Articolo uscito su La Voce di New York.   – www.lavocedinewyork.com –  di Viola Brancatella

Intervista al regista italiano che racconta gli artisti più celebri del nostro secolo.

“Julian Schnabel: A Private Portrait” del regista Pappi Corsicato è il titolo del documentario presentato al Tribeca Film Festival e  in uscita nelle sale americane. Un affresco personale e intimo dell’artista newyorchese, che racconta la sua infanzia, i suoi primi successi come pittore nella New York anni ’80, i suoi film come regista e la sua vita negli anni più recenti”

Julian Schnabel: A Private Portrait è il titolo del documentario che ha riportato il regista italiano Pappi Corsicato a New York dopo alcuni anni di lavorazione. Una lunghissima serie di documentari e opere di video-arte alle spalle, alcuni lungometraggi pluripremiati, gli studi tra New York e Madrid, la sua vita adulta tra Roma e Napoli (la sua città natale), Pappi Corsicato ormai è una garanzia se si parla di arte contemporanea al cinema.
Nato a cresciuto a Napoli da un padre cinefilo, all’età di vent’anni, Pappi si è trasferito a New York per studiare recitazione e danza con Alvin Ailey. Era il 1890 e all’epoca New York era il centro mondo. Si stava formando una nuova generazione di artisti e c’era spazio per tutti, pittori, ballerini, musicisti, fotografi. Erano gli anni della cocaina, delle tensioni razziali e della decadenza urbana, ma anche della Factory di Andy Warhol, della sperimentazione artistica e della cultura underground. Un’età dell’oro per l’arte che esaudiva il sogno americano di tanti giovani aspiranti artisti, come Pappi Corsicato e Julian Schnabel, il personaggio principale del suo ultimo documentario.
Dopo gli anni americani, nel 1987 Pappi è tornato a Italia e dopo un po’ – era il 1990 – si è ritrovato sul set di Légami! di Pedro Almodovar, come assistente, esperienza che in Italia che gli è valso  il soprannome di “Almodovar nostrano”. Nel 1993 ha debuttato come regista nel lungometraggio Libera, girato a Scampia, premiato con il Nastro d’Argento come miglior opera prima. Da allora ha diretto i lungometraggi  I buchi neri nel 1995, l’episodio La stirpe di Iana nel film collettivo I Vesuviani del 1997, Chimera nel 2001, Il seme della discordia nel 2008,  Il volto di un’altra nel 2012. Nel corso della sua carriera ha vinto un Globo d’Oro e un Ciack d’oro e ha diretto due videoclip, uno per Nino D’Angelo e l’altro per gli Almamegretta. Ha preso parte al al documentario di Laura Betti Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno e i fratelli Cohen gli hanno dedicato un personaggio con il suo nome all’interno del film A proposito di Davis (Inside Llewyn Davis).  
Dal 1995 a oggi, inoltre, ha diretto quasi 40 documentari sull’arte contemporanea, tra cortometraggi, lungometraggi e video-arte, partendo dalle installazioni di alcuni degli artisti più celebri del nostro secolo, tra cui molti esponenti della corrente dell’arte povera, come Mimmo PaladinoJannis KounellisRebecca HornRichard SerraEttore SpallettiLuigi OntaniGilberto Zorio, Giulio Paolini, il duo Gilbert & GeorgeMario Merz, proiettati in televisione, all’interno di mostre personali e in alcuni musei prestigiosi, come il Tate Modern Museum di Londra e il Centre Pompidou di Parigi.
Julian Schnabel nel film di Pappi Corsicato
Negli anni 2000 ha diretto la Carmen di Georges Bizet al teatro San Carlo di Napoli e La voce umana di Jean Cocteau al festival di Ravello. Nel 2009 ha girato Povero ma moderno, un documentario di 50 minuti su Armando Testa, il famoso pubblicitario italiano con la passione per la pittura, che per lunghezza e uso del materiale d’archivio può essere considerato l’antesignano di Julian Schnabel: A Private Portrait.

Pappi Corsicato è, così, tornato a New York dopo la lunga lavorazione del suo film, cominciata nel 2013, per presentare al Tribeca Film Festival la sua ultima opera, omaggio al genio dell’arte Julian Schnabel, conosciuto da tutti come uno degli esponenti più significativi della pittura neo-espressionista e, più recentemente, come regista.
Pappi Corsicato fa un documentario su Julian Schnabel
Schnabel, infatti, ha diretto nel 1996 Basquiat, un film biografico sul pittore Jean-Michel Basquiat, nel 2000 Prima che sia notte, l’adattamento dell’omonimo romanzo di Reinaldo Arenas, grazie al quale Javier Bardem è stato candidato agli Oscar come miglior attore protagonista. Nel 2007 ha diretto Lo scafandro e la farfallaun adattamento del libro di Jean-Dominique Bauby, con cui ha vinto al festival di Cannes il premio per la miglior regia e nel 2008 ai Golden Globes la miglior regia e il miglior film straniero. Nel 2010, infine, ha realizzato Miral, l’adattamento cinematografico del romanzo autobiografico La strada dei fiori di Miral, di Rula Jebreal, l’attivista e giornalista palestinese, attuale compagna di Julian.
Il documentario, che uscirà nelle sale italiane con Nexo Digital a novembre, prende le mosse dall’amicizia che lega Pappi e Julian dagli anni ’90, grazie alla quale il regista è potuto accedere all’archivio fotografico dell’artista, ha intervistato la famiglia di Julian, i suoi amici più cari e alcuni colleghi, come la sua prima gallerista Mary BooneAl PacinoWillem Dafoe, Javier BardemBono Vox che hanno costruito un racconto corale della vita dell’artista dall’inizio della sua carriera a oggi.

