulle rive di un canale della città lagunare più famosa del mondo è stata la prima immagine per la creazione di questo lavoro. Questo vuoto potrebbe inizialmente preludere a una fine e, in parte, è così. Il museo vuoto racconta la fine di una concezione del fare arte davanti all’insorgere di nuove epocali istanze che non possono non capovolgere le forme e i luoghi della rappresentazione. Le crisi di oggi, l’esaurirsi delle risorse, il divario fra i ricchi e i poveri, le paure e gli incubi di un pianeta post-pandemia richiamano gli artisti e le artiste a nuove assunzioni collettive di responsabilità che vanno in una direzione di attivismo e cooperazione”.

Lo scontro generazionale e il conflitto tra arte e mercato

L’elemento centrale della trama è il conflitto generazionale: da un lato, una collezionista legata al passato; dall’altro, una nuova generazione di artisti che lotta per un’arte più accessibile, che non rimanga appannaggio di pochi. Barbara Mazzi, che interpreta il personaggio della giovane artista, approfondisce il significato di questo conflitto:

Barbara Mazzi

Lo scontro generazionale è presente in tutti i campi: famiglia, politica, professione. In questo spettacolo è presente nel campo artistico, ma ovviamente non solo: è metafora di uno scontro anche tra madre e figlia. La giovane artista ha staccato i rapporti con la madre e si ritrova di fronte ad una figura femminile più adulta che potrebbe apprezzarla oppure no, si ricrea metaforicamente lo stesso rapporto madre-figlia, figura di autorità contro figura che non ce l’ha. Quindi, in un certo senso, lo scontro generazionale è uno scontro di potere. In questo caso, nel campo artistico, la figura di autorità potrebbe decretare o meno il successo della giovane figura artistica. Quando la curiosità, la cura, l’attenzione, l’ascolto, mancano e non avviene un naturale e organico passaggio generazionale è inevitabile che questo avvenga in modo aggressivo. La giovane artista, performer e attivista, ha necessità di sbocciare, di emergere e di affermarsi; in mancanza di spazio e ascolto utilizza elementi più aggressivi e violenti, fino all’autodistruzione.

L’arte è di chi la acquista o di chi la vive?

Nel contesto di un’arte sempre più legata al mercato, “La Collezionista” solleva una domanda cruciale: chi ha davvero il diritto di possedere l’arte? È una riflessione che ha bisogno di essere affrontata con urgenza.

I collezionisti che custodiscono ‘la bellezza’ e i loro rapporti con le istituzioni pubbliche e private è un territorio di indagine. La sensazione è che ci sia una distanza sempre maggiore fra il patrimonio artistico e le persone, e che ci sia bisogno di nuovi progetti che, non solo diffondono l’arte, ma che reinventino il modo di raccontarla per non farla rimanere appannaggio di pochi”, sottolinea Barile. “La cultura di alto livello, e non qualcosa che sembri cultura, dovrebbe appartenere a tutti e dovremmo fare in modo che sia così”, specifica Mazzi.

Il mercato dell’arte sta cambiando, ma non solo. L’arte stessa deve affrontare nuove sfide, sia nell’accessibilità che nella sua capacità di adattarsi ai tempi moderni senza banalizzarsi.

La figura della nostra collezionista è legata a una visione novecentesca, individualistica ed esausta del rapporto con l’arte contemporanea. Ma è proprio attraverso il cambio di prospettiva di un’epoca che finisce, che la nostra collezionista si trasforma e abbraccia una nuova visione che è meno legata all’opera in sé ma piuttosto a un’idea di adesione a un movimento più grande che rimette in discussione i motivi e le responsabilità della creazione. Le nuove generazioni si avvicinano all’arte in modi diversi dal passato e lo fanno attraverso il digitale e i canali social. La creazione stessa e la sua originalità, ancora una volta, sono rimesse in discussione oggi dalle intelligenze artificiali. I collezionisti di domani cosa collezioneranno?”, continua Barile.

La sceneggiatrice evidenzia, tuttavia, come lo spettacolo non si limiti a sollevare dubbi sul passato, ma guardi anche al presente e al futuro dell’arte:

L’idea che sta alla base dello spettacolo è proprio quella di portare lo spettatore a farsi domande che riguardano il ruolo dell’arte nelle nostre vite di oggi […] Conosciamo tutti le notizie che riportano quotazioni esasperate di opere d’arte dell’ultimo artista di moda e allo stesso tempo sappiamo che il patrimonio culturale di un Paese come l’Italia è in balia di politiche noncuranti e poco lungimiranti che sembrano non essere adeguate al suo grande valore. Ma non si può nemmeno solo guardare al passato: assistiamo a un momento di grandi cambiamenti dove è naturale che si cominci a mettere in discussione anche il nostro modo di consumare l’arte, di conservare e vendere arte: il turismo di massa per esempio ha un impatto molto negativo su alcuni settori della società. Se un grande passo deve essere fatto nel rispetto della sostenibilità e della salute del nostro pianeta, anche l’arte dovrà cambiare se stessa per rimanere necessaria”.

Il consumismo culturale di massa non è valorizzazione dell’arte, ma la sua riduzione a merce, dove il valore estetico e storico cede il passo alla logica del mercato e della spettacolarizzazione.

La responsabilità come artista.

A chiusura dell’intervista, abbiamo chiesto a Barbara Mazzi quali responsabilità sentisse come artista, considerando il contesto attuale dell’arte contemporanea in Italia:

È una missione, personalmente parlando. L’arte è sempre sotto attacco perché sottovalutata. Quando capiremo che invece permette l’attivazione delle coscienze, il miglioramento umano, forse le dedicheremo più spazio, tempo ed economie. Oppure lo abbiamo capito ed è per questo che la mettiamo alle strette, perché l’Arte può essere anche pericolosa, smuove gli animi e le menti. E quando si smuove qualcosa succede un piccolo cambiamento”.

Jessica Matarrese