In tema di Covid 19 stiamo assistendo a una continua rincorsa di provvedimenti, sovente mal raccordati, vuoi del Governo vuoi di singoli Regioni e Comuni. Si tratta di norme generate sull’onda della contingenza quotidiana, secondo il progredire di dati più o meno ufficiali sull’avanzata o sul regresso della pandemia e che, in ogni caso, si traducono in una mole di disposizioni tali, per complessità e stratificazione, da accrescere l’incertezza e da generare difficoltà in capo non solo ai normali cittadini ma anche presso i cosiddetti “operatori del diritto”.

Norme Covid tra Stato, Regioni, Comuni...

Canova.

Basti pensare che, dall’inizio dell’emergenza a oggi, sono stati emessi dal Governo ben 8 decreti legge e 7 decreti del Presidente del Consiglio. Vi hanno fatto, a vario titolo, seguito: a livello nazionale, 64 ordinanze e direttive nonché, a livello regionale – per restare al Piemonte -, ulteriori 18 atti tra ordinanze, decreti e note esplicative. A loro volta, infine, i sindaci dei singoli comuni hanno adottato ulteriori provvedimenti – anche attraverso la Giunta o altri organi (come il COSP, Comitato Salute Pubblica) – volti a specificare (o modificare?) le regole sovrastanti per lo specifico territorio. Va tuttavia detto che, in linea generale, spetta solo al governo centrale d’ impartire le regole generali in materia di salute pubblica, avendo le Regioni (ed, infine, i Comuni) titolo di adottare proprie ordinanze specifiche solo laddove non siano stati adottati, nel merito, nuovi provvedimenti al livello superiore. Il potere ordinatorio locale, cioè, s’intende legittimamente esercitato laddove nello specifico territorio siano sopravvenute esigenze che non consentano d’attendere un provvedimento (che, dunque, “non deve ancora esistere”) a livello centrale.

NORME COVID TRA STATO, REGIONI, COMUNI… CHI DOVREBBE FAR COSA?

La realtà dei fatti, come noto, è diversa: sovente, nell’attuale emergenza, le singole Regioni (ed anche diversi Comuni) hanno adottato norme volte a limitare o modificare disposizioni pur già presenti a livello centrale.

Un esempio può farsi con le più recenti disposizioni governative che hanno consentito di riaprire, dal 14 aprile, le librerie ma che sono state osteggiate, tramite ordinanze più restrittive, da diverse regioni (tra cui il Piemonte).

Si tratta di norme che il Prefetto locale, in rappresentanza del Governo centrale, potrebbe con ogni probabilità impugnare ma che, piuttosto, vengono di norma “lasciate correre” per ragioni di opportunità e di tempo. Possono farsi altre due considerazioni d’interesse generale: da un canto, è quanto meno dubbia la legittimità di ordinanze regionali che impongano l’adozione obbligatoria di mascherine in assenza di un provvedimento in tal senso, fondato su basi scientifiche, proprio del governo centrale.

Si tratta difatti di questioni inerenti la sanità pubblica in generale che con ciò, per loro natura, non possono essere trattate diversamente “da confine a confine”; dall’altro, ancora più a monte, è dubbia la stessa legittimità del metodo adottato dal governo centrale laddove si pensi che tutti i principali provvedimenti emergenziali sono stati fin qui assunti con lo strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, per sua natura sottratto alla disamina – almeno successiva (come accade per il Decreto Legge del Consiglio dei Ministri) – del Parlamento e tale da doversi usare quale estrema eccezione e non, come accade, ormai quotidianamente senza alcun confronto con l’organo elettivo.

E’ pacifico che l’eventuale prolungarsi dell’attuale lockdown potrebbe moltiplicare i cittadini che già vanno ricorrendo ad iniziative anche giudiziali (ad esempio, per contrastare una sanzione amministrativa irrogata per immotivata uscita dal domicilio) contro disposizioni sulla cui piena legittimità (anche in chiave, come si vede, di tenuta democratica del sistema) ormai dubitano molti interpreti.

Alessando Lazzari, avvocato in Torino

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