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C’è una crisi che sta colpendo sempre più forte, c’è un pezzo di Torino, sempre più disperata che va a bussare alla porta della parrocchia per chiedere aiuto per le più elementari necessità materiali, ma c’è anche tanta voglia di reagire, di aprirsi, di fare crescere le esperienze. Nell’incontro con la stampa, che arriva a qualche giorno dal Natale, l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia traccia uno scenario con ombre nerissime, ma non privo di luci che danno speranza. Un quadro della situazione in cui emergono sia le preoccupazioni per il presente, sia la consapevolezza che molte cose possono cambiare anche all’interno della Chiesa.

Fra i dati più inquietanti, quello dell’aumento delle richieste di aiuto alle parrocchie: «In un anno – spiega Nosiglia – si sono quintuplicati» e poi due spaccati della società: il primo che arriva dalle mense per le persone in difficoltà, il secondo dall’impegno nella solidarietà e nel volontariato: «Una cosa che mi ha colpito molto – spiega l’arcivescovo di Torino – è vedere sempre di più famiglie con bambini. Prima erano per di più stranieri, magari qualche italiano, ma in ogni caso persone da sole, adesso sono sempre più le famiglie con bimbi piccoli».
Un altro dato è quello della solidarietà. Nelle due Torino che vede Nosiglia, una che non soffre più di tanto la crisi e quella che invece ne è investita, è la seconda in cui si vede una maggiore disponibilità, non solo a dare un contributo in denaro, ma soprattutto a darsi, a impegnare il proprio tempo per aiutare e aiutarsi. E in questo senso Nosiglia chiede un drastico cambio di mentalità, come se le persone in difficoltà dovessero essere solo dei destinatari di aiuti. «Dovremmo smetterla di parlare di poveri – dice Nosiglia nel suo messaggio di Natale – di senza dimora, di emarginati, di immigrati, di disabili, di cassintegrati e sforziamoci di chiamare per nome le persone ristabilendo con ognuno un rapporto concreto e sincero di dialogo e di accoglienza». Non solo per convincersi, come ricorda Nosiglia che amare: «significa ricevere più di quanto doniamo», ma anche per ricordare il diritto alla dignità di ogni uomo.
Ed è per questo che la Diocesi e le parrocchie sono sempre più impegnate a tenere insieme un tessuto sociale che rischia di strapparsi in maniera irrimediabile. Non ci sono solo il Cottolengo, il Sermig, e il Gruppo Abele. Ci sono la Caritas, la Fondazione Operti, la Fondazione Musy, l’Opera Barolo che sarà impegnata nell’housing sociale, i padri Orionini che aiuteranno non solo famiglie, ma anche studenti fuori sede. Ci sono le strutture, come Casa Mangrovia, Casa Nonno Mario e Casa Amica, ma ci sarà anche un centro di ascolto e sostegno per quegli imprenditori travolti o messi a dura prova dalla crisi.
Per quanto riguarda le persone senza casa, la Diocesi sta moltiplicando gli sforzi e sta lavorando all’apertura di un centro per donne, ma anche per creare presso il locale “La Sosta” un piccolo laboratorio per la realizzazione di oggetti artistici per permettere anche alle persone più in difficoltà di realizzare un piccolo reddito. Oltre a questo, ci si stanno mettendo d’impegno anche le parrocchie che, già adesso ospitano una sessantina di persone.
Gli altri punti dell’agenda di Nosiglia riguardano il Tavolo Rom, l’impegno per aiutare più persone possibili, soprattutto i giovani e quelli più scoraggiati, a cercare lavoro perché la dignità del pane guadagnato possa restituire più cittadini possibile alla società. «Vale più un piccolo lavoro – spiega Nosiglia – che un grande sussidio» e per questo anche le parrocchie si metteranno al servizio dei cittadini con i servizi per il lavoro, le azioni orientamento e avviamento e iniziative come le borse lavoro e il microcredito.
È in pieno svolgimento quella che l’Arcivescovo ha chiamato “l’Agorà del sociale”, ossia il progetto di coinvolgere la città su come affrontare il futuro con un maggior senso di solidarietà e fratellanza. I risultati dei lavori arriveranno per la prossima estate. L’obbiettivo è quello di ridurre il gap fra le due città che vede Nosiglia, mentre nuove e vecchie emergenze, come quelle legate al lavoro e alla casa, ma anche alla piaga del gioco d’azzardo o alle malattie come l’Aids, di cui non si parla più rischiano di creare un brutto clima in cui possono: «prendere piede poteri forti di stampo populista che usano le persone facendo leva sui loro drammi come strumenti di pressione per affermare le proprie posizioni e i propri interessi».
È per questo che è assolutamente fondamentale difendere la coesione sociale, con le buone prassi, cercando di capire che nulla tornerà come prima e che è necessario che ognuno si assuma le sue responsabilità per ascoltare chi non riesce nemmeno più a chiedere aiuto, per creare un welfare di comunità: «non sostitutivo del diritto e della giustizia di cui i poveri, in quanto cittadini devono poter usufruire». Per riuscirci – ha concluso Nosiglia – serve un esame di coscienza, a cominciare dalla Chiesa che deve interrogarsi sul suo ruolo: «stiamo facendo tutto il possibile per annunciare il vangelo ai poveri con le nostre scelte di povertà e di condivisione concreta?». Per sconfiggere il rischio della sindrome da ultima spiaggia, il senso di abbandono che fa sentire sempre più soli e minacciati serve un nuovo modo di vedere: «Dovremmo considerarci tutti soggetti e destinatari, insieme, nessuno escluso: uno che riceve e dà, uno che dà e riceve» andando nelle periferie, della città e dell’animo umano, senza paura delle conseguenze e: «denunciare se necessario le ingiustizia ma sapendo di pagare in prima persona per superarle».

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