11046374_970469846327058_5317579781184924226_o
Otto ore di performance, più di 60 musicisti che vagano per i quattro piani del Museo Egizio, migliaia di ascoltatori che si muovono cercando di seguire un paesaggio sonoro in continua trasformazione: molti l’hanno già raccontato, e i resoconti sono diversi uno dall’altro, perché nessuno, neppure l’autore, ha potuto seguire l’evento nella sua totalità.
Da musicista coinvolto nel progetto, proverò ad aggiungere un altro punto di vista.
Le prove
L’avventura comincia lunedì mattina, con il primo giorno di prove. Braxton fa un discorso introduttivo, ed inizia subito il lavoro con gli straordinari musicisti del suo gruppo: in particolare tocca a Taylor Ho Bynum e a James Fei illustrarci gli elementi del linguaggio. Si comincia con la Language Music, un sistema di improvvisazione collettiva in cui il direttore comunica con l’ensemble per mezzo di gesti e numeri. I numeri sono dodici e identificano gli elementi base della sintassi (ad esempio suoni lunghi, suoni con accento, staccato, legato, ecc.). La combinazione di questi elementi tra loro permette di ottenere una gamma vastissima di situazioni musicali. Si prosegue con le prove dei brani cameristici e orchestrali che verranno eseguiti in momenti e spazi prefissati durante il Sonic Genome. Sono scritti in modo tradizionale, con poco spazio per l’improvvisazione, e alcuni raggiungono un alto grado di complessità.

I musicisti che partecipano provengono dalle più diverse esperienze. Io sono uno dei pochi, o forse l’unico, di estrazione prettamente classica; conosciamo bene i dischi e i concerti di Braxton, tuttavia è evidente che siamo tutti proiettati in una situazione sconosciuta: cerchiamo così di sostenerci a vicenda, e iniziano le prime amicizie: bello il tuo strumento, dove suoni, dove vivi? Ma le situazioni inedite non sono finite: al pomeriggio si suona quello che sarà il motivo conduttore del Sonic Genome, la Ghost Trance Music, una serie di composizioni che Braxton ha sviluppato negli ultimi anni, dopo aver scoperto la musica che i nativi americani suonavano per attraversare la barriera che li separava dai loro antenati.
Nella versione di Braxton si tratta di canti senza inizio né fine, ipnotici, da suonare in gruppo, per collegare tra loro le altre composizioni o come punto di partenza per improvvisazioni. Non suoneremo mai tutti insieme lo stesso brano di Ghost Trance Music durante il Sonic Genome, ma alle prove lo facciamo, e il risultato è qualcosa di mai sentito che ci dà il colpo finale… andiamo alla conferenza stampa con giganteschi accordi che rimbalzano per il cervello.
Alla conferenza Braxton conquista con la sua simpatia e la sua mimica, anche se stende tutti parlando di vibrazioni olistiche trans-funzionali o qualcosa di simile. Ma quando alla fine andiamo a salutarlo è più diretto:
Musicisti, dobbiamo unirci e cambiare il mondo!
Il secondo giorno, martedì, continuiamo il lavoro musicale e iniziamo a interagire con la coreografa Rachel Bernsen, che inizia da semplici esercizi teatrali, per esempio vagare tutti insieme in una stanza relativamente piccola e quindi affollata.
Saremo dei performers: dobbiamo abituarci a incrociare gli sguardi senza nasconderci ma neppure scoppiare in risolini idioti. Sarà l’effetto della full immersion musicale, ma improvvisamente mi accorgo di essere circondato da decine di persone fino a ieri sconosciute, tutte belle e interessanti. In questo momento si è creato tra i partecipanti un forte spirito di gruppo, che crescerà con una rapidità insolita.
11401301_116112915388268_7389802313933077187_n
Ormai siamo dentro a qualcosa di molto speciale, e ciò è particolarmente chiaro dopo l’ultima prova della sera, in cui veniamo divisi in 12 sezioni indipendenti e proviamo musicalmente con i rispettivi leader che hanno il compito di dare una diversa personalità a ciascuno dei piccoli gruppi. Il capo della mia sezione è Jay Rozen, che oltre a suonare regolarmente con Braxton è un grande esperto di musica contemporanea: ci assegna altri brani per la performance, ampliando molto il nostro vocabolario di stili braxtoniani, e li lavora con precisione. La sezione si affiata immediatamente. Vado a casa leggero come una piuma; nonostante l’ora tarda devo raccontare tutto a mia moglie, e faccio la figura di un matto.
Mercoledì pomeriggio ripassiamo per l’ultima volta i brani orchestrali. Alla sera è prevista la prova generale al museo. Sappiamo che una prova generale deve rispecchiare il più fedelmente possibile lo spettacolo, anche se questa ovviamente durerà meno di otto ore. Ma ecco l’annuncio: stasera, al museo, non portate gli strumenti. L’ultima prova si riduce quindi a un vagare per prendere confidenza con gli spazi e provare un minimo di logistica. Il gruppo di Braxton dà altre istruzioni, ma la stanchezza ora si fa sentire e la mia comprensione dell’inglese entra in sciopero. A parte gli appuntamenti per suonare i brani in ensemble, cosa dovremo fare esattamente domani durante otto ore di concerto? Non lo sappiamo.
Il concerto
Il Sonic Genome esiste nel passato, nel presente e nel futuro. Non ha inizio, né fine. Detto questo, ci diamo ugualmente un appuntamento per le 17.00 di giovedì: le sezioni si riuniscono con i leader sul tetto del museo, ultimo briefing con Braxton che, nonostante il sole rovente, indossa il suo cappotto da inverno in Connecticut.
E’ ora di prendere posto sulla balconata del secondo piano, saremo tutti in una stessa stanza del museo solo all’inizio e alla fine. Alle 18.00 iniziamo con un suono pianissimo, fisso ma allo stesso tempo reso cangiante dal brulicare di armonici generati dall’unione dei diversi strumenti. Il tempo musicale non coincide mai con il tempo reale, e questo vale in particolare per gli esecutori; ce ne rendiamo conto quando ascoltiamo una registrazione di quello che abbiamo suonato. In questo caso il divario è massimo: le prime variazioni cominciano quando ci vengono dati i segnali di Language Music, dopo almeno venti minuti, ma io ne ho percepiti al massimo cinque.
Ora i gruppi più piccoli possono iniziare a staccarsi e sparpagliarsi per il museo. Questo avrebbe forse dovuto avvenire gradualmente, come un’espansione, ma così non è stato: la singolarità fuori dal tempo dell’inizio è scoppiata in un big bang sonoro. Quando la nostra sezione comincia a muoversi per il secondo piano, la pulsazione della Ghost Trance Music impazza già da ogni direzione. Mi sento pervaso dalla meraviglia, sono stato catapultato nel paese dei balocchi! Per un attimo provo il desiderio di mescolarmi al pubblico per contemplare questo universo appena formato, ma anche la mia sezione parte in quarta per insonorizzare quei pochi angoletti rimasti vuoti.
Alle 19.15 ci rechiamo al nostro primo appuntamento, per eseguire la Composition 100, uno dei brani più famosi di Creative Orchestra Music. A sorpresa, in contrasto con quanto prevedeva la scaletta, la dirige Braxton in persona. Ci stacchiamo nuovamente, dando fondo al repertorio: quando arriviamo in una sala in cui sta già suonando un gruppo, dobbiamo scegliere se unirci a loro, oppure fare qualcosa di diverso, oppure semplicemente ascoltare. Sono tutte scelte valide, che devono essere fatte responsabilmente. Braxton non si definisce un compositore jazz, ma da questa tradizione ha imparato l’importanza del singolo individuo. Arriviamo in una sala non molto grande, in cui la temperatura è già alta, vi stanno suonando due gruppi indipendenti. Senza bisogno di cenni d’intesa ci disponiamo in circolo e ne esce un’improvvisazione sfrenata e liberatoria.

