istituto sociale sede storica di via xx settembre
Sono ormai passati quindici anni da quando l’illustre e poliedrico torinese Mario Soldati, fu scrittore, giornalista, regista cinematografico, sceneggiatore e autore televisivo, si spense a Tellaro.
Il suo contributo intellettuale e sociale è stato ricordato dalla sua Torino con due momenti: il 19 giugno 2014 con una cerimonia in Consiglio Comunale e recentemente, il 18 novembre 2014, dal Centro Pannunzio, con un Convegno nell’aula Magna dell’Università di Torino dal titolo “Mario Soldati e il Piemonte”, lo rcordano Giorgio Barberi Squarotti ,Ugo Nespolo, Peppino Ortoleva e Giuliana C. Galvagno, Giovanni Ramella, Roberto Pirino, Pier Franco Quaglieni.
Qui vogliamo ricordare un aspetto particolare di questa eminente figura della cultura laica e liberale torinese: gli anni della sua formazione all’Istituto Sociale e il suo rapporto con i gesuiti. 

Nell’ottobre del 1955 veniva pubblicato, da Garzanti, il romanzo La Confessione l’immagine in copertina è la sagoma di un’ombra umana che si allunga su un pavimento a scacchi bianchi e neri. Quell’immagine, di Lucio Bianconi, riprende l’incipit del romanzo e le scale e il pavimento del corridoio raffigurato ed evocato è quello del “vecchio” Istituto Sociale, quello con l’ingresso in via Arcivescovado 9.
All’interno dell’Istituto Sociale, Collegio fondato dai padri gesuiti nel 1881, Mario Soldati fece la sua intera formazione. Nel 1912 inizia le scuole elementari, come “esterno”, iscritto alla prima ginnasio nel 1916, dopo aver saltato la seconda ginnasio, per merito, proseguì gli studi sino alla terza liceo classico, a.s. 1922-23.
L’alunno Soldati è uno studente eccellente e la crescente famigliarità con i gesuiti e l’esempio della mamma, Barbara Bargilli donna volitiva, profondamente e attivamente religiosa e sensibile alle arti, e della nonna, lo portano a maturare un’adesione convinta alla religione cattolica, tanto da non escludere l’idea di diventare gesuita, idea che però allontana nel periodo del liceo e che abbandona definitivamente quando farà il suo ingresso all’Università di Torino, dove si laurea, in Storia dell’arte, con Lionello Venturi nel 1927. Dichiara Soldati in un’intervista a Messori: sono stato un allievo dei gesuiti esemplare, da comunione quotidiana almeno sino ai sedici anni. Il percorso brillante di Mario Soldati nell’istituto dei padri gesuiti è confermato dai numerosi premi conseguiti durante l’intero percorso scolastico. Dagli archivi dell’istituto Sociale si può constatare che l’allievo Mario Soldati risulta premiato, spesso come primo, in molti tra i settori formativi, didattici e sportivi, dell’attività scolastica.
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Il premio, sin dalle origini, ha un posto di rilievo nella pedagogia dei gesuiti, si prescrive ne La Ratio Studiorum: Non c’è nulla che incoraggi l’animo dei giovani alla fatica dello studio quanto la distribuzione dei premi; perciò bisogna adoperarsi in ogni modo che questa si tenga almeno una volta all’anno. La prima solenne distribuzione dei premi avvenne nel Collegio Romano nel 1564, mirava a favorire l’emulazione fra gli alunni e a stimolare l’apprendimento, riconoscendo pubblicamente l’impegno e il lavoro svolto.
Ma un particolare ricordo merita la solenne distribuzione dei premi agli alunni dell’Istituto Sociale per l’anno scolastico 1921-1922, infatti il 13 dicembre 1922 lo studente Mario Soldati veniva presentato come esempio e gli veniva assegnata una speciale medaglia d’onore;
L’onorificenza era stata conferita al nostro per il coraggioso salvataggio, dalle acque gelide del Po, di Lello Richelmy, suo coetaneo e fratello dell’amico Tino, futuro poeta e giornalista, entrambi alunni del Sociale. A Soldati era stata conferita, per tale gesto, una Medaglia d’Argento con Reale Decreto del 27 Ottobre 1922, in ricordo dell’avvenimento nel marzo 2011 è stata affissa ai Murazzi del Po, Ponte Vittorio Emanuele I, lato Piazza Vittorio Veneto, un targa commemorativa.
