Leggendo il suo “E così vorresti fare lo scrittore” comprendiamo che per un autore gli anni buoni sono quelli in cui scrive, mentre quelli che si passano a fare promozione o comunque in altre faccende affaccendati sono anni terribili. Questo, per Giuseppe Culicchia deve essere un anno da incubo.
Appena terminato il giro di presentazione del testo sopra citato, il nostro autore ha continuato a girare in lungo e in largo l’Italia, ha pubblicato “Tutti giù per terra remixed” (rivisitazione del romanzo di vent’anni fa trasportando gli eventi e il protagonista ai tempi attuali) e ora lo troviamo impegnato a organizzare l’Officina, sezione del Salone del libro 2014 che si occupa dell’editoria in tutte le sue sfaccettature, dall’autore all’editore, al grafico, al distributore, al libraio e al lettore.
Il pubblico potrà conoscere i protagonisti dell’Editoria Indipendente negli appuntamenti con gli editori e con i Mestieri del Libro: dove i professionisti illustreranno un modo di fare editoria per molti aspetti ancora artigianale, frutto di cura, passione e ricerca. L’intento è quello di creare un dialogo costruttivo e dunque favorire l’incontro tra le diverse voci che compongono questo mondo.
Tra gli ospiti in programma: Francesca Comencini, Gherardo Colombo, Antonio Sellerio, Guido Catalano, Gipi, Zerocalcare, Michela Murgia, Manuel Agnelli, Paolo Di Paolo, Aldo Nove, Flavio Soriga e Rosa Mogliasso. Un logo studiato apposta, un calibro, e l’azzurro come colore guida.
Interessante la sezione “Chilometro Zero”, in cui sono previsti incontri con autori che risiedono a Torino e in Piemonte.
La prima cosa che mi viene da chiedere è: Come stai? Voglio dire: è davvero un anno terribile o trovi il tempo di scrivere nonostante gli impegni?
Più che scrivere in questo periodo prendo appunti, contando sul fatto che in realtà ho già terminato un romanzo che uscirà il prossimo anno.
Un anno orribile pare lo sia stato per l’editoria in generale. Eppure i dati sulle presenze al Salone del Libro dell’anno passato sembrerebbero smentire questa voce. C’è davvero una speranza per la lettura? E questa speranza passa attraverso una conoscenza più approfondita del libro e del suo mondo?
La speranza per la lettura passa innanzitutto dalle famiglie: in una casa senza libri è difficile che crescano lettori. Anche per questo apprezzo molto l’iniziativa Nati per Leggere.
Nel tuo “E così vorresti fare lo scrittore” si parla in modo ironico di alcuni difetti dell’editoria attuale, immagino soprattutto riguardo ai big. Se inizialmente la domanda poteva essere “perché questo libro e perché ora?”, quello che invece mi viene da chiederti è se in qualche modo è ricominciando dai piccoli, dagli indipendenti che pensi che le cose possano migliorare. Una rivoluzione, insomma?
Penso che le cose possano migliorare unicamente se tutti i soggetti che fanno parte dell’industria editoriale o comunque legati al mondo del libro cominceranno finalmente a dialogare: librai indipendenti e non, editori grandi e piccoli, distributori, e poi biblioteche, scuole, festival … la crisi ha colpito tutti, e mi pare evidente che il sistema così com’è abbia notevoli margini di miglioramento…
Sempre riguardo a “E così …”, leggendo alcuni passaggi sembra quasi che tu abbia scritto per scoraggiare l’aspirante autore. Nell’immaginario comune, essere scrittori è un po’ come non lavorare; tra le tue righe, invece, la faccenda diventa molto più complicata. Un manuale di sopravvivenza o un tentativo di smitizzare la figura dello scrittore così com’è percepita da molti?
Entrambe le cose, ma innanzitutto un libro scritto per chi ama i libri e vuole capire che cosa c’è dietro.
