primo numero della gazzetta
Dalla fondazione nei primi decenni dell’Ottocento alla chiusura negli anni Ottanta: la Gazzetta del Popolo rimane un esempio di onesta informazione e palestra per molti giornalisti, una pagina importante per la storia di Torino e d’Italia. A più di trent’anni dal fallimento, il quotidiano torna a far parlare di sé con il progetto di un nuovo archivio: nella speranza di portare anche un ammonimento affinché la sua sorte non ricapiti più.
Ogni piazza di Torino, come ci raccontano i nonni, nasconde un segreto. E ogni segreto, si sa, cela sempre una storia da scoprire. Alcuni affondano le radici indietro nel tempo, rendendo mitica la loro vicenda e regalando al contempo un’atmosfera unica alla città, che si fa forte di molte bellezze.
Tra i molti pregi di cui si può vantare Torino, c’è anche quello di esser stata capitale dell’editoria già dagli anni in cui fiorivano le testate di giornali sparse sul territorio di un’Italia non ancora unificata. Ben prima di diventare punto di riferimento per l’industria cinematografica, la città era stata culla viva e aperta culturalmente del giornalismo italiano dando i natali alla Gazzetta del Popolo, uno dei quotidiani più importanti della storia del nostro Paese.
Passeggiando per il centro e trovandosi a transitare per Largo IV Novembre nel cuore del Quadrilatero forse qualcuno avrà notato la statua che stringe nella mano proprio un giornale: si tratta di Giovanni Battista Bottero, uno dei fondatori della rivista insieme a Felice Govean e Alessandro Borrella. Proprio su questa piazza uscivano i numeri freschi di stampa durante gli anni più rosei per il giornale, lanciato nel 1848 sullo sfondo di un contesto politico delicato che vedeva l’affermarsi dei moti rivoluzionari. Parte non indifferente giocò La Gazzetta del Popolo, nell’appoggiare la politica di Cavour durante tutto il Risorgimento. Al lettore era proposta al prezzo di cinque centesimi, ragione che in parte ne spiega il successo e la diffusione, dovuta anche al taglio patriottico incoraggiato dall’entusiasmo crescente che trionfò con l’Unificazione del 1861; al contempo attenta alle esigenze sociali, essa si occupò delle associazioni di mutuo soccorso sempre con un occhio di riguardo per i cittadini.
Opponendosi a qualunque influenza del clero sulla politica italiana, il quotidiano si concentrò su questioni care alla nascente borghesia liberale cui si rivolgeva, rendendosi portavoce di opinioni vicine a Crispi e acquisendo una popolarità tale da metterla in competizione con la rivale La Stampa. Una ventata di novità tra gli argomenti non venne arrestata neanche durante il Fascismo, che piegò il giornale all’ideologia di regime: furono aggiunte e approfondite sezioni di sport, tempo libero e letteratura, curate nell’impaginazione dal nuovo direttore Ermanno Amicucci. Gli anni che seguirono l’instaurazione della Repubblica furono turbolenti dal punto di vista politico, così come lo fu la direzione presa dal giornale, che mutò nome in “Gazzetta d’Italia” per poi tornare poco più tardi all’originale e schierandosi apertamente dalla parte della Democrazia Cristiana.
Il destino del periodico sembrava già segnato allora, rivolto a un inarrestabile declino nonostante i frequenti passaggi di proprietà che tentarono di salvarne le sorti durante gli anni Sessanta e Settanta fino alla dichiarata bancarotta della società Editor che lo gestiva nel 1981. L’esperienza della Gazzetta del Popolo si concluse il 31 dicembre 1983 ma quel che ha rappresentato per la storia e il giornalismo italiani riveste un’importanza e un’eco il cui valore resta indiscusso ancor oggi: essa è stata palestra per molti redattori di spicco e, alle volte, trampolino di lancio come nel caso di Giorgio Bocca. “Nella fabbrica di giornali che era la Gazzetta del Popolo c’eravamo noi giornalisti che imparavamo il mestiere come un artigianato ben fatto, la notizia prima dei commenti, le virgole a posto, il giusto di grammatica. E c’erano i tipografi, usciti dalla scuola dei Salesiani, la migliore in Italia. Era un piacere vederli impaginare, allineare le linee di piombo delle linotype arrivando al giusto spessore con le interlinee precise con la pinzetta” ricorda nel libro che racconta la sua avventura nel mondo del giornalismo.

 
Tra gli altri nomi ci sono quello del direttore de La Repubblica Ezio Mauro, Lorenzo Mondo ora a La Stampa e Giampiero Gramaglia direttore dell’Ansa, che hanno fatto senza dubbio tesoro della loro esperienza. Nei duri anni di piombo il giornale lavorava con impegno tra le varie difficoltà, ed è ricordato oggi come scuola di vita oltre che di mestiere, nella sede storica di Corso Valdocco che qualche nostalgico ricorderà ancora per l’atmosfera misteriosa che la circondava. Gianni Boscolo, giornalista piemontese ed ex direttore della rivista Piemonte Parchi, offre una testimonianza di ciò che sentiva bambino accompagnando il papà fattorino al lavoro: “Mio padre Federico mi aveva portato a vedere il suo posto di lavoro: la «Gazzetta del Popolo». Quella volta varcammo l’entrata principale, in corso Valdocco. Ricordo l’effetto del pavimento lucido, le grandi scale ma, soprattutto, quel vecchio torchio da stampa che faceva mostra di sé nell’androne. […] Quel mondo mi appariva a un tempo gigantesco e fiabesco, oscuro e inquietante: certamente mi affascinava. Ed ero fiero del mio papà che mi spiegava: eppure è un lavoro importante dare notizie alla gente…”. Un’atmosfera particolare insomma, che chissà, forse avrà ispirato anche Alberto Moravia per l’ambientazione dei suoi romanzi, dal momento che egli collaborò con il quotidiano durante gli anni Trenta pubblicandovi alcuni racconti e articoli di politica estera.
Difficile quantificare allora un contributo così all’avanguardia pur col passare del tempo nella storia dell’editoria, della letteratura e mondo dell’informazione, che lascia l’amaro in bocca per una fine ingloriosa dovuta alla cattiva gestione. Il ricordo della Gazzetta del Popolo accende però un suggerimento, quello di proteggere le iniziative della stampa torinese per far sì che la sua sorte non si ripeta per altri: se ne è parlato proprio all’ultimo Salone del Libro di Torino a proposito della situazione delle testate giornalistiche locali. Dal dibattito che ha visto partecipi diversi nomi impegnati nella cultura è emersa una comune presa di coscienza per il patrimonio culturale rappresentato dai giornali, e in particolare l’esigenza di una digitalizzazione degli archivi che ne migliori l’accessibilità.
Proprio a partire dalla Gazzetta del Popolo: per il 2015 è infatti prevista la creazione di un catalogo apposito con tanto di foto, ora conservate all’Archivio Storico della città e particolarmente significative per la sua storia.
Negli stessi giorni in cui si paventa la chiusura dei giornali, tutto è meno perduto di quel che sembra. Se da una parte della Gazzetta del Popolo non resta che una diaspora di giornalisti capaci e tuttora attivi, dall’altra rimane un po’ di nostalgia, suscitata dal profumo dell’inchiostro che si confonde con quello del caffè davanti a un giornale fresco di stampa aperto la mattina.
Alice Sieve

 

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