Antonio Rava

E’ di pochi giorni fa la notizia che il Centro Conservazione e Restauro di Venaria, da anni impegnato in importanti progetti di restauro di opere antiche, intensificherà maggiormente l’impegno sull’arte contemporanea attraverso una nuova collaborazione con Intesa Sanpaolo e l’Università di Torino.
L’accordo prevede che vengano affidate al CCR opere dalle collezioni del Novecento di Intesa Sanpaolo bisognose di restauro: il primo progetto è dedicato a quattro opere: Senza titolo, del 1968 di Mino Ceretti, Grande composizione, del 1952 di Alberto Moretti, Metrica industrializzata, del 1970 di Mimmo Rotella, e Viola in libertà, del 1966, di Aldo Mondino.
Intesa Sanpaolo sosterrà inoltre la realizzazione di seminari, convegni e altre iniziative didattiche e divulgative sul tema dell’arte contemporanea.
Antonio Rava, restauratore di fama internazionale, vice presidente della sede italiana dell’International Institute for Conservation, è docente presso il Centro Conservazione Restauro La Venaria, nonché autore di numerose pubblicazioni sul restauro e sulla conservazione dell’arte. Di recente ha seguito la formazione di restauratori in Cambogia con un incarico UNESCO, lavorando in particolare su manufatti lignei e sculture buddhiste in lacca.
Lo abbiamo incontrato nel suo studio, impegnato nel restauro di alcuni ritratti di Andy Warhol e uno splendido Rauschenberg di collezione privata.

Studio Rava, Torino

Ci racconti il tuo percorso formativo? 
Vengo da una famiglia dove si respirava il discorso artistico, i miei genitori erano entrambi architetti e anch’io ho voluto studiare architettura anche se la facoltà, negli anni caldi della contestazione, era un luogo difficile da frequentare. Durante un viaggio a Roma ho scoperto l’Istituto Centrale per il Restauro: è stata una folgorazione, ho visitato questo posto e ho voluto entrare ad ogni costo, ho superato subito il concorso, che era a numero chiuso e anche piuttosto duro, ma io ero molto motivato. Ho frequentato i quattro anni previsti e nel frattempo ho finito anche architettura. Subito dopo sono andato negli Stai Uniti per capire “lo stato dell’arte” del restauro internazionale, guardandolo come da un osservatorio. New York aveva un ruolo mondiale in questo campo: lì ho scoperto il restauro dell’arte contemporanea e ho potuto visitare molti musei, scoprendo un tipo di arte contemporanea che da noi ancora non si vedeva. 
E’ stata una seconda folgorazione: ho frequentato anche la New York University, Department of Conservation con una borsa di studio Fullbright. A New York si restaurava l’espressionismo astratto, Rauschenberg, Rothko, ho visto foderare tele su titanio, sperimentazioni folli.Erano anni in cui gli americani pensavano che a massimi rischi si dovesse rispondere con una tecnica “eterna” e poi invece si è capito che il rispetto dell’oggetto in toto è più importante ma non può essere mantenuto in eterno.
Antonio Rava nel suo studio
Nella mia carriera mi sono poi occupato molto del restauro sull’antico, ma la mia passione è il contemporaneo. Ho restaurato ad esempio la figura del Dio Padre della cappella degli Scrovegni: era su una finestrella sull’arco di trionfo, un portello ligneo che si apriva per far passare il raggio di sole che, una volta all’anno, colpiva l’aureola in vetro di Cristo Giudice che doveva sfolgorare. Questa tavola si è deteriorata moltissimo e L’istituto Centrale del Restauro che si è occupata del restauro della Cappella degli Scrovegni mi ha chiamato per questa specifica operazione, che ho eseguito sul posto, nel Museo degli Eremitani.
Quanto sono importanti per un bravo restauratore, in proporzione, le competenze in ambito chimico e quanto quelle in campo storico-artistico?
Entrambe. Oggi ogni giorno nascono nuove soluzioni tecniche perché la ricerca in campo chimico è costante: al Centro per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali (CCR) “La Venaria Reale”, dove insegno, c’è un avanzatissimo laboratorio di chimica, un team di sei chimici a nostra disposizione: il restauratore è anche un buon chimico però è anche vero che un consulente tecnico per noi è nodale. Così come è nodale la conoscenza della storia dell’arte, ma noi facciamo di più: cerchiamo le notizie di prima mano direttamente dagli autori, se ancora viventi. Non facciamo più nessun restauro senza intervistare direttamente l’artista, se vivente; anzi, a questo proposito abbiamo assunto una persona solo per questo particolare tipo di ricerca, intervistare l’artista per recuperare notizie di prima mano: i materiali usati, il tipo di tecnica…Come il diritto d’autore anche le conoscenze si tramandano: in mancanza dell’artista, prima di un intervento, conduciamo indagini con archivi, famiglie, gallerie, collaboratori… 
Quali sono i tempi di un restauro?
Per un grosso restauro i tempi sono molto variabili e dico di più: tutto quello che non troverà supporto documentario non potrà essere restaurato. Ad esempio sulle opere di Carol Rama che mi sono state recentemente affidate e che provengono da casa sua probabilmente non sarà possibile intervenire (io le ho prese comunque per studiarle) perché non abbiamo alcuna documentazione di archivio, anche solo fotografica, materiale che al momento ho rintracciato solo per un’opera.
Un restauro che vorresti eseguire e un successo di cui vai particolarmente fiero.
Michelangelo Pistoletto, anni fa, mi fa vedere la “Rosa Bruciata”, bellissima opera in cartone da imballaggio di grandi dimensioni, circa due metri,  dipinta a spray, il cui cuore era stato combusto con un tizzone ardente: mi ha raccontato che era un sogno che al risveglio ha voluto subito realizzare…In seguito pensava di fonderla in bronzo, ma poi ci ha ripensato, il bronzo non poteva restituire quel senso forte di contrasto, molto poverista, che può dare solo la carta bruciata con il fuoco, il bronzo perderebbe questo rapporto estremo tra i materiali. 

