Inaugura venerdì 11 settembre 2015 alle ore 18,00 presso la Sala espositiva della chiesa di San Michele Arcangelo di Torino, QUID EDAMUS QUID SUMUS | fotografie per nutrirsi, mostra a cura di Daniela Giordi, allestita da ABF – Atelier per i Beni Fotografici, in qualità di partner dell’Associazione IAAP Associazione Internazionale di Arte e Psicologia – Sezione piemontese e sostenuta da GazzettaTorino.
Una mostra di opere fotografiche alla Cripta di San Michele Arcangelo di Torino, per provare a riflettere intorno alla considerazione che siamo ciò di cui nutriamo il nostro stomaco, i nostri occhi, la nostra mente, i nostri ricordi e la nostra anima. L’atteggiamento della società verso il cibo può essere politico, etico o estetico; la relazione cibo e arte viene proposta e approfondita come oggetto di discussione, analisi e riflessione fin dall’antichità e per quanto riguarda la nostra cultura è posta già nella filosofia greca; ha ispirato intellettuali, scienziati e artisti e in particolare ha svolto un ruolo tematico di rilievo nella storia dell’arte. Nell’arte la tematica del cibo, il procacciarlo, l’atto del nutrirsi, gli alimenti o il vasellame, li ritroviamo come soggetti iconografici senza soluzione di continuità, dall’antico Egitto alla pittura vascolare greca, giungendo fino all’arte contemporanea.
 Siamo ciò che mangiamo? Vi è relazione fra ciò di cui nutriamo il nostro corpo, la nostra mente, quello che siamo o percepiamo di essere?
Nei vangeli di Luca e Matteo troviamo scritto “Non di solo pane vive l’uomo […].”, sebbene l’ambito di riflessione sia di ordine teologico, la citazione è entrata a fare parte del parlare corrente. Simbolo della cristianità sono l’uva, il pane, il vino e l’olio e il cibo ritorna come patrimonio e identità nelle diverse religioni come nelle diverse culture e nell’arte sacra. Il rapporto ancestrale e il bagaglio antropologico legato all’atto dell’alimentazione, la simbologia di cibo cotto, cibo crudo, la natura morta e la mise en place, continuano a essere ancora oggi un tema di ispirazione artistica, rispondente a canoni sia concettuali sia formali.

B&O

Nell’allestimento dell’installazione Stenografie di Bersezio & Olivero ci troviamo al cospetto di un setting domestico nel quale oggetti degli autori e del loro convissuto quotidiano, fra cui alcune stoviglie, in un gioco di specchi e tautologie, campeggiano in quattro fotografie stenopeiche, alla ricerca del tempo della fotografia, del tempo della vita, fermando attraverso il medium fotografico immagini di oggetti quotidiani della loro cucina, o della personale storia e anedottica, come nel dittico “Umane consuetudini” composizione per fotografia e cucchiaini d’argento, ricevuti in dono quale atto propiziatore progettando un futuro nobile corredo, utile alla perfetta apparecchiatura della tavola.

Claudio Cravero

Nei lavori del fotografo Claudio Cravero si affiancano variazioni e riflessioni sul tema de l’Ultima cena, di cui si propongono due diverse versioni di Mise en céne intervallate da La Grande Bouffe opera quest’ultima nella quale un tavolo con nell’ordine: sei piatti, un fiore, un piatto, un pane trafitto da un coltello infitto verticalmente (per l’autore a simboleggiare il tradimento) e altri ultimi sei piatti (per appunto il totale di 13 posti a tavola), sono allineati in un andamento parallelo e superiore. Sotto al tavolo sono disposti dodici vasi da notte (di chiaro significato) interrotti al centro dalla presenza un pitale ospedaliero (nel linguaggio comune conosciuto come “padella”), riconducibile oltre che a riflessioni scatologiche alla malattia (degenza e convalescenza), comunque alla mancanza di indipendenza nella gestione delle proprie necessità fisiologiche. Nel set allestito parla soprattutto l’assenza della figura umana evocando di riflesso senso di attesa e di silenzio, con le parole di Cravero: “è la reinterpretazione della prima e più grande azione di marketing del mondo, con una millenaria risonanza mediatica. Da quel momento il mondo non è stato più lo stesso”.