Quello che dici nel libro si riferisce all’editoria medio-grande, che è quella di cui hai maggiore esperienza. Ci sono, però, decine di “Brillanti promesse” che pur avendo pubblicato diversi lavori con editori più piccoli non diventano mai un “Solito Stronzo”. Secondo te c’è una grande differenza tra questa e quella editoria? La questione è solo economica?
Le differenze ci sono ed è normale che ci siano, e non si tratta nemmeno di dividere il mondo del libro in buoni e cattivi: i libri di qualità non sono un’esclusiva né degli uni né degli altri. Quello che colpisce è la fretta: la fretta nel lavorarli e nell’accantonarli non appena non funzionano da un punto di vista commerciale. Ormai la vita media di un titolo in libreria è di tre settimane, un mese: poi, se non vende, finisce in resa. E così il libro, nato per durare, diventa uno yoghurt.
Ormai sei nell’ambiente da un certo numero di anni, le cose sono davvero cambiate tanto o, operando un remixaggio del tuo punto di vista come hai fatto con “Tutti giù per terra”, alla fine tutto resta uguale?
In Italia, è noto, tutto cambia per restare uguale.
Da cosa è nata l’esigenza di rivisitare “Tutti giù per terra” dopo vent’anni e modificare un testo che ha avuto un tale successo?
Tutto è nato quando per i 150 anni dell’Unità d’Italia mi hanno chiesto di fare una lettura in una scuola e ho ripreso in mano il mio romanzo d’esordio: sono rimasto di sasso quando mi sono reso conto che certe cose erano rimaste identiche a vent’anni fa, mentre altre erano cambiate in peggio, a cominciare dall’arretramento dei diritti nel mondo del lavoro.
In una intervista radiofonica ti ho sentito dire che Torino ti ha permesso di fare lo scrittore grazie alla sua dimensione ancora umana, al fatto che lascia il tempo di avere tempo. C’è qualcosa in più, qualcosa che fa di Torino un posto in cui e di cui scrivere, qualcosa che senti profondamente tuo che appartiene a questa città e non a un’altra? E un difetto di Torino che proprio non ti va giù?
I gabbiani nel cielo di Porta Palazzo. L’assenza del mare.
Tornando al mondo editoriale, c’è stata nell’ultimo lustro un’esplosione di piattaforme di self-publishing. Questa, chiamiamola “opportunità”, esclude la selezione e l’accuratezza con cui un editore propone i suoi titoli e genera non solo un abbassamento qualitativo, ma anche una sorta di blob informe di libri che tendono a sparire e a far sparire gli altri. Pensi che questa sia la naturale evoluzione delle cose o speri che in qualche modo si torni alla vecchia maniera?
Avessi una palla di vetro che funziona, cambierei mestiere.
Si dice spesso che in Italia non si legge ma si scrive molto. Secondo te è giusto accompagnare sempre queste due affermazioni o hanno origini e sviluppi indipendenti? Esiste un modo per invogliare alla lettura?
In Italia non si legge perché da noi non c’è stata la Riforma, ma solo la Controriforma. I tedeschi hanno cominciato a leggere grazie a Lutero. L’unico modo per invogliare alla lettura è leggere ad alta voce un bel libro ai propri figli. Ma la cosa richiede tempo e voglia.
L’avventura del Salone del libro e della sua Officina sta per iniziare, quali le tue aspettative o certezze? Credi che l’anno prossimo si ripeterà il progetto?
Spero che il pubblico del Salone apprezzi il programma di Officina e l’idea di dar voce agli editori indipendenti. Se così sarà, credo che la cosa potrà ripetersi.
Giuseppe Culicchia – Torinese, classe ’65, è autore di un numero enorme di romanzi pubblicati con Garzanti, Laterza, Einaudi e Mondadori. Pluripremiato, lo caratterizza una scrittura ironica e acuta. Collabora con diverse testate tra cui LaStampa e Repubblica, e ha tradotto vari autori – Twain, F.S. Fitzgerald e B.E.Ellis – dall’inglese. Ha svolto a lungo il mestiere di libraio.
Per i libri c’è solo da scegliere