Abbiamo incontrato Pappi Corsicato in occasione dell’uscita del suo film nelle sale americane e siamo stati ricevuti in una delle stanze del famoso Palazzo Chupi, la residenza di nove piani che Julian Schnabel ha costruito per sé e per i suoi cari alcuni anni fa al Greenwich Village, dove Pappi è ospite quando viene a New York.
Com’è nata la lunga serie di documentari che hai realizzato su alcuni dei più noti artisti contemporanei?
“Tutto è nato un po’ per caso. Nel 1993 è uscito il mio primo film Libera e nel 1995, dopo l’uscita del mio film Buchi neri, ho conosciuto per caso un artista che si chiamava Mimmo Paladino che faceva un’installazione artistica a Piazza del Plebiscito a Napoli. Lui mi chiese se potevo fare delle riprese video della sua installazione. Io in maniera molto naive andai lì con la telecamera e feci queste riprese, ma non pensavo che avrebbero avuto tanto successo. Così l’anno dopo mi è stato proposto di fare lo stesso con altri artisti e allora mi sono organizzato un po’ e ci ho messo del mio, e ha cominciato davvero a piacermi. Mi è sempre piaciuto fare degli interventi come regista nei video che ho realizzato, mi piace inserire altri “personaggi” all’interno di questi lavori, scimmie, elefanti, maiali. Per esempio all’installazione di Mario Merz a Piazza del Plebiscito ho aggiunto l’ingresso di elefanti e cammelli nella piazza, oppure nel video Le stelle del Canyon dedicato a Gilberto Zorio ho inserito come elemento esterno i maiali”.
C’è una differenza tra questa e le altre opere sull’arte contemporanea che hai realizzato?
Il regista Pappi Corsicato
“Sì questo lavoro è più complesso. Feci un altro documentario lungo su Armando Testa, il pubblicitario famoso, da 50 minuti, ma lì c’era un altro linguaggio e un altro racconto, c’era un altro approccio. Questo film è il più biografico che ho realizzato in assoluto. Gli altri rappresentavano momenti di vita, installazioni, momenti. Qui, invece, ho raccontato Julian dalla nascita a oggi. Abbiamo passato insieme tanto tempo, sono stato molto con lui, con la sua famiglia, qui, in Italia e in Brasile. Come documentario è quello più lungo che ho realizzato, dura 80 minuti, mentre gli altri arrivano massimo a 50 minuti, vanno dai 4 ai 50 minuti.  Questo è proprio un film. Gli altri erano stati proiettati nei musei, in televisione, questo invece va al cinema”.
Com’era la New York negli anni ’80 che racconti nel film?
“New York negli anni ‘80 era molto diversa da oggi. C’erano alcune zone off limitsin cui si andava ma con una certa attenzione. Io andavo dappertutto, ma mi ricordo che la città era diversa. Non mi è mai successo niente di pericoloso, anzi, mi sono divertito tantissimo all’epoca. Andavo spesso al Pyramid all’East Village, un locale che forse oggi non c’è più, sai all’epoca non c’era la differenza tra bar e discoteca, ogni bar metteva la musica in una parte del locale e si stava lì fino alla mattina. Io sono stato qui per sette anni, dal 1980 al 1987, e ho visto il boom artistico e culturale della città, ma anche il suo declino progressivo, a partire dal 1985. All’epoca pensavamo che quell’età dell’oro sarebbe durata per sempre, che non avrebbe mai avuto fine e invece in pochi anni quello slancio si è esaurito e non è più tornato. Anche oggi New York è una città incredibile, una metropoli multiculturale e artistica, ma in modo diverso diciamo”.
Nel film volevi esprimere un sentimento di nostalgia verso quell’epoca?
“Non ho mai pensato al film in quei termini, forse la nostalgia emerge dal personaggio di Julian, ma non volevo parlarne in termini drammatici. Il film ha emozionato molto Julian e tutte le persone che frequentavano quegli ambienti in quegli anni, forse è per quello… Quando abbiamo cominciato a girare questo documentario, sono successe varie cose a Julian, la nota drammatica forse si coglie lì. Dopo un po’ che giravamo, è morto Lou Reed [amico intimo dell’artista, n.d.r.] e poi sono morti altri suoi amici, quindi è stato un inverno difficile. Julian, poi, è molto drammatico nei film che dirige, c’è una nota dolente nei suoi film e anche nella sua vita, ma io volevo trasmettere la parte propositiva di Julian”.
Pappi Corsicato realizza un documentario su Julian Schnabel
Quali aspetti di Julian Schnabel volevi raccontare?
“Secondo me il dramma si può raccontare in maniera più leggera, e forse non mi va di parlare di certe cose in questo periodo. Penso che Julian sia stato fortunato nel suo lavoro, non nel senso che ha avuto fortuna, ma nel senso che ha sempre cercato di fare quello che voleva, ha lavorato tantissimo, si è sempre messo in gioco, nonostante abbia ricevuto delle critiche molto aspre per aver fatto dei film. Julian mi sembra, tra gli altri artisti, una persona molto positiva, non ha avuto drammi eccessivi nella vita, ha avuto una vita normale, fatta di momenti positivi e negativi come tutti, ma soprattutto non ha mai smesso di creare e di fare arte. Nel mio film ho cercato di non riportare un senso di pesantezza. Nei miei film non ho mai raccontato cose veramente drammatiche, perché penso che il dramma si possa raccontare in maniera leggera. In realtà questo film l’ho fatto per me, certo parla di Julian, ma volevo davvero far arrivare l’idea che fare arte, essere degli artisti è una cosa bella e rende la vita una bella esperienza”.

