Di passaggio al teatro Alfieri di Torino con uno spettacolo da one man show, accompagnato da una band, è tornato Jerry Calà. Il suo spettacolo è un percorso a ritroso che compie un arco di trent’anni e riposiziona le lancette del tempo ai ruggenti anni ’80 di cui l’attore è stato certamente una sorta di emblema e non solo con i terrifici film dei fratelli Vanzina.

 I famosi film dedicati a vacanze all’insegna del kitsch più pacchiano e che per una strana insidia, un’imboscata della nostalgia oggi sopportiamo o addirittura riguardiamo con una specie di affetto. Si fa strada a sorpresa un particolare senso di perdono, accettando la leggera banalità di quelle storie fatte di piccole gag, di personaggi ad una sola dimensione, di storie sentimentali fin troppo semplificate, si giunge con un perverso e quasi innocente velo di compassione ad accettare quello che eravamo in quegli anni. 

Un “The way we are”, da italiani provinciali con sogni da yuppie che ancora non avevano assistito allo sberlone di tangentopoli. Un modo di ricordare con compassione, intenerito e quasi sgomento per essere passati attraverso la Milano da bere, e non essere troppo sicuri di essersene accorti; forse perché non eravamo Redford e la Streisand diretti da Pollack, ma per molti aspetti il profilo che ci disegnava sociologicamente sul modo di vivere e sulle cose da desiderare ben individuato da quei film ammette, oggi, poche concessioni vista la situazione e, come qualcosa di quel modello si sia insinuato ed oggi sia divenuto un aquilone lontano da rincorrere ascoltando le canzoni dell’epoca.

 Ed è proprio questo quello che fa il cabarettista e cantante Calà, e bisogna concedergli che lo sa fare bene; ci porta a correre con la memoria su una spiaggia da villaggio vacanze, nel resort dei ricordi che selvaggiamente selezionano per riportare a galla la parte più leggera, più lieve e rasserenante.

A sentirlo riproporre vecchi hit e canzoni ben scelte in omaggio Califano, Jannacci, Vasco, Jovanotti, Battisti, i tormentoni dei Gatti di Vicolo Miracoli, mentre alle spalle un proiettore ribalta diapositive e video del tempo che fu, scatta l’automatismo dell’effetto nostalgia, del ritrovare qualcosa di perduto, e Jerry tra una battuta appena sconcia, la dimestichezza dell’uso di un umorismo casareccio conquista il pubblico, lo fa ballare sotto il palco ed in amor di modernità lo filma dal proprio cellulare con periscope; lo strumento più moderno, la app del momento che dovrebbe esplorare l’ignoto viene rivolta indietro per guardare l’apoteosi del già noto, del passato. 

 Calà gioca con telefonino e pubblico, e improvvisamente  ritorna il ragazzo che nei film faceva pressapoco sempre la stessa parte o forse se stesso. Solo la faccia è davvero cambiata, l’aver passato i 60 anni lo ha reso più vero, riconoscibile, un uomo di spettacolo. In chiusura invita a cantare sul palco un altro frammento di memoria musicale torinese: Johnson Righera. Con l’intramontabile “l’estate sta finendo” finiscono due spensierate ore di show e di musica.

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