Del lungo periodo, ben undici anni, vissuto nel collegio, così sono chiamate nel gergo gesuitico le scuole della Compagnia di Gesù, il momento più problematico fu quello della scuola media e nei suoi ricordi ha rilievo la fatica dello studiare, così rammenta Soldati, in Un prato di papaveri. Diario 1947-1964: Se, con un fulmineo ripasso, cerco di vedere tutta la mia vita, mi accorgo che ho avuto, dopo periodi e momenti travagliati e anche tragici: ma che gli anni più mesti, più grigi, più chiusi furono di gran lunga e senza dubbio alcuno, quelli della scuola media. Gli anni? C’erano varchi immensi e liberi delle vacanze. Diciamo, dunque, in quegli anni, i lunghi mesi di scuola.
Pensate all’energia, alla vitalità di un ragazzino tra i dodici e i quindici-sedici anni! Pensate come deve essere duro, per lui, essere costretto in un banco, tra libri, immobile e attento nello sforzo di apprendere nozioni noiose, di cui, lì per lì, non è in grado di supporre l’utilità!
Ero sempre tra i primi della classe: eppure mi ricordo che la scuola mi faceva, sempre, l’effetto di una prigione. … Forse l’acquisto di una vera cultura è inseparabile da una certa fatica e da una certa sofferenza.
Al Sociale Mario Soldati matura un approccio aperto e problematico verso la vita, il sapere, la religione; fra i molti padri incontrati nelle aule, nei corridoi, nella cappella e nel cortile del Sociale merita una menzione il p. Mario Zabelli S.J., Prefetto per gli alunni esterni e suo docente di matematica in quinta ginnasio (a.s. 1919-1920).
Soldati nel corso della sua vita rievocherà più volte la sua frequentazione del Sociale; in un articolo scritto sul Corriere della Sera del 20 ottobre 1988, in occasione dell’uscita dell’autobiografia, Frammenti di memoria, dell’amico Giulio Einaudi ricorda come questo luogo gli è caro e come abbia segnato la sua mentalità anche a distanza di anni: Egualmente torinesi tu ed io, purtroppo apparteniamo a due mentalità profondamente diverse. Gli anni decisivi, a questo proposito, sono quei dodici che vanno dall’età di 6 anni all’età di 18: insomma, gli anni delle elementari, del ginnasio e del liceo. Ebbene, allora tu eri o saresti stato poi del D’Azeglio e io, invece ero o ero già stato del Sociale. Laica la tua mentalità, gesuitica la mia … Eppure come vorrei ricordarti, se te la sei dimenticata, o rivelarti se non te ne eri mai reso conto, la straziante differenza tra le due scuole! Bisognerebbe che fosse ancora in vita qualcuno capace di evocare, imitandola con esattezza, la cadenza di ostilità perplessa con cui quelli del Sociale dicevano ‘quelli del D’Azeglio’ e la cadenza di sferzante ironia con cui quelli del D’Azeglio dicevano ‘quelli del Sociale’. ………
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Io allora, amavo soltanto Virgilio, Tibullo, Ovidio, Dante, Leopardi, Manzoni, e rimuovevo da me tutto il resto dell’esistenza. Tuttavia, arrivò a svegliarmi, improvvisa e imprevista, una scossa enorme: il 28 ottobre 1922. Il giorno dopo, il 29, la mattina avevamo lezione di storia. L’insegnante era un gesuita, si chiamava Marocco, padre Marocco. Nella nostra classe c’era un paio di fascisti: in attesa della lezione, all’ultimo momento, applicarono alla cattedra un giornale col ritratto dell’on. Mussolini. Entra padre Marocco … presto si accorge di una certa agitazione … si alza … vede. Straccia il giornale, lo appallottola, lo scaglia nel cestino … Finché dice tranquillamente: ‘in ogni caso, costui non è certo Bonaparte’. E riprende la lezione dove l’aveva interrotta. Vedi dove mi hai trascinato. Giulio? Non potevo non difendere il mio Sociale.
