Una giovane ragazza dallo sguardo timido si aggira nel foyer dell’Auditorium Rai con una cartella piena di fogli. Si avvicina, prima con lo sguardo incerto, poi più decisa e con lieve timore rivolge alcune domande al pubblico in attesa. È un indagine sugli spettatori del Torino Jazz Festival e lei è una dei tanti volontari sparpagliati in città.
 
È proprio di questi giorni una notizia che riguarda tutti loro. Il Comune di Torino ha deciso di creare un “Tavolo per i volontari di Torino” con lo scopo di coordinare le migliaia di persone che hanno voglia di partecipare alla vita culturale, sportiva e sociale. Al momento i tanti volontari che ci sono, si muovono frastagliati e manca un vero “hub” di raccolta per organizzatori e aspiranti volontari, giovani o meno giovani che siano.
Eventi e volontariato sono un binomio ormai obbligatorio. Non solo perché solo il volontariato può garantire una copertura di tutti i servizi per impegni di brevi durate. Ma anche perché gli effetti positivi, se preceduti da una gestione con visione e strategia, vanno ben oltre la manifestazione.
La tribù dei volontari da eventi.
Nel 2003 la Svizzera aveva intrapreso una strada interessante. Erano i Campionati Mondiali di Sci a St. Moritz e uno degli scopi di questo evento era quello di costruire una rete di volontariato. Non solo perché i tanti eventi avessero più facilità nel trovare collaboratori, ma soprattutto perché si voleva creare un nuovo legame tra le persone e la comunità. Si voleva, inoltre, avviare i giovani al lavoro tenendoli a casa.
Volontari a Londra 2012
Come potrebbe funzionare a Torino? Sempre la Svizzera regala un altro bell’esempio. Il comitato olimpico elvetico ha creato un portale di coordinamento. E’ una piattaforma in cui tutti possono condividere informazioni ed esperienze. Gli uffici centrali aiutano gli organizzatori di eventi sportivi a pianificare la collocazione delle funzioni operative, a individuare le persone adatte per un certo compito, a condividere una banca dati e creare comunicazione tramite facebook o twitter. È una vera tribù di volontari distribuita su un’intera nazione.
 
L’esperienza olimpica come trampolino.
La memoria di Torino 2006 è probabilmente ancora viva in chi vi ha partecipato. C’erano gli anziani che avevano trovato un modo per rendersi utile e stare insieme. C’erano giovani studenti che ne avevano approfittato per fare una prima palestra di lavoro. Non erano mancati i fanatici dello sport, o gli aspiranti giornalisti o gli studenti di lingue impossibili che finalmente potevano fare pratica accompagnando gli atleti più esotici dal villaggio olimpico al campo di gara. E poi c’erano ragazzi e ragazze stranieri, innamorati dell’Italia o dello sport o anche solo innamorati dell’idea di un esperienza condivisa.
Si può partire come volontario per imparare un mestiere. Oppure si decide di partecipare perché si vuole fare qualcosa per la propria città. Soprattutto, però, lo scegliere di essere volontario ha a che fare con la voglia di partecipare. Dare qualcosa, divertendosi. In fondo i volontari non hanno né responsabilità, né turni di lavoro estenuanti. Si prendono il meglio di un evento: il gusto dello stare insieme dentro il back stage, nel cuore di un evento. Chi fa il volontario non vuole essere solo uno spettatore.
Ingredienti per il volontario felice.
La passione è davvero il bene più prezioso che possa mettere a disposizione.
Per non sciuparla valgono poche regole: soddisfare i bisogni più importanti e dare un senso alla partecipazione. Per questo un coordinamento generale è una bella notizia. In questo modo sarà possibile aiutare gli organizzatori e allo stesso tempo aiutare i cittadini che vogliano essere protagonisti degli eventi in città.
La passione da sola però non basta. Anche l’esperienza ha un valore. Ben vengano i volontari che di evento in evento si occupano di aspetti simili. Non sostituiscono lo staff pagato, che è realmente responsabile e deve coordinare con sapienza le centinaia di persone coinvolte. Sono però i falsi dilettanti degli eventi: quelli che a forza di partecipare volontariamente diventano esperti. Come fossero dei professionisti offrono agli eventi non solo braccia da lavoro, ma anche un saper fare appassionato. Se poi sono giovani, sarà una gavetta di quelle che non scorderanno mai.
Stefania Demetz
 

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