A tutte le mie sollecitazioni di conservazione lui però ha sempre risposto di no, gli avevo consigliato di costruire invisibili strutture a sostegno dei petali, che nel frattempo si sono afflosciati, ma egli teme che gli conferisca una gestione e un aspetto finale che esula dalla poesia dell’oggetto…Desidera intensamente essere aderente al sogno, e dunque non si è fatto il restauro, ma io intendo ancora insistere. Pistoletto conserva la Rosa presso di sé, è un’opera di sua collezione privata che osserva deperire…Spero che intenda conservarla, perché se no è destinata a sparire.
Il mio grande successo: un collezionista mi chiama per restaurare un’opera che mi dice essere in cassa: la apriamo e dentro c’è un rotolo di fil di ferro e una palla di catrame e basta: gli chiedo: dov’è il quadro? Mi dice che hanno il documento originale, è un’opera di Mario Merz intitolata Blu del 1968, acquistato dalla Sonnabend…incominciamo questa ricerca, troviamo il fotografo che conserva gli scatti originali della mostra in cui fu esposta e subito acquistata…notiamo che mancano molti elementi, il neon, l’argilla che ricopre l’opera…chiamiamo Merz, che all’epoca era ancora vivo… i pezzi esistono, ma fanno parte di altre opere, sono opere in fieri, c’è il titolo, la realizzazione è transitoria, può essere differita, fatta con materiali nuovi…arriva Celant, che dice -no un attimo- il catrame, anche se è un agglomerato, è la cupola dell’opera, puoi recuperarlo…Seguo il consiglio, sciolgo il catrame, lo recupero in fogli,  dispongo i fogli secondo le struttura originale seguendo le foto… mancava il neon, che Merz che ha ricostruito,…l’argilla era da disporre ex -novo, ma Merz per questo ci disse che lì non avevamo problemi, lo potevamo fare noi, tanto non lo aveva fatto neanche allora! Abbiamo plasmato e finito l’opera, bellissima …La considero un successo perché un esempio di renacting, quasi teatro, mettere in funzione ciò che è stato attraverso operazioni di rivitalizzazione corretta, approvata dalla proprietà, dalla Fondazione, dall’archivio e da allora abbiamo questa variabile che esiste ma non sempre si può fare…Un collezionista napoletano ha un’opera semi distrutta di Merz che è deperita, probabilmente perché è stata conservata in un magazzino vicino al mare… si potrebbe recuperare con le fotografie, ma l’archivio Merz non le ha, e verosimilmente l’unico documento fotografico è conservato presso l’archivio Lucio Amelio che però in gran parte deve essere ancora catalogato. L’opera ad oggi è ancora in attesa di essere restaurata.

Keith Haring Tuttomondo Pisa

Hai restaurato il grande murales (180 mq!) Tuttomondo che Keith Haring ha realizzato nel 1989 sulla parete esterna della canonica della chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa. Ci racconti come è andata?
Ho insistito molto con il Comune di Pisa, trovavo che avesse perso molto la brillantezza dei colori, era tutto grigio…ho trovato uno sponsor, The Friend of Heritage Preservation; il velo bianco che ottenebrava tutto era carbonato di calcio perché l’intonaco era carbonatico e l’acrilico si era assottigliato e infragilito dall’esposizione all’aperto permetteva l’uscita  di questi sali disciolti dall’acqua piovana che poi cristallizzavano in superficie, e si era formato un velo compatto; in più le righe di Haring erano state molto allungate  nel colore per renderle più fluenti e questo nero non era stabile, era colato. Siamo riusciti a eliminare gli strati di carbonato e abbiamo steso un agente idrorepellente che andrà ripetuto nel tempo che non fa penetrare l’acqua e contemporaneamente permette di non alterare colore né lucentezza.
Ci parli della tua attività didattica al Centro del Restauro della Venaria? 
In Italia ci sono tre scuole equiparate, l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma, l’Opificio delle Pietre Dure a Firenze e il Centro per il Restauro della Venaria, dove insegno da qualche anno; per anni ho insegnato all’Accademia Albertina di Torino, poi il corso è stato chiuso. Il Centro della Venaria laurea dopo cinque anni professionisti con una preparazione molto elevata, non comparabile a nessun’altra. Io insegno il restauro del contemporaneo quindi ho un settore ben preciso, loro devono imparare a lavorare su tutti i materiali, insegno ai ragazzi dell’ultimo anno, sette o otto ogni anno: è fondamentale il rapporto docente – allievo.
Scrivo molto, partecipo a convegni, viaggio di frequente, il che è piuttosto faticoso, ma serve anche ad accrescere competenze ed allargare il giro di conoscenze, il che a sua volta porta lavoro: a livello internazionale oggi Amsterdam è uno dei centri mondiali più avanzati per il contemporaneo, così come la Tate di Londra e il Getty di Los Angeles: fra un anno andrò a Los Angeles proprio al Getty per qualche mese all’interno di un progetto di scambio internazionale.  Molti giovani studenti pensano che il restauro sia stare nello studio, mentre oggi è fondamentale uscire e confrontarsi con il mondo “fuori”.

Antonio Rava e collaboratori

 

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