Di passaggio a Torino per intervenire ad una conferenza da Camera, Centro Italiano per la Fotografia,  che ha da poco inaugurato una grande e sorprendente mostra di Erik Kessels, abbiamo intercettato Michele Smargiassi. Giornalista, scrittore, autore del seguitissimo blog Fotocrazia ospitato sul sito del quotidiano La Repubblica, dove con arguzia e sottile provocazione ferma in posa, il nostro tempo, abbastanza da leggerlo attraverso l’argomento della fotografia.
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La fotografia è diventato improvvisamente un argomento ?
La fotografia….non so se è diventato un argomento, sicuramente se lo è, è deprecatorio. Nel senso che si parla di molto delle fotografie propriamente digitali, ma di quelle che scambiamo, condivise, orrizzontali, e per di più se ne parla male, come un declino morale o psicologico. Tutti narcisisti, tutti bambini.
Un giudizio sull’avvento della foto da tasca, che non condivido, lo ritengo sbagliato, è legato all’incapacità di capire cosa sta succedendo alla fotografia oggi.
Sta attraversando una rivoluzione, diversa da come la si pensava anni fa, mi riferisco alle immagini smaterializzate, senza sostanza, tutti dicevano non c’è più il rapporto con la realtà. Balle… la foto ha continuato a funzionare esattamente come prima e nelle funzioni di prima.
Il problema è che la fluidità digitale ha dato luogo a nuove funzioni che prima trovavano un limite fortissimo nella tecnica; non erano riproducibili, la stragrande maggioranza di foto che si facevano nel mondo, intendo quelle private, delle vacanze della morosa, erano stampate in unica copia, poi si perdeva il negativo ed era finita così.
Erano foto uniche, dovevi rifotografarle se volevi una copia in più, visto che i negativi si perdevano spesso.La foto privata anche prima istituiva relazioni, però erano foto “in presenza”, affabulatorie, si mostravano agli amici, ci si parlava sopra. Dirette sempre a destinatari conosciuti, viso a viso. Mentre adesso grazie a questa fluidità possiamo condividerle, sono come palloncini in aria, dove cadono cadono non sappiamo nemmeno chi le guarderà e dove.
Non possiamo più sapere dove una nostra foto sia andata a finire, in Asia, in Alaska. Quello che è davvero cambiato è questa simultaneità, diffusione universale, l’orizzontalità, con il suo carattere effimero. Diffuse così, vivono il momento della condivisione e poi difficilmente restano. Non vengano riguardate. Adesso ci sono le storie su istagram, su fb ect, posti e poi il giorno dopo spariscono, la fotografia ha guadagnato un altro  status.  In fondo cosa è rimasto del bacio dato ieri, dello scapaccione, della carezza, era importante? Certo che si !
Eppure quei momenti si sono dissolti. La foto ha raggiunto la fluidità dei linguaggi paraverbali, della prossemica: insomma tutte quel linguaggi che noi usavamo per relazionarci con gli altri, adesso abbiamo anche la foto.
Parallelamente, però, sui media tradizionali c’è un recupero del tema, su Repubblica su cui scrivi, su Internazionale e altri ancora…Cosa che ieri non accadeva così spesso.

M. Smargiassi

Se sia merito di questa nuova attenzione alle immagini sarebbe tanto di guadagnato, non lo credo però, il fatto che ci sia più attenzione, una maggiore considerazione nel panorama culturale. Era considerata semplicemente uno strumento d’illustrazione. Anche se abbiano avuto stagioni in cui il fotoreportage era ben più visibile, rispetto a oggi. La foto su gli organi di stampa anche se sempre subordinata alla parola, era molto presente.
C’è stato un momento in cui le foto erano un linguaggio colto, se adesso torna è anche perché il mercato dell’arte se ne è appropriato. Ha bisogno di allargare la sua offerta di mettere sullo scaffale prodotti più vendibili, magari più economici, e non sempre. Il mercato della foto, essendo un multiplo a quotazioni diverse, ha prezzi raggiungibili, soprattutto può stare in una cornice e essere messa in casa, invece una performance è difficile metterla in salotto, come non stanno troppo bene in sala da pranzo i bambini impiccati di Cattelan.
L’arte contemporanea tende sempre più ad un destino di installazione di musealizzazione, di provocazione, la fotografia può ancora essere un oggetto di arredamento di lusso.
Rientra forse nel mondo piccolo borghese del salotto ?
Direi di si, …da salotto.
Il caso Vivian Maier, dalla scoperta, al film, alle pubblicazioni fino a divenire un soggetto per un fumetto di qualità. C’è solo una bella storia o qualcosa di più?
E’ un fenomeno pop, e a sua insaputa. Ha tutte le caratteristiche per esserlo. C’è una storia, c’è un po di mistero, qualcosa di romanzesco di romantico, la baby sitter che