Cattolici e Ortodossi una Pasqua di unità
Nel 2025, la Pasqua ortodossa e cattolica tornerà ad essere celebrate nello stesso giorno (20 aprile) per la prima volta dopo undici anni. È dunque un anno singolare perché nei due diversi calendari utilizzati da cattolici – che tra l’altro vivranno il Giubileo ordinario – e ortodossi, quello gregoriano e quello giuliano, ricorrerà nello stesso giorno, e dunque la sua celebrazione “sarà comune per tutti i cristiani”.
La Chiesa Cattolica e la maggior parte delle Chiese protestanti seguono il calendario gregoriano, introdotto da Papa Gregorio XIII nel 1582 per correggere l’imprecisione del calendario giuliano, che accumulava giorni rispetto all’anno solare. La Chiesa Ortodossa, invece, segue ancora il calendario giuliano, che risale a Giulio Cesare (45 a.C.).
Questo calendario è oggi in ritardo di 13 giorni rispetto a quello gregoriano. Il calcolo della data della Pasqua si basa su un criterio comune a entrambe le Chiese: la Pasqua si celebra la domenica successiva alla prima luna piena dopo l’equinozio di primavera. Tuttavia, le differenze tra i calendari, e anche nel modo in cui viene stabilita la data dell’equinozio e della luna piena ecclesiastica, fanno sì che la Pasqua cattolica e ortodossa non coincidano quasi mai. Il dialogo tra cattolici e ortodossi si rivela più complesso del previsto. Nonostante tutto, si è passati dalla diffidenza alla fiducia reciproca.
A che punto è oggi il dialogo tra cattolici e ortodossi? Quanto resta della notte della divisione tra Chiesa d’oriente e Chiesa d’occidente? La progressiva divaricazione, resa artatamente insanabile, tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente, è in corrispondenza biunivoca con le rispettive aspirazioni all’instaurazione di una teocrazia che, ovviamente, non poteva non assumere i connotati dell’universalità, e quindi dell’unicità e univocità cultuale.
Le circostanze che conducono, nel 1054, alla definitiva rottura tra le due Chiese, e le più o meno pretestuose divergenze dottrinali che ne costituiscono la motivazione ufficiale, trovano una loro genesi nel contrasto già profilatosi due secoli prima tra le due sedi, quando il patriarca Fozio, non riconosciuto dall’energico papa Niccolò I, che rivendicava l’anteriorità e primazia del potere spirituale su quello temporale a fronte della subordinazione pretesa dai discendenti di Carlo Magno (nell’824 era stata emessa la Constitutio Romana, che obbligava il papa a giurare fedeltà all’imperatore prima di essere consacrato), commina una scomunica al papa a motivo della formula del Credo adottata da Roma, che faceva discendere lo Spirito non solo dal Padre, secondo il dettato conciliare niceno (emerso dal concilio del 325), ma dal Padre e dal Figlio (di qui il riferimento al motivo del contendere come alla “disputa del Filioque”).
Fozio era intenzionato a rovesciare i rapporti di forza tra l’impero cesaropapista e il patriarcato. Per questo viene deposto, nell’870. Certo, molti sono i cristiani e le Chiese impegnati nel cammino verso l’unità voluta dal Signore, ma il dialogo tra la Chiesa di Roma e le Chiese ortodosse, reso possibile dalla cancellazione degli anatemi del 1054 alla chiusura del concilio, è quello che aveva ridestato più speranze. Speranze ravvivate dall’incontro tra il patriarca di Costantinopoli Bartholomeos e papa Francesco a Gerusalemme (25 maggio 2014) per commemorare lo storico incontro tra Athenagoras e papa Paolo VI (6 gennaio 1964), avvenuto all’insegna del perdono, «segno e preludio delle cose a venire». Guardare al cammino percorso significa anche operare un discernimento sul presente, l’esercizio del riconoscimento di un kairòs in cui il Signore visita la sua Chiesa.
In questi ultimi anni siamo testimoni di eventi che se, da un lato, appaiono indicare un futuro percorribile al cammino dell’unità, dall’altro, segnalano una crisi profonda che sembra rendere vani gli sforzi compiuti. Il 2016 aveva visto succedersi alcuni eventi significativi nei rapporti cattolici-ortodossi: l’incontro all’aeroporto José Martì dell’Avana tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill (12 febbraio 2016); la celebrazione del Grande e santo Concilio Panortodosso nel giugno 2016 a Creta, nei giorni della Pentecoste ortodossa; l’approvazione da parte della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, riunitasi in plenaria a Chieti nel settembre 2016.
La ripresa del dialogo ha conosciuto però, se non un arresto (il comitato di coordinamento della Commissione teologica mista continua a riunirsi), uno stallo dopo il conferimento dell’autocefalia alla Chiesa ortodossa d’Ucraina da parte del Patriarcato di Costantinopoli. Come conseguenza Mosca ha rotto la comunione con Costantinopoli e si è ritirata da tutti i dialoghi teologici presieduti dal patriarcato ecumenico.
D’altra parte, la Chiesa ortodossa russa continua il dialogo e la collaborazione con la Chiesa cattolica. Come interpretare questi segni? Negli ultimi anni la guerra Russo-Ucraina il raffreddamento dei rapporti con Roma e le continue fibrillazioni all’interno del mondo ortodosso hanno di fatto segnato il passo al dialogo ecumenico. Tuttavia, nel 2025 la commemorazione dei 1700 anni del primo Concilio Ecumenico, quello di Nicea, “che, oltre a promulgare il Simbolo della fede, trattò anche il tema della data della Pasqua, a causa delle differenti tradizioni esistenti già a quel tempo” potrebbe essere l’occasione per una ripresa. Si tratta di un’“importante occasione”, da “non lasciar passare invano”, ha raccomandato alcuni mesi fa Francesco al Gruppo Pasqua Together 2025.
Luca Rolandi