Da anni seguo con un certo disinteresse il dibattito tra lettori e autori “meno conosciuti” riguardo a come vengano assegnati premi e riconoscimenti letterari nel nostro paese a bassa densità di lettori. Disinteresse perché trovo spesso i discorsi a riguardo privi di appeal e distanti dalle mie esigenze di lettrice (e come me noto anche di altri). Come dire, non credo di avere strumenti sufficienti a una critica articolata e per me il criterio di valutazione di un romanzo resta legato al gusto personale e alla capacità delle parole di un autore di coinvolgermi e trasportarmi altrove. Che sia un altrove piacevole o spiacevole, che sia atto a farmi divertire o ragionare non cambia. Dal momento in cui, però, ho cominciato a leggere non solo per divertirmi ma anche per imparare non ho potuto esimermi dal ragionare sui meccanismi che regolano il mercato editoriale italiano. Pubblicità, fascette, recensioni e premi di ogni tipo. Premi come lo Strega, che in passato ha visto vincitori come Flaiano, Pavese, Moravia per approdare negli ultimi anni ad autori come la Mazzantini, Giordano, Mazzucco e Veronesi – per non soffermarmi troppo sul premio giunto in famiglia, per “N.” Ernesto Ferrero, che tuttavia non posso evitare di considerare tra gli altri.

Antonio Scurati

ANTONIO SCURATI
In un articolo di Pippo Russo, pubblicato su Satisfiction, il bersaglio è Antonio Scurati e i suoi “Il bambino che sognava la fine del mondo” e il libro candidato allo Strega 2014, “Il padre infedele”. Pippo Russo denuncia un copia-e-incolla da un libro all’altro, in un curioso caso di autore che plagia se stesso.


