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Fioretto di natale: entro la befana andare a vedere la mostra di Niccolò Biddau alla triennale di Milano

Il progetto INDUSTRIA condotto dal fotografo torinese Niccolò Biddau, in un’attenta produzione autoriale raccoglie un prezioso lavoro d’indagine visiva, svolta presso le principali aziende nazionali: Alessi, Borsalino, Campagnolo, Campari, Cassina, Corneliani, Dalmine, Fiat, Italcementi, Pirelli, Magneti Marelli, Marzotto, Menabrea, Missoni,  Telecom, Zanotta, e molte altre ancora.
Una grande campagna fotografica oggi più che mai di particolare interesse e attualità, uno sguardo che ci riporta malgrado l’alta valenza estetica, a più urgenti riflessioni sullo stato dell’arte del sistema impresa, al patrimonio di risorse e competenze del Made in Italy e alla grave crisi che attraversa il settore industriale ed il paese da nord a sud.
INDUSTRIA è a Milano dal 29 novembre del 2013 e sarà possibile prenderne visione fino al 6 gennaio 2014.
In mostra si possono ammirare 30 stampe argentiche di grande formato, copie bianco e nero stampate in fine art su carta baritata, incorniciate con passepartout conservativo, realizzate con cura e competenza, cifra stilistica alla quale Biddau negli anni ci ha abituati. Il progetto espositivo è corredato da proiezioni video e da contributi critici utili ad accompagnare il visitatore in questo percorso fotografico dedicato. Un  filmato a colori di Giovannij Lucci raccoglie la testimonianza del fotografo, racconta la genesi e la realizzazione del progetto ma anche, illuminandoci sul mondo dell’industria italiana, il contributo di imprenditori. Il video in alta defizione contiene inoltre le dichiarazioni di critici e il backstage raccolto durante la realizzazione del progetto. La mostra è accompagnata dai testi della curatrice Susanna Legrenzi, del semiologo Paolo Caprettini e del critico della fotografia Christian Caujolle.
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L’impianto del percorso espositivo è organizzato in cinque sezioni: L’oggetto visto da vicino e la serialità; le persone; tecnologia estrema e manualità; architetture industriali; impianti e linee di produzione; il ‘900 e il 2000; la fabbrica contro i robot; le forme che ritornano; il riconoscibile e l’irriconoscibile.
Quanto esposto rivela un approccio dell’autore estatico ed estetico al cospetto del grande impatto della realtà industriale, nei confronti della quale ha maturato una percezione stupita ed ammirata, che lo ha visto impegnato, citando le parole di Biddau nella: “[…] ricerca d’inquadrature capaci di rivelare il vero carattere dell’industria: forte, operosa, ricca d’idee e impreziosita dal design”, per restituirci il senso di  “[…]stupore per la bellezza che gli impianti industriali e i manufatti in fase di produzione possono esprimere”.
Dal punto di vista della produzione delle immagini questa campagna rispecchia una profonda cultura della fotografia industriale italiana e del linguaggio messo in essere per promuoverne e pubblicizzarne le realtà produttive, le architetture, gli impianti e i prodotti, intendendo qui riferirsi alla grammatica e alla sintassi proprie della ripresa, del taglio dell’inquadratura e della scelta della luce, elementi stilistici riscontrabili presso numerosi archivi industriali, sia storici sia moderni, in special modo in quelli realizzati dal secondo dopoguerra agli anni del boom economico.
L’approccio culturale e il patrimonio visivo recuperato da Niccolò Biddau in questa missione fotografica, sedimentato e sommerso, sembra avere radici nella “Fotografia diretta” (straight photography) e nella scuola funzionalista della Bauhaus.
All’inizio del ‘900 la grande ondata di produzione di fotografia pittorialista venne via via affiancata dalla nuova estetica: la “forma si adegua alla funzione”, avvenne nelle arti, in architettura, nella scultura, e infine influenzò anche il linguaggio fotografico, si inziò a parlare di fotografia pura. Guardando il suo lavoro viene da pensare ad esempio all’opera del grande Paul Strand, alle sue fotografie nelle quali, fra i primi, tentava di dare voce alla bellezza degli strumenti e dei meccanismi di precisione, ma anche i primi piani ripresi ai fini della descrizione morfologica dei tronchi d’albero, dell’acqua, di numerosi e diversi soggetti naturali. La citazione del testo Photography di Paul Strand pubblicato nel secondo volume di “Seven Arts” nel 1917 “[…] Ciò significa un autentico rispetto per l’oggetto che il fotografo ha di fronte, espresso in termini di chiaroscuro… attraverso una gamma di valori tonali quasi infinita che va oltre l’abilità della mano umana. A una realizzazione esemplare si arriva senza trucchi ne manipolazioni, ma semplicemente facendo uso dei metodi della fotografia diretta, pura” calza bene al prodotto autoriale di Niccolò Biddau, anche se oltre che  all’opera e al pensiero di Strand non mancano riferimenti visivi ad autori del calibro di Edward Steichen, oppure Charles Sheeler che nel 1927 riprese gli stabilimenti Ford a Detroit, come pertinente è il riferimento alle riprese morfologiche e ravvicinate di Edward Weston; infine sebbene Biddau scriva “Non ho mai inteso dare un carattere documentaristico alle immagini” nella sua formazione visiva è anche figlio della scuola della fotografia documento, delle campagne americane condotte a New york da Lewis W. Hine che riprende gli operai al lavoro all’Empire State Building, o in ampi spazi inquadra le fanciulle alla filatura di cotone in Carolina. Sicuramente sappiamo che Biddau è stato influenzato dalla scuola del bianco e nero di Hansel Adams e dalla fotografia supportata dalla restituzione in stampa attraverso grande competenza tecnica, e quanto esposto ne è la riprova.
Consigliamo dunque, in queste giornate di pausa e riflessioni natalizie, di andare a vedere questa mostra in cui è possibile affacciarsi sulla realtà del Made in Italy e sul know-how del sistema Italia, in questo viaggio fra il tessile e il farmaceutico, dal metalmeccanico al food. Non ultimo, sarà così un’occasione per vedere l’opera di un bravo fotografo italiano, come da consuetudine, apprezzato e sostenuto più in ambito internazionale che in patria, il quale nel 2010 per originalità, merito artistico e stile è stato giudicato come uno dei migliori fotografi internazionali nell’impiego del bianco e nero dalla giuria del Black and Whithe Spider Awards, composta da trentanove tra i più importanti decision makers della fotografia mondiale e dal 2013 è rappresentato dalla galleria newyorkese Gallery Stock. Andiamo dunque alla Triennale di Milano a vedere entro il 6 gennaio la mostra INDUSTRIA, realizzata con il sostegno di Tenaris Dalmine, Lanfranchi e Guala Closures, in collaborazione con la Fondazione Dalmine e con il patrocinio di Museoimpresa, sostendo la nostra cultura e augurandoci che per molte delle campagne fotografiche industriali svolte ed esposte non si sconfini, nel breve termine, in ambito di archeologia industriale.
Daniela Giordi

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