In Italia è diffusissima la convinzione che l’Unione europea non stia aiutando. Che gli unici a farlo siano Cina, Russia e Cuba. Com’è possibile che tanti italiani siano convinti di un dato che non ha alcun riscontro? Le due cause di questo scollamento. Le origini della disinformazione si conoscono benissimo.

Cosa significa, per un Paese, non avere un sistema d’informazione fondato sui criteri del giornalismo professionale.

In Italia impera la falsa convinzione che l’Unione europea non stia aiutando la Penisola, che non vi sia solidarietà dagli altri Stati membri e addirittura che gli italiani siano considerati «untori» del Continente. L’Italia sembra convinta che gli unici a sostenerla siano la Cina, la Russia e ultimamente Cuba. Vediamo il perché.

Perché l'Italia pensa che l'Europa non la aiuti.

Ph Irina Vinichenko

Ho già spiegato in parte perché questa convinzione è errata e dirò di più nei prossimi giorni sui provvedimenti economici europei. E’ vero che si sono registrate sottrazioni di materiale alle dogane, dovute a malviventi dotati di inaudite somme di contante, e anche da parte di organi di Stato. E’ accaduto e ancora accadrà, perché le situazioni eccezionali mettono in moto anche gli animi peggiori.

Bisogna distinguere, però, singoli episodi, per quanto gravi, dall’atteggiamento generale. Lo stesso vale per la comunicazione. Seguo ogni giorno i media di molti Paesi europei. Non ho mai sentito parlare di italiani untori, di disprezzo o disdegno per l’Italia. Che poi ci siano singoli che fanno o dicono scemenze, fa parte delle storture dell’umanità: anche in Italia, all’inizio della pandemia, si mandavano deserti senza motivo ristoranti e negozi cinesi, qualche cinese è finito pure malmenato.

Bisogna tenere distinti gli atti individuali dalla realtà, che si fonda su dati di validità generale, non sulla schizofrenia dei singoli.

Com’è possibile, allora, che tanti italiani, forse una maggioranza molto pronunciata, siano convinti di dati senza alcun riscontro e vi insistano con la testardaggine di un mulo?
Sono successe due cose: la prima
La prima è che l’attività delle fonti di informazione falsificate provenienti da Russia e Cina, attraverso Twitter e Facebook, è esplosa, in questi giorni. Una relazione pubblicata il 16 marzo sul sito della Divisione per la comunicazione strategica e l’analisi dell’informazione dell’Unione europea (>qui) prova che da profili extraeuropei partono a ripetizione messaggi nelle principali lingue del nostro continente con due finalità: convincere che il nuovo Coronavirus è frutto di ricerche di laboratorio negli Stati uniti, anziché essere sorto in Cina, come invece è dimostrato dalla scienza medica; confondere la popolazione diffondendo la convinzione che le autorità europee non siano in grado di affrontare il contagio e che i Paesi autoritari abbiano le soluzioni migliori.
Si tratta di milioni di post lanciati e rilanciati, moltiplicati su gruppi e pagine ad hoc. Sono gli stessi che agivano, ad esempio, per fomentare la confusione durante le proteste dei Gilet gialli in Francia, per orientare il referendum sulla Brexit nel Regno unito o affiancare le pretese degli indipendentisti catalani. La propaganda cinese, in queste ore, ha assunto gli stessi toni e gli stessi metodi. Fantasie? No. Si sa benissimo da dove partono questi messaggi, quali sono i profili e indirizzi IP che vengono utilizzati allo scopo.

Perché l'Italia pensa che l'Europa non aiuti.

Una delle sorgenti maggiormente indiziate da cui partono? La Agenzia di ricerche in Internet (Агентство интернет-исследований) di San Pietroburgo, Ulica [via] Optikova 4. No, non è una «rivelazione:» lo sanno tutti, la stessa agenzia non si preoccupa neppure di nascondersi. Sa benissimo che limitazioni tecnico-giuridiche e una ancora insufficiente consapevolezza del problema impediscono al resto del mondo di fermarla.

Taluni opporranno: «Ma io non ho mai letto sul mio profilo Facebook un messaggio di propaganda russa o cinese.» Invece sì. Uno di questi messaggi mi è stato segnalato proprio da una lettrice, colta da un dubbio, dopo averlo visto circolare sulla bacheca di un altro utente, che lo aveva condiviso in buona fede. Non si tratta di persone ignoranti o sbadate.