Il suo legame con i gesuiti rimarrà sino alla fine nonostante il mutare del suo atteggiamento e delle sue valutazioni nei confronti del cattolicesimo, dichiara: … il mio legame con i Gesuiti non cambiò. Ho maturato una profonda stima per loro, per il loro modo di vedere le cose, di pensare. Erano intelligenti, studiosi, preparati, insegnavano bene latino e greco, insegnavano a distinguere, questo è fondamentale. Da loro ho imparato anche il gusto della volontà Devo a loro se in seguito ho capito Pascal, Racine, Sainte-Beuve e così, nell’epoca moderna, Bernanos, Greene, Mauriac….
Questo “insegnare a distinguere”, quell’esercizio continuo della ragione è forse alla base di quello che Luigi Baldacci definisce il cattolicesimo paradossale di Soldati. Così osserva Baldacci introducendo nel 1966 una ristampa del Le lettere da Capri (1954): Nel cattolicesimo paradossale di Soldati c’è … una buona dose di razionalismo che gli consente di ribellarsi contro la giustizia-ingiustizia di Dio. Ma quella ribellione non sarà mai totale
Così invece dichiara nell’intervista rilasciata a Davide Lajolo nel 1983: Sostanzialmente le leggi morali di comportamento della Chiesa mi vanno benissimo, le ritengo valide. Quello invece in cui non credo è la sopravvivenza dell’anima individuale … La mia fede si concede molte libertà, non riguarda l’aldilà, ma al di qua. Insomma credo, ma a modo mio.
Questo cattolicesimo paradossale, questa fede che si interroga e che lotta contro il facile conformismo e che non si adagia alla certezze a buon mercato, la ricerca di un Dio che ha come caratteristica la misericordia e a differenza dell’essere dell’Ente Supremo è metafisicamente indifferente alla sessualità degli uomini, è, forse, la cifra della ricerca religiosa di Soldati e, in questo travagliato cammino, la formazione gesuitica ha avuto un rilevanza notevole. Significativo il fatto narrato nel bellissimo racconto intitolato Roma, contenuto nella raccolta Rami secchi, uscito per Rizzoli nell’ottobre 1989. Soldati racconta di una notte, verso gli anni Trenta, è a Roma e dopo aver assistito a una conferenza di Ernesto Buonaiuti, è in sua compagnia davanti alla stazione Termini, sotto una pensilina dell’autobus. Qui rivela all’illustre prete scomunicato, esponente di punta del modernismo europeo, il desiderio irrefrenabile di confessarsi dopo tanti anni di astinenza, manifesta l’angoscia che gli procura il vivere nella città eterna e come questo lo costringe al peccato quotidiano della carne. Significativa la risposta liberatoria che Soldati mette in bocca a Buonaiuti: Però, caro Soldati, in ogni caso, questa mi pare la volta buona di non dimenticare i suoi Reverendi Padri: distinguere sempre, no? Una cosa sono i suoi problemi personali, comprensibilissimi, e i suoi peccati, se ci sono, perdonabilissimi, eh, la carne è fragile, e che vuole poi che importi a Nostro Signore di quelle sciocchezze? Il male, caso mai, sta proprio nel l’eccessiva importanza che lei dà, o mi pare dia, con colpevole orgoglio, a quelle sciocchezze… E un’altra cosa è Roma.
Un rapporto particolare fu quello di Mario Soldati con p. Enrico Farinelli S.J., non un professore ma un alunno del Sociale, di poco più vecchio.
Enrico Farinelli, nato a Muralto (Locarno) nel 1903, morto a Torino nel 1979, fa il suo ingresso al Sociale come convittore nel 1915 e si iscrive alla 2a ginnasio, Soldati allora frequentava la 4a elementare. Maturato nel 1922, quindi un anno prima di Soldati, entra in compagnia il 27 ottobre dello stesso anno e viene ordinato il 14 luglio 1934, professione perpetua il 2 febbraio 1939. Ritorna al Sociale come prefetto nel 1929 e vi rimane con alcune interruzioni sino al 1979, anno della sua morte, prima come insegnate di religione e poi direttore della congregazione mariana e padre spirituale.
La figura di p. Farinelli ritorna più volte nella vita di Mario Soldati come amico e interlocutore attento su varie tematiche, nei loro scambi di opinione torna sempre la presenza di un luogo comune: l’Istituto Sociale.
Padre Farinelli è il protagonista del racconto L’amico gesuita, che da il titolo alla raccolta pubblicata da Rizzoli nel 1943. Dall’incontro casuale alla stazione di Borgomanero, dopo vari anni di separazione, riemergono dalla memoria i ricordi, le impressioni , le sensazioni degli anni trascorsi nel collegio torinese.
Nel 1974 Mario Soldati narra di un secondo incontro con p. Farinelli, il gesuita, allora ancora al Sociale come padre Spirituale della Comunità, il quale giovandosi dell’occasione di trovarsi ospite per alcuni giorni presso la residenza dei Gesuiti a Carrara, affronta il breve viaggio in treno per recarsi a Tellaro, nell’articolo Un gesuita e la crisi della Chiesa, apparso su La Stampa del 29 settembre 1974, Mario Soldati riassume la loro chiacchierata, sullo sfondo della narrazione sempre i gesuiti, gli anni degli studi, il Sociale con le trasformazioni del Collegio: il trasferimento di sede, prima in via Asinari di Bernezzo, nel 1964 e l’avvicinarsi del definitivo spostamento in Corso Siracusa nel 1975 e le classi miste.
P. Enrico è ancora il destinatario, benché non nominato, di uno scritto di Soldati: Lettera aperta a un amico gesuita, occhiello dell’elzeviro Il piacere della violenza, pubblicato su La Stampa del 24 dicembre 1978
L’attenzione di Mario Soldati per i gesuiti e il suo legame con il Sociale fu presente sino alla fine della sua lunga vita. Ne ho avuto conferma da una testimonianza lasciatami da p. Luigi Manino S.J. che ho incontrato recentemente, 4 novembre 2014, a Cuneo presso il Collegio San Tommaso di Cuneo. Mi ha narrato del suo incontro con Mario Soldati avvenuto negli anni ’90, dopo la morte della moglie. P. Manino ricorda era a Carrara, superiore della comunità dei gesuiti. Narra che Soldati venuto a sapere che presso la residenza dei gesuiti c’era un ex alunno del Sociale, venne accompagnato dalla segretaria a cercarlo, il padre era assente, Soldati lascio detto che avrebbe avuto piacere di conoscerlo e che era venuto apposta da Tellaro perché aveva piacere di parlare del Sociale. P. Manino incuriosito prese contatto e andò a trovarlo. Soldati aveva piacere di rievocare il Sociale: i muri, i corridoi, la disciplina, il silenzio, il modo di stare in classe, di ricordare lo stile Sociale. Ricorda che Soldati aveva preparato per lui un racconto che rievocava quei ricordi e che ne fece dono perché lo portasse a casa. P. Manino, rammenta che nello scritto Soldati, raccontava di un pomeriggio al Sociale, ne descriveva l’ambiente e ricordava che si trovava bene. Il colloquio non fu semplice perché Soldati aveva difficoltà nella parola, la segretaria lo aiutava. P. Manino sottolinea che fu molto colpito dalla cordialità di
Soldati, fu molto generoso nell’accoglierlo, nel fargli vedere la sua casa, la sua biblioteca, i suoi libri. Rammenta come Soldati dimostrava molta gratitudine ai gesuiti, pur essendo stato sempre un po’ ribelle e critico, un po’ scalpitante perché non amava la disciplina, ma era grato nell’averla provata sulla sua pelle, perché riconosceva che gli aveva permesso di essere diventato quello che era stato: un artista pieno di fantasia, con grande senso storico. Aveva fatto questo viaggio per venirmi a cercare ed era contento che io ero venuto a trovarlo. Nel suo narrare esprimeva il senso di una memoria storica del tempo che aveva lasciato il segno. Amava ricordare i luoghi, le persone, le abitudini, l’ambiente. Nella intervista p. Manino ha ricordato più volte l’ambiente austero del Sociale che però permetteva lo sviluppo del senso critico, della curiosità, dell’apertura verso l’esterno, pur nella severità dei comportamenti e nei valori che venivano proposti. In questo c’è stato un ritrovarsi, mentre io ricordavo esperienze mie e lui rievocava esperienze sue c’è stato un momento di bella amicizia.
Prof. Antonello Famà

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