Ha trovato immediata e partecipata risposta l’appello del Sindaco di Torino e presidente dell’Associazione nazionale dei comuni italiani di portare le bandiere a mezz’asta in tutti i musei e luoghi cultura dello Stato per onorare la memoria dell’archeologo Khaled al Asaad ucciso barbaramente dall’Isis il 18 agosto. Nel 1963 fu nominato direttore del museo e del sito archeologico della città di Palmira in Siria, carica che mantenne per più di quarant’anni e alla quale ha sacrificato la vita.
Palmira, soprannominata la Sposa del deserto, divenne patrimonio dell’Umanità nel 1980 anche grazie al lavoro di al Asaad. Il meraviglioso sito archeologico, che evoca il nostro passato con le Terme di Diocleziano e i segni dell’impero romano, rischia di essere completamente distrutto dalla follia e dalla certezza di saper colpire i simboli di una storia millenaria con calcolata strategia mediatica.
E’ di questi giorno la notizia che l’Isis ha distrutto uno dei principali templi edificati nel deserto siriano. È quello di Baalshamin, situato a poche decine di metri dal teatro romano della città.
Un patrimonio che non sappiamo come difendere, forse perché appartenendo all’umanità intera non è una vero bene economico, lo è culturalmente.
Fosse appartenuto ad una banca ad un fondo d’investimento, ad una multinazionale ci sarebbe stato un esercito ben armato a proteggerlo, e forse avrebbe protetto anche la vita di chi lo conosceva. Come è successo e succede con i pozzi di petrolio in Libia o in tutti i luoghi caldi del mondo. Indenni e tutelati sono i nuovi patrimoni dell’umanità mercantile, la sola che ha vera forza e interesse nel difenderli.
Visiteremo questo tipo di vestigia un domani? Studieremo la storia di pozzi che hanno reso fortune di oro nero, nero come la fascia che altrettanto fragili musei oggi velleitariamente esibiscono. 

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