Quintetto Regio

Sabato 28 marzo gli artisti del del Teatro Regio eseguiranno musiche di Franz Schubert al Teatro Superga di Nichelino. Il Quintetto formato da Sergey Galaktionov violino, Tomoka Osakabe violino, Armando Barilli viola, Davide Eusebietti violoncello e dal contrabbasso di Davide Botto, strumento quest’ultimo che sostituisce il secondo violoncello, cosa che di rado accade: lo strumento più grave della famiglia degli archi, pur eseguendo le stesse note, dona all’ensemble un colore più avvolgente, specie nelle parti in pizzicato, come nel secondo movimento. Dalla ricca produzione di Franz Schubert (1797-1828) si ascolterà il Quintetto in do maggiore op. 163, d 956.
Bastano poche note dell’Allegro ma non troppo per scontrarsi con tutta la potenza espressiva dell’ultimo Schubert: prima un’idea composta, dai tratti quasi settecenteschi; poi un episodio violento, che inscena un dialogo sanguigno tra i vari strumenti; quindi il secondo tema cantabile al violoncello e al contrabbasso, accompagnati da pizzicati leggeri. Si passa da un clima all’altro senza nemmeno rendersene conto: a Schubert basta un’idea per voltare pagina, portando per mano l’ascoltatore attraverso paesaggi distanti. Nella coda c’è spazio per un dramma in miniatura, che rimette in scena tutti i personaggi di questo primo movimento, lasciandoli sfumare dolcemente nel silenzio.
Anche la staticità su cui si apre l’Adagio è profondamente espressiva: solo il primo violino emerge sugli altri strumenti, lasciando risuonare frammenti di melodia. Poi improvvisamente il discorso si anima: un dialogo agitato prende il sopravvento, attraversando un terreno irrequieto. Nella ripresa torna l’atmosfera celestiale della prima sezione; ma non è più come prima: l’agitazione della parte centrale non si è estinta, è ancora palpabile nei movimenti del violoncello.
Tocca allo Scherzo riportare l’ascoltatore alla concretezza della vita terrena, con tutta la sua vitalità impetuosa e genuina. Solo nella sezione centrale l’atmosfera torna a distendersi, adagiandosi su movimenti minimi e ben respirati. Il Finale sembra sancire la completa dissoluzione delle tensioni: si succedono una serie di episodi danzanti che potrebbero essere direttamente derivati dalle movimentate birrerie che animavano (e animano) i dintorni di Vienna. Tra le pieghe di un fantasioso rondò-sonata continuano però ad affiorare ombre evanescenti: un sottile gioco di specchi fra tonalità maggiori e minori che distende su tutto il finale un sottile velo di ambiguità” con queste parole Andrea Malvano ci introduce dentro al corpus semantico dell’opera.

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