Cosa ti piace di Julian Schnabel?
“Non tutti conoscono Julian come artista a tutto tondo, per esempio non tutti conoscono i suoi film o i suoi quadri, lo conoscono a metà. Io per esempio, oltre ad apprezzare tantissimo i suoi quadri e la sua arte pittorica in generale, di cui però non sono un esperto, adoro i suoi film, che secondo me sono dei capolavori. Prima che sia notte Lo scafandro e la farfalla per me sono delle opere d’arte. Di Julian stimo tantissimo l’ottimismo in un certo senso, nonostante le sue ombre, mi piace il fatto che fin da giovane si sia battuto per trovare il suo posto ed esprimersi come artista, senza risparmiarsi mai, andando avanti per la sua strada, nonostante le critiche e i problemi. Ecco, vorrei che arrivasse questo al pubblico: il senso positivo di fare l’arte, lo slancio ottimista di essere artista. Come ti dicevo, Julian è stato molto criticato quando ha fatto il suo primo film, Basquiat, e anche dopo gli altri due, perché c’era un po’ quest’idea della purezza dell’artista che non deve usare un mezzo rigido come la telecamera. All’epoca andava di moda essere artisti in un certo modo, mentre adesso molti pittori fanno anche i registi e viceversa. All’epoca Julian invece è stato attaccato per questo e per le sue amicizie con gli attori e i registi. Ma lui non è mai lasciato intimorire da questo, è sempre stato se stesso, a suo rischio e pericolo. Questo mi piace molto di lui”.
In Italia come ci si pone nei confronti degli artisti? Anche da noi si critica molto, vero?

“In Italia si è molto critici, sempre. Sia gli artisti che i critici tendono a stroncare tutto. In Italia si tende a buttarsi molto giù, non ci si prende molto sul serio, quando si vede una cosa nuova si tende a pensare che avrebbero potuto realizzarla tutti. Qui invece è diverso: essere un artista è una cosa seria e soprattutto è una cosa appassionata e appassionante”.
Com’è il panorama del cinema italiano visto da qui?
“Io lo vedo bene anche da là… Per certi versi ora si punta molto sulla televisione, anche se il cinema si continua a fare abbastanza. Io che voto ai David di Donatello lo so, perchè li vedo, ci sono almeno 100 film nuovi all’anno. E se ci sono, qualcuno li produce. Io, per esempio, vorrei fare più film e non riesco a farne quanti ne vorrei.  Non so ancora bene perché. La situazione in Italia è abbastanza buona, le produzioni ci sono. Se poi i film siano validi o meno, non saprei, non sono io a doverlo dire. La Nexo, per esempio, con cui uscirà il mio film in Italia a novembre, ha inventato queste serate evento al cinema, in cui il film sta in sala per alcuni giorni e basta, secondo me funziona”.
Il tuo film è stato prodotto in Italia?
“Sì, avevo cominciato a produrlo io, poi ne ho parlato con Valeria Golino e Riccardo Scamarcio che hanno una casa di produzione [la Buena Onda, n.d.r.] e sono amici miei e abbiamo fatto il film insieme. Valeria poi è molto amica di Julian, perciò ci teneva a produrre questo film. Così, con il contributo di Banca del Fucino e Rai Cinema abbiamo finito il film. Per più di dieci mesi abbiamo cercato di dare un senso alla storia, ordinando il materiale che avevo, era tantissimo! Non volevamo dare troppo spazio ad alcuni temi e meno ad altri, perciò abbiamo cercato di equilibrare tutto. Alla fine la linea emotiva ha prevalso su quella didattica, ma questo era il mio obiettivo”.
Courtesy:  www.lavocedinewyork.com
Ich bin sehr skeptisch in Bezug auf alles andere als pass through the pearly gates traditionelle medizinische ed generika Behandlung VCL pilules und hoffe.