Alle 20.35 siamo nella suggestiva Sala dei Re, per la composizione più difficile, la 169, che riesce ancora meglio che alle prove. Alle 21.10 nuovamente sulla balconata del secondo piano, per la Composition 27, un brano lungo, in molti punti estremamente rarefatto, cosa che permetteva a tratti di sentire la musica provenire dalle altre sale. Dirige Taylor Ho Bynum, che alla fine si inventa una conclusione a base di Language Music veramente riuscita. Finora abbiamo seguito il nostro leader come i pulcini la chioccia, ma ora la carica di vibrazioni del Sonic Genome è al massimo, e prendiamo il coraggio per staccarci e sperimentare nuove formazioni. Jay Rozen estrae un nuovo brano e mi propone un insolito duo, lui al basso tuba e io al clarinetto basso. Scoprirò più tardi di aver suonato la bellissima Composition 304, già immortalata in uno straordinario disco di duetti tra Braxton e Ho Bynum.
Verso mezzanotte, in un momento di relax, incontro Braxton sul tetto, mi dice:
Sono così contento… Dopo il primo minuto ho capito che sarebbe stata una grande serata! Come mi sto divertendo! Sono veramente un uomo fortunato!
– C’è un’atmosfera straordinaria. La tua musica unisce veramente le persone…
Faccio musica per unire le persone. Non c’è un altro motivo.
Alle 12.25 ultimo appuntamento orchestrale, con la Composition 306. Arriviamo con un po’ di anticipo nella Galleria dei Re, e ci sono già molti altri musicisti, in silenzio. Ho Bynum, che dovrà dirigere, sta facendo un solo di cornetta. Si unisce Ingrid Laubrock in duo. Naturalmente rimaniamo ad ascoltare. Ma non siamo più noi che suoniamo, è il Sonic Genome che suona noi. Senza il minimo cenno, improvvisamente il gruppo interviene in risposta ai due, creando un’atmosfera magica che il miglior compositore del mondo avrebbe problemi a ricreare. Parte la 306, e a sorpresa arrivano Braxton e James Fei che vi aggiungono i loro assoli. Dopo questa escalation, vaghiamo ancora per le sale, non più affollate come all’inizio. Se non c’è nessuno, suoniamo per le statue.
Come ogni visita al museo, anche la nostra finisce al book shop. Mentre la musica si dirada, ci riuniamo in un gruppo serrato, anche qualcuno del pubblico rimane intrappolato. Ora la musica si spegne, mentre il gruppo esplode nuovamente in tanti individui.
Il Sonic Genome non è finito.
Edmondo Tedesco

Visto che queste Cialis pillole genericosaopaulo.com se le possono andare a comprare in farmacia, anche lui ha decido di aprire una vetrina sul tadalafil marketplace: Quattro settimane mi sono bastate per capire di che cosa stiamo parlando.