Nelle opere tratte dalla serie Memorie materiali del XX secolo di Pierluigi Manzone ci imbattiamo nelle riflessioni concettuali dell’autore, che partendo principalmente dagli Accumuli di Arman, dai Detàil di Roman Opalka e dal concetto di “Contenitore d’autore” di Piero Manzoni, inserisce all’interno di vasi alimentari fotografie della propria storia, del vissuto e del collezionato, invadendo il campo della memoria, della percezione del ricordo attraverso la stratificazione e sedimentazione di immagini, delle quali per l’appunto ci nutriamo. Le stampe fotografiche delle 3 opere della serie Conserva di ricordi 1913-2013 hanno come tema identitario la fotografia vernacolare “come la somma dei ricordi e dei rimpianti vissuti dal soggetto sino al momento della ripresa fotografica”. In Ritratto d’autore, 1964-2014 siamo al cospetto delle fototessere accumulate da Pierluigi Manzone in 50 anni del suo vissuto “Memoria comune a chi osserva, perché l’oggetto racchiuso nel vaso alimentare, la fototessera, fa parte della storia privata di tutti; alcune in particolare sono proprie del vissuto di chi è nato prima degli anni Ottanta del XX secolo”. In Perfetti istanti conservati 27 pellicole in bianco e nero (970 fotogrammi) risalenti agli anni 1960-1970, di autori anonimi e luoghi non identificati, l’opera d’arte è chiusa sotto vetro fisicamente e metaforicamente ”può essere visualizzata dal pubblico solo attraverso uno sguardo interiore mentale; quindi è un’immagine perfetta”. Infine in Viaggio ideale 45 immagini latenti del viaggio di nozze a Roma, 26 febbraio 1990 troviamo 3 rullini Kodak T Max 400 per un totale 45 immagini da sviluppare, ipotetiche istantanee o cartoline di viaggio, momenti privati o momenti conviviali preclusi agli altri.
L’artista Matilde Domestico presenta il suo bianco Interno nel quale l’immagine fotografica è evocata, citata, e sospesa sotto forma di silhouette e traccia. Domestico propone ricordi allestiti fra tavola, album fotografici e stoviglie, nel solco linguistico delle sue installazioni, sul filo della memoria: ritratti su carta, in rilievo e a grafite, fra una tazza da thé, pagine di album sospesi e un antico album per carte da visite aperto e reinterpretato.

Paolo Minioni

Con Nature Morenti, Paolo Minioni si spinge oltre al confine della visione e condivide con noi, non solo fotograficamente, la deperibilità organica di prodotti alimentari. Questi fisicamente sono su di un tavolo proseguendo la loro vita e il loro naturale processo di invecchiamento e decomposizione: nell’ordine da sinistra a destra troviamo un cotechino, un cavolfiore, una bottiglia contenente dell’aceto. Nelle immagini in bella mostra degli alimenti, fotografati già in fase di decomposizione e che così sconfinano nella nostra reale esistenza partecipiamo ad un rito, al prologo di una messa che avrebbe da venire e che non avverrà, se non per la sfera visiva ed olfattiva, siamo spettatori del divenire di cariche batteriche e micetiche, della deperibilità organica scrutata dall’obbiettivo, della decomposizione in diretta progressiva e inesorabile degli attori della nostra messa.

Giacom Vanetti

L’opera di Giacomo Vanetti Black Magic Lasagna è il tentativo dell’autore di eseguire un autoritratto in occasione di un concorso fotografico indetto dalla multinazionale Barilla, che aveva per titolo: Di che pasta sei fatto? Usando le sfoglie per la preparazione della lasagna le ha trasformate in supporto fotosensibile sul quale ha impresso il logo aziendale. Un’operazione semplice e diretta, “E’ quello che è, una lasagna Barilla trasformata in una foto che mi rappresenta […] Prendo quello che trovo e cerco di trasformarlo a mia immagine”. Oltre all’onestà intellettuale dell’operazione concettuale nella quale ”le cose sono quello che sono”, per molti il marchio aziendale in oggetto ci riporta a slogan quali “Dove c’è …c’è casa”, per l’italico paese il marchio è sinonimo di boom economico, per molti rappresenta il Made in Italy, per altri la tavola e la famiglia come negli spot degli anni ’80, ad alcuni rammenterà le ultime dispute sui giornali per la definizione e salvaguardia della famiglia tradizionale.

Natale Zoppis

Conclude in ordine alfabetico l’artista concettuale Natale Zoppis, autore dell’immagine scelta per la comunicazione della mostra, il quale continua la sua ricerca sul tema della reliquia, della ritualità del corpo e della messa non solo intesa in senso eucaristico. Natale Zoppis con il trittico Cuore, Pane, Croce, Gesso si addentra in un’operazione che si è protrae e stratifica attraverso un susseguirsi di azioni: la scelta di una teglia, l’elaborazione del progetto, la preparazione (lievitazione) e la sformatura di un pane, la colatura nella teglia liberata dal pane di una miscela non commestibile (gesso) l’estrazione della forma del cuore ora di gesso, la marchiatura della teglia ora libera con una croce greca dipinta in acrilico rosso, oggi posta al centro ad imperitura memoria, in una sedimentazione e stratificazione di icone e di simboli.
Alla fine del percorso possiamo, volendolo, fermarci per indagare se è poi vero che siamo quel che mangiamo, riflettere sul fatto che anche noi siamo biodegradabili e a tempo, possiamo ben conservarci, essere salutisti, igienisti, bulimici o anoressici, ascetici o buon gustai ma tutto invecchia ed è deteriorabile, come le nostre cellule e come ciò che assumiamo per tenerci in vita, per ricordarci che polvere siamo e polvere ritorneremo.
Meditare sul nulla, sul tutto e sul circolo misterioso della vita, fra corsi e ricorsi, catarsi e metamorfosi e prosaicamente pensare anche a noi; citando Lavoisier e il suo principio sulla conservazione della massa nelle reazioni chimiche: “Nulla non si crea, nulla distrugge e tutto si trasforma”.

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