Per ricordare Franco Battiato e la sua musica che rimarrà immortale, bisognava lasciare decantare qualche giorno, perché il cantautore siciliano non avrebbe apprezzato il frastuono dei commenti, le doglianze, la tristezza, i coccodrilli di circostanza. Lui aveva un orizzonte infinito davanti a sé, ricercato interiormente con la sua musica per una vita intera. Come Fabrizio De Andrè, Franco Battiato nella storia della musica rappresenta qualcosa di singolare e unico, un centro di gravità permanente che non ci ha fatto cambiare idea su tutto ma non sulla sua musica sperimentale, mistica e metastorica. Anche l’uscita di scena discreta e senza clamori del visionario di Milo rappresenta un esempio che definisce come gli interrogativi superiori sull’esistenza sono qualcosa che sfugge ad ogni catalogazione e articolazione umana. La generazione dei cinquantenni scoprì Battiato tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. Tre album “L’era del Cinghiale bianco”, “Patriots” e soprattutto “La Voce del Padrone” restano una pietra miliare nella storia non solo della musica ma della cultura italiana, quella che non rimane alla superfice e alle mode del momento.

FRANCO BATTIATO MOLTO PIU’ DI UN CANTAUTORE

Ma Franco Battiato è stato importante anche prima e successivamente a quell’inatteso e travolgente successo. Prima nella sua fase di sperimentazione mai banale e sempre sofisticata che sarebbe almeno fino alla soglia dei quarant’anni. Il canone cantautorale, che ha segnato la musica italiana dagli anni Sessanta ai Settanta, salta di fronte a Battiato. Per alcuni apparivano all’improvviso banali quelle ballate fatte con pochi accordi e pochi mezzi, quel tono convenzionale da intellettuale impegnato, quelle tiritere politico-moralistiche, quelle parole e idee sussiegose, pestate a volte a forza in uno spartito, per le quali la musica era soltanto un elemento accessorio e ancillare.

Battiato, giocosamente postmoderno, fece saltare tutto. Perché dietro alla Voce del Padrone e a Cuccuruccucù c’erà una ricerca pazzesca e profondissima. Battiato era e resta di un altro mondo: quello della musica, prima di tutto, e poi della letteratura e dell’arte, del pensiero filosofico e teologico libero e fuori dalle chiese e dalle religioni.

“E ti vengo a cercare”, “Orizzonti perduti”, “Voglio vederti danzare”, “La cura”, “un’altra vita” sono capolavori pensare e creati con una cura dei dettagli musicali e testuali manicali. Ma Battiato non era un isolato. Viaggiava, si confrontava. La sua collaborazione con Giusto Pio e il filosofo Manlio Sgalambro, e poi Alice, Carmen Consoli, Milva, Giuni Russi e tanti altri. Milano e Catania, Roma e soprattutto tanto Oriente.

Mitico e incredibile il suo concerto a Bagdhad sotto le bombe nel 1991. Franco Battiato è stato capace di attraversare i generi, dalla classica all’elettronica, dal progressive rock alle melodie arabe – tranne quelli che odiava, forse con troppa severità – per costruire capolavori prima di tutto ‘tecnici’.

La reazione dei suoi fans più veri fu quella di liberarsi dal bigottismo musicale e culturale per apprezzare poi la musica, l’arte, la letteratura che Battiato ha saputo nella sua esistenza esprimere. Una vita che ora è diventata esistenza infinita. Molto di più di un cantautore, un cercatore, un visionario orientato verso l’altrove. Franco Battiato ha iniziato il suo viaggio verso i mondi lontanissimi di cui ci lascia la sua melodia.


Luca Rolandi