È del 10 Giugno l’articolo di Pippo Russo  riguardo a uno dei finalisti del premio Strega di questo 2014: Antonio Scurati, con il suo romanzo “Il padre infedele”, che con altri quattro si contende l’ambito riconoscimento che sarà assegnato il 3 luglio in diretta tv su Rai 3.
Per chi non avesse letto tutto l’articolo, con prove evidenti e ben circostanziate Pippo Russo fa notare che alcuni passaggi – interi passaggi – del romanzo in gara in questa edizione sono identici a quelli scritti in un romanzo dello stesso Scurati del 2009. Si tratta di due passaggi che hanno di diverso il fatto che uno è in prima persona  e l’altro in terza singolare e qualche parola sparsa qua e là. Ma si tratta di brani interi copiati e incollati dall’autore da un romanzo all’altro e di cui nessuno pare essersi accorto finora. Non solo i 460 votanti del Premio, che dovrebbero aver letto il collega/autore (certo non sono obbligati a leggere l’opera omnia di ciascun candidato), ma nemmeno gli editor di Bompiani, casa editrice che ha pubblicato entrambi i romanzi. Fin qui si potrebbe parlare di una “furbata” dell’autore che, non vedendosi riconosciuto il valore di uno scritto, lo ripropone pari pari e stavolta viene premiato.
Non credo che l’auto-plagio sia punibile nemmeno dalla S.I.A.E.  e tutto sommato se il proprio pensiero è sempre uguale a se stesso nessuno ci impedisce di ripeterci all’infinito. Ma almeno avere il buon gusto di esporre il concetto usando parole e metafore diverse, trattandosi di uno scrittore … Mi sembra però che non sia solo qui la faccenda.
Come già suggerito dallo stesso Russo nel suo “L’importo della ferita e altre storie”, esiste una specie di patto con il lettore per cui quando si acquista un libro ci si aspetta quantomeno di non essere presi in giro. Questa auto-copiatura di Scurati suona come uno sberleffo al lettore, quindi il vederlo presente nella cinquina dei finalisti di quello che a oggi è il Premio che assicura un maggior “rientro” in fatto di acquisti appare come una mancanza di rispetto. Posto che un lettore comune, non avvezzo alla critica, si ricordi passaggi interi a una distanza di quattro anni è alquanto fastidioso il tentativo di bypassare il patto con chi acquista un romanzo aspettandosi qualcosa di nuovo e scritto, come dire, apposta per lui. Tra l’altro proprio nel suddetto libro Pippo Russo dedica un’intera sezione all’autore di questa trovata, pertanto essendo fresco di lettura ha avuto meno difficoltà a ricordare.
Che oggi il copia-incolla sia applicato in molti degli ambiti che riguardano i libri – titoli tutti uguali, stesse copertine, trilogie come se piovesse, filoni portati avanti ossessivamente fino alla nausea, storie che si ripetono senza grossi spunti di originalità – non giustifica l’autore o chiunque ne faccia uso sperando in un maggiore successo. Se è vero che il lettore medio è abitudinario e acquista più facilmente ciò che riconosce, fermarsi davanti a uno scaffale e non distinguere un libro dall’altro non lo spinge di sicuro a comprare. Credo che servano lettori attenti, esigenti, indipendenti, con gusti precisi e non omologati; quel minimo di onestà intellettuale in chi propone un testo a un editore sapendo di non aver fatto il possibile affinché il lavoro fosse originale. E, anche, un rigore maggiore da parte di chi seleziona e corregge o aiuta a correggere i romanzi da pubblicare. Possono esserci sviste, refusi, errori e nessuna di queste cose è grave quanto la poca professionalità di chi cerca scorciatoie. L’etica dovrebbe valere qualcosa, a questo mondo.
All’articolo pubblicato su Satisfiction è seguita una polemica da parte del fondatore del magazine, Gian Paolo Serino, con i giurati del Premio Strega come riportato da Optima Italia e da la Bottega di Hamlin che è infine approdata al più seguito Dagospia senza ancora smuovere gli animi dei giurati che l’11 giugno hanno proclamato la cinquina dei finalisti includendo Scurati, che per voti si è anche aggiudicato il secondo posto.
La questione che riguarda da tempo le critiche al Premio Strega, la spartizione tra le grosse case editrici fatta a tavolino di anno in anno senza che buona parte dei giurati abbia voce in capitolo, il progressivo calo della qualità degli scritti premiati, la scarsa necessità di alcune assegnazioni (se si premia un certo titolo per promuoverlo, che senso può avere la vittoria di un romanzo che ha già incassato ben oltre la media quando si potrebbe “spingere” un autore meno appariscente?) pone gravi interrogativi su un sistema che ormai sembra al collasso. Che siamo giunti a un periodo di svolta e che la direzione da prendere non sia ancora certa è purtroppo chiaro ai più.
Ai lettori, confusi da troppa offerta e poco amore per la lettura – o se vogliamo da troppa pubblicità a falsi capolavori e dalla ostentazione della mediocrità come valore assoluto; agli autori, incapaci di gestire le richieste del mercato e del pubblico, dello show business e della tuttologia spinta e anche agli editori, divisi tra la necessità di coinvolgere il maggior numero di acquirenti e quella di portare avanti quel minimo di qualità che occorre per distinguere un editore serio da un tipografo di quartiere. Insomma, se in ambito editoriale regna il caos è ovvio che qualcuno ne approfitti per portare a casa il tanto agognato Premio, che quantomeno assicura un certo numero di copie vendute in più.
Ma per quanto ancora i lettori e gli intellettuali non asserviti a tali giochi di potere/denaro avranno voglia di stare al gioco? Il rischio è di perdere definitivamente una credibilità che negli anni ha retto pur vacillando a tratti; è che i lettori scelgano di non seguire più alcuna indicazione degli addetti ai lavori. Creare una cultura del rifiuto senza che ci sia una contro-cultura in grado di sostituire la precedente. Il rischio è una perdita definitiva del lettore, categoria già sulla via dell’estinzione.
 

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