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Affollato di pubblico l’incontro di giovedì 23 gennaio allo Spazio Don Chisciotte di Torino dedicato alla figura e alla vasta produzione pittorica e grafica di Mario Calandri (cui lo Spazio ha dedicato una personale con olii, acquerelli, tecniche miste e incisioni) è stata la conferma del valore di un artista considerato tra i massimi esponenti del Novecento nell’ambito della grafica incisa. A ricordare il le tematiche, illustrare le tecniche, decifrare lo sguardo e lo stile presenti nelle opere di Calandri, definire i rapporti tra l’artista e il mondo esterno sono stati due critici da sempre attenti alla sua espressività: Bruno Quaranta di Ttl-TuttoLibri e Franco Fanelli del Giornale dell’Arte.
Bruno Quaranta, in qualità di critico letterario, si è chiesto se ci sono stati pittori italiani che abbiano saputo attirare l’attenzione degli scrittori. E sì, Calandri ha saputo calamitare l’interesse di almeno due o tre autori importanti. «Arpino in primis – nota Quaranta – Arpino raccontava un aneddoto che allontana anni luce Calandri da ogni lettura vacuamente estetica, ovvero l’estetismo che è una degenerazione dell’estetica. Calandri non confondeva vita e arte, non subordinava la vita all’arte, così facendo rifulgere al diapason la vita nell’arte. Ecco l’aneddoto. «Un giorno Calandri ricevette in omaggio un’aragosta. L’amico che gli destinava questa regalìa confidava in due cose: nel piacere da “gourmet” del pittore e in un possibile acquerello o incisione, perché Calandri sa reinventare polpi, conchiglie, farfalle, granchi come nessuno al mondo. Dopo una settimana, l’amico telefonò per sapere quanto era stata gustata l’aragosta. E Calandri rispose: «Non parliamo di acquerelli o incisioni, per carità. E neanche di maionese. L’aragosta è molto intelligente, in questo momento sta giocando sotto il letto con la mia cagnolina».
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E poi, continua Quaranta,ecco Montale: «Arpino ricordava Montale “in  estasi davanti a una riproduzione formato cartolina di un’ortensia” di Calandri». Ed ecco Sciascia. «Commentando tre incisioni di Calandri – spiega Quaranta –  lo scrittore siciliano coglieva l’affinità fra Calandri e Maccari, “che va al di là del loro diverso mondo espressivo e riguarda il loro modo di vita (riecco la vita, ndr); il loro piacere di disegnare, di incidere, di dipingere; il loro non prendersi sul serio agli effetti della notorietà, del successo, del mercato e il loro prendere sul serio, invece, il piacere e il gusto di quel lavoro, l’affinarlo, il perfezionarlo; e il trovare in esso, insomma, premio sufficiente, del tutto appagante, al di fuori di ogni esibizione pratica”».

«C’è il polpo e ci sono le conchiglie – ha continuato Quaranta –, ci sono le rape e il luccio, c’è l’aringa e ci sono i limoni e i cortili. C’è tutto questo in Calandri, ma è altrove che Calandri si «avvita», il suo paese delle meraviglie, il confine oltrepassato: la giostra fremente, il palazzo incantato, i pupazzi gemelli delle ceronettiane marionette ideofore, i gufi di assoluta statura araldica, i bagni (non solo i bagni) trasfigurati dai collage, il sogno di un volto inafferrabile, il cine Splendor e spleen…».
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Franco Fanelli ha portato l’attenzione su un tema ricorrente nelle opere di Calandri: il tema del doppio, che si riflette in molte sfaccettatura come la rigorosità opposta alla sensualità ed erotismo, la semplicità in opposizione alla complessità, la quotidianità e la straordinarietà, tutte anime che riescono a convivere in armonia. Altri aspetti frequenti sono la ricerca dell’aspetto malinconico e crepuscolare, la capacità di collocare il mito in una dimensione urbana e quotidiana e viceversa. «Attraverso la semplicità, l’umiltà dei soggetti Calandri riesce a legare la grande tradizione culturale moderna con la mitizzazione del soggetto povero».

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