Chi l’ha detto che i torinesi siano solo lavoro e dedizione, freddezza e rigore, concretezza e serietà, oltre che falsa cortesia?
Esistono mondi paralleli, meravigliosi e straordinari, per non dire stupefacenti, dove persino taluni torinesi si tuffano, di tanto in tanto. Uno di quei mondi magici è quello dei raduni di possessori di auto vecchie. Dico vecchie e non “d’epoca” o “storiche” perché in effetti è il termine che con più realismo e con una certa torinese oggettività meglio si addice al tipo di auto storiche di cui parlo. Si tratta infatti di quella buffa e lenta auto di marca Citroen, ossia la deux chevaux, 2 cavalli in italiano, e di cui posseggo un esemplare, la Carciofina, da ormai più di trent’anni. Molti, erroneamente, la chiamano “Dyane”, ma quella è una sua cugina della stessa marca, simile ma non identica e per giunta con molta minore diffusione, fortuna e storia.
Il mondo di tali raduni lo conosco e lo pratico anch’io, che torinese lo sono fin dalla nascita. Un universo parallelo cui ricorro con assiduità regolare ma non spasmodica, in modo tale che la frequentazione risulti ogni volta una piacevole novità con qualche curiosità e amene sorprese, senza cadere nella noia della ripetitività che rende rapidamente insopportabile e demotivante anche la più divertente delle attività.
Ma il richiamo a un certo punto arriva, impossibile resistere. L’appuntamento è sempre lì, in agguato, come un primo amore estivo di cui si parla poco ma di cui non ci si dimentica più. A volte i raduni sono vicinissimi a casa, addirittura in Piemonte. Storica fu e resta l’adunata di Vinadio nel 2003, con quasi 4 mila vetture e un numero multiplo di passeggeri da ogni parte d’Europa e alcuni persino da fuori Europa, raccolti  ai piedi della fortezza e disseminati praticamente lungo tutta la valle Stura.

Più ricchi di entusiasmanti avventure e novità sono quelli un po’ fori porta, molti addirittura all’estero: nel 2005 Scozia, Roma nel 2008. Quest’anno è stata la volta di un luogo che solo a nominarlo mette emozione: Le Mans, il circuito della mitica 24 ore. Qui veramente il raduno è un po’ particolare, perché di auto davvero storiche ce ne sono, eccome! È infatti l’Eurocitro, un raduno che si è tenuto nel capoluogo della Sarthe, per la prima volta nel 2000 e da lì ogni tre anni, nel primo fine settimana di agosto. Questa due giorni automobilistica chiama all’appello circa 2.500 vetture, in maggioranza le 2CV, ma anche tanti altri modelli, dagli anni ’40 in poi, e tutti arrivati sulle loro gambe, o meglio sulle loro ruote: dalla quasi primordiale Traction Avant alla SM, alla CX alla straordinaria DS, che si legge Déesse che in francese significa solamente “Dea”; e scusate se è poco. Tutte auto che hanno fatto la storia, non solo dei motori, ma anche della nostra cultura e di certi modi di vivere. Io mi sono imbattuta in una decina di auto targate Torino, di cui cinque erano le deux chevaux  e le altre si ripartivano tra Déesse e CX.
Dunque anche un discreto drappello di torinesi si è sobbarcato un viaggio di mille chilometri, più o meno, per raggiungere il circuito dove hanno corso i più famosi piloti di tutti i tempi, da Tazio Nuvolari a Steve McQueen e Jacky Ickx, tanto per citare alcuni dei nomi ricordati nell’albo d’oro del museo del circuito.
Ma perché, tanta strada? Certo non solo per provare l’emozione di calcare la pista, anche perché le prove di velocità non sono parte del programma. Certo non solo per provare un circuito francese: ce ne sarebbe uno molto più vicino, quello  di Magny-Cours, in Borgogna. Molti sono simpaticamente esibizionisti, come quelli che strombazzano allegramente per tutto il prato antistante la pista, trasformato in allegro e immenso campeggio, con il clacson modificato in muggito, o canto del gallo o addirittura nelle prime note della marsigliese. Più raffinati sono coloro che esibiscono incredibili trasformazioni della carrozzeria: come quelli che hanno trasformato la due cavalli in limousine, oppure in auto da corsa, oppure in curiosa monoposto. Poi ci sono quelli che hanno messo il logo della ditta e approfittano per farsi un po’ di pubblicità.
Ma l’idea, o meglio l’ideale, che accomuna un po’ tutti è il piacere di ritrovare, da una volta all’altra, amici che condividono la stessa passione, persone che amano vivere con quella lentezza che caratterizza un motore d’altri tempi, senza il turbo che morde i chilometri ma annulla lo spirito del viaggio. Certo, con una macchina moderna e veloce si arriva prima, ma chi va sempre di fretta non lega nemmeno queste parole. Io amo il piacere del viaggio. Come avrei potuto rinunciare a percorrere le strette e tortuose strade stese come perfetti nastri grigi tra il verde intenso dei vigneti della Borgogna? Come rinunciare al piacere di un assaggio di Mercurey direttamente nella cantina del produttore? Di certo non avrei potuto far a meno di un tuffo nella millenaria storia dell’abbazia di Cluny, che fu paziente custode e generoso tramite fino a noi della letteratura antica. Alla velocità turbinosa di una fredda autostrada non avrei mai potuto ammirare lo spettacolo possente del pontecanale di Briare, progettato a fine Ottocento da un certo signor Gustavo Eiffel. Sì, proprio lui, quello della tour parigina! Per non parlare di qui castelli fiabeschi dei quali è punteggiata la valle della Loira.
Il viaggio lento non è e non può essere puro spostamento, bensì piacere dello spirito e anche del corpo, non sottoposto allo stress di una dannosa e magari pericolosa velocità.
Di certo quei torinesi e tutti quegli altri duemilacinquecento piloti che si sono ritrovati a Le Mans, hanno cercato una vacanza, una scoperta di luoghi e il piacere di incontri vecchi e nuovi. Di certo non a una gara di velocità..
Paola Assom