La finalità del testo è manifestamente falsificatoria: eppure, contiene dati storici per sé anche esatti, è formulato in modo credibile e rassicurante. Chi lo legge senza precauzioni arriva a questa conclusione: il posto dell’Italia non è in Europa, ma a fianco della Cina. Milioni di persone hanno visto quel testo e altri simili. Ne hanno derivato, senza neppure accorgersene, come da un messaggio subliminale, la stessa convinzione. La fonte primaria del post non è precisata: questo è stato il primo elemento che mi ha insospettito; per riconoscere la tecnica di scrittura tipica dei falsi, poi, non mi ci è voluto molto.

Quanti, però, sanno che un testo così si butta via subito e non si diffonde? E quand’anche la fonte fosse indicata, deve essere credibile, non un qualunque «Istituto di ricerca Tarapia Tapioco» che dice quel che vuole.
L’effetto che si osserva in questi giorni è simile a quello denunciato l’anno scorso dalla giornalista inglese Carole Cadwalladr, in una sua inchiesta sulla vittoria della Brexit nel referendum del 2016.

Intervistando chi aveva votato a favore, si accorse che moltissimi elettori riferivano convinzioni di pura fantasia. Gli abitanti di intere regioni erano convinti che restare nell’Ue avrebbe causato la chiusura di fabbriche, la fine di contributi pubblici, la vendita di stabilimenti a gruppi industriali turchi. Nessuno di questi dati era vero.  Chiedendo dove i cittadini avessero letto tali falsità, la Cadwalladr riceveva sempre la stessa risposta: «l’ho letto su Facebook.» Oggi, con il Coronavirus, il quadro è lo stesso.

La seconda ragione è tutta italiana
La seconda ragione di questo stato di cose è specifica italiana. E’ la mancanza, nella Penisola, di un sistema di informazione fondato sui criteri del giornalismo professionale. Citerò un esempio su tutti: la lettera di solidarietà del Presidente della Repubblica federale tedesca inviata nei giorni scorsi al capo dello Stato italiano, e che ha accompagnato gli aiuti tedeschi all’Italia, è stata ignorata dai media o confinata in commenti di terz’ordine, benché si trattasse di un gesto fortissimo.

Se i media italiani avessero seriamente voluto contrastare la narrazione imperante sull’inadeguatezza dell’Europa, avrebbero avuto, nella lettera del presidente tedesco, un’occasione d’oro. Non l’hanno colta.
Si assiste invece a elogi continui del miglioramento della situazione in Cina, in servizi affidati a una giornalista che sino a pochi mesi fa si occupava di Stati uniti e non sembra neppure parlare cinese, dalle informazioni disponibili.

Nei giorni scorsi, la RAI ha trasmesso più volte un servizio sulla situazione del Coronavirus in Russia: non so cosa m’abbia trattenuto dal tirare una scarpa nel televisore, al sentirlo. L’inviato RAI a Mosca ha lungamente intervistato la direttrice della sede russa dell’Organizzazione mondiale della sanità: questa ha riferito di un panorama idilliaco, dove il contagio viene prevenuto grazie ad avveniristiche applicazioni informatiche, si eseguono controlli nei modi dovuti, la popolazione rispetta le disposizioni. Stanno tutti bene e nessuno nasconde niente.
Anche un bambino sa che i rappresentanti delle istituzioni internazionali, nei Paesi autoritari, non possono far altro che sostenere la tesi del governo, altrimenti vengono cacciati. Esistono fonti più libere, in Russia, tra cui il quotidiano Novaja Gazeta, Meduza o la radio Eco di Mosca: faticano a restare in piedi, ma resistono, alcune operano da fuori del Paese. Riferiscono di una situazione ben diversa, da quella descritta dai media ufficiali, ma il giornalista italiano non le ha neppure citate. E’ possibile che il quadro dipinto dal pomposo servizio valga per le grandi città, ma nella sterminata provincia russa il sistema sanitario è al collasso da anni, i medici specialisti se ne vanno perché gli stipendi non sono più sufficienti, la popolazione vede chiudere un ospedale dopo l’altro e non c’è diretta televisiva di Putin nella quale gli abitanti delle campagne non lamentino l’abbandono sanitario delle loro regioni.

Il quotidiano russo indipendente in lingua inglese The Moscow Times [https://www.themoscowtimes.com/2020/03/21/exclusive-rich-russians-are-hoarding-ventilators-to-protect-themselves-against-the-coronavirus-a69703 ] ha pubblicato, il 21 marzo, un’inchiesta  secondo la quale oligarchi russi, con le loro ricchezze sconfinate, starebbero acquistando dagli ospedali (sì, acquistando dagli ospedali!) i letti di terapia intensiva, per farseli installare in casa propria. La notizia è del tutto verosimile, per chi conosce i modi spicci degli oligarchi russi; la testata non è l’ultima arrivata e l’inchiesta è stata condotta da tre giornalisti. Nel servizio della RAI, non una parola: la Russia ne usciva come un modello di organizzazione sanitaria, capace addirittura, in tutto ciò, di mandare aiuti all’Italia.
Ripetuti e lunghi servizi sono stati dedicati prima alla partenza, poi all’arrivo in Italia di 36 medici cubani. La narrazione ha toccato toni tra il ridicolo e il patetico, con l’ostentata presentazione dei sanitari che s’imbarcavano imbracciando il ritratto di Fidel Castro. Come nel caso della Cina, ripetiamolo per chiarezza: l’aiuto va apprezzato, ma si sta trasformando in un veicolo di propaganda contro il nostro sistema di vita e la nostra storia europea.

Non avere giornalisti professionali significa mandare davanti alle telecamere persone che faticano a controllare le emozioni, non riescono ad adeguare il tono di voce alle notizie, sembrano non saper organizzare le informazioni per renderle chiare a chi ascolta. Il tono dei presentatori dei notiziari tedeschi non è mutato, rispetto al solito. Quello dei giornalisti di France24, già molto contenuto, si è fatto ancora più severo; molte presentatrici, in questi giorni, indossano abiti scuri, come nei giorni dell’attentato al Bataclan.

In un servizio da una città veneta, qualche giorno fa, l’inviata RAI riferiva i numeri dei morti con lo stesso tono con il quale avrebbe sciorinato i risultati di una partita di calcio. Quando riferiscono i dati quotidiani dei defunti e dei contagiati, i giornalisti si perdono in un mare salamelecchi, interpretazioni, sospiri e pistolotti, e tu alla fine non capisci come stanno le cose. Ogni mattina, sulla rete di informazione continua italiana, un ragazzo legge una rassegna stampa con il tono di un adolescente spaventato, ma la sua non è una rassegna: legge titoli e spezzoni di articoli aggiungendovi chiose e considerazioni personali delle quali nessuno sente il bisogno.
Manca un argine alla disinformazione
Negli altri Paesi, le campagne di disinformazione provenienti da Russia e Cina tramite i social network trovano un argine almeno parziale nell’informazione professionale: in Italia no. Non accade solo in questi giorni, ma con il Coronavirus il gioco di amplificazione tra false notizie sui social e carenza di un’informazione professionale sui media giunge al parossismo, in una misura che non è esagerato definire paurosa, per le sorti della società aperta e per lo stile di vita europeo.
Bisogna credere che vi sia una regia, un «grande fratello» che guida i media italiani in questa direzione? No. Da una parte vi sono limiti evidenti nella scelta delle persone. Conosco giornalisti italiani eccellenti, che meriterebbero le telecamere dei grandi media: restano confinati in testate apprezzabili ma di secondo piano. Sulle grandi reti compaiono di rado e non riescono a influire. La massa è formata da giornalisti che danno sempre l’impressione di parlare di cose che non conoscono.
Dall’altra parte vi è un problema che non riguarda solo il giornalismo, ma tutti i circoli intellettuali italiani. Questi, quasi senza eccezioni, nascondono dietro l’accettazione formale e svogliata della società aperta una inconfessata nostalgia per l’autoritarismo.

Non parlo di intellettuali di «destra» o di «sinistra,» è una distinzione ormai del tutto irrilevante. L’autoritarismo di Putin è tutt’altro che di «sinistra,» ma in Russia gli intellettuali hanno la stessa funzione organica che avevano nell’Unione sovietica comunista, nella Cina di oggi o durante nazismo e fascismo.

La passione dell’intelligencija italiana è per un mondo in cui l’intellettuale non deve confrontarsi con la diversità; un mondo in cui a scrittori, giornalisti, attori vengono dati spazi pressoché illimitati per far subire all’umanità intera le loro tirate, purché si adeguino al regime di turno. Questa nostalgia fa sì che non vi è alcun bisogno di censure e grandi fratelli: gli intellettuali, inclusi i giornalisti, si censurano da soli.
Chi, per capacità e dignità, non è disposto ad accettare questa norma, scriva pure su qualche piccola testata, faccia un articoletto qui o là, si apra un blog, ma non acceda ai media di maggior tiratura, o, se lo fa, solo ogni tanto. Sennò si scoprirebbe che il re è nudo. E quale re, a questo mondo, vuol farsi scoprir nudo?

Courtesy Luca Lovisolo

 

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