A MITO Settembre Musica si celebra un mito.
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Rappresentata per la prima volta dall’Accademia degli Invaghiti il 24 febbraio 1607 nell’appartamento della duchessa Margherita Gonzaga, vedova di Alfonso D’Este a Mantova, la favola in musica di Claudio Monteverdi ancora oggi è uno dei più antichi drammi per musica presentato ed eseguito con successo. 
Per celebrare i 450 anni della nascita del grande musicista barocco, Mito – Settembre Musica l’ha riproposto alla Casa Teatro Ragazzi e Giovani di Torino e, grazie a Dario Moretti, che ha curato testo, regia, pittura dal vivo ed effetti visivi, L’Orfeo di Monteverdi ha conquistato il giovane pubblico.
La partitura monteverdiana prevede un prologo, cinque atti intervallati da un coro e un orchestra varia che spazia dai clavicembali alle viole, dai chitarroni ai flauti. La versione ridotta per il giovane pubblico, in un continuum senza intervalli o calate di sipari, non ha sminuito il suo incredibile fascino. Anzi: la precisione drammaturgica è tale da realizzare in musica la grazia della prosodia mitologica.
Tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e dalle Georgiche di Virgilio, con riferimenti alle scene infernali de La Divina Commedia di Dante Alighieri, L’Orfeo di Monteverdi è un dramma che nasce dall’incontro tra musica e poesia, tra canto e orchestrazione, parole e versi.  Il librettista di Monteverdi è il funzionario di corte Alessandro Striggio, membro dell’Accademia degli Invaghiti. Il suo testo poetico pone al centro Orfeo, simbolo dell’arte e della musica, della bellezza e dell’amore. Nel libretto spicca l’elemento musicale melodico monteverdiano e non passa inosservato il mitico cantore, che ha ispirato poeti, scrittori e musici di tutti i tempi.
Figlio di Apollo e della musa Calliope, Orfeo incarna l’eterno mito della poesia e della musica, dell’innamorato cantore e dell’uomo disilluso. Chi appare nel melodramma monteverdiano è l’uomo – Orfeo e non il dio-Orfeo. L’uomo che si innamora della ninfa Euridice, l’uomo che soffre per la sua morte, che sfida il destino e scende nell’Ade pur di riavere la sua amata. 
Tutti partecipano del suo dramma: dai  pastori alle ninfe. Persino gli dèi si impietosiscono di fronte alla storia di amore e di dolore di Orfeo. E Orfeo canta e commuove, perché ha un solo obiettivo: far rivivere l’amata. Grazie a Plutone, che governa il regno dei morti, riesce a riavere Euridice, a patto che non si volti mai a guardarla. Ma non riesce. Infrange questo divieto e perde per sempre Euridice. Ne provoca una seconda morte. E anche forse la sua. Perché il suo è un amore vero!
Nel melodramma monteverdiano non si parla della sua fine atroce e forse è anche un bene, considerato il pubblico di giovanissimi. Monteverdi si riserva di annoverarlo tra gli immortali, perché il suo amore è tale, come la sua musica. 
Molti studiosi e autori hanno analizzato il mito e definito la storia: da Eschilo a Virgilio, da Poliziano a Rilke. Persino Cesare  Pavese nei Dialoghi con Leucò si è cimentato a fornirne una versione. Ma come tutti i miti, anche quello di Orfeo incuriosisce e insegna, indipendentemente dalla lettura lecita e personale di ognuno. Il mito di Orfeo resta comunque un libro aperto, dove ognuno può regalarsi un finale a piacere.
Maria Giovanna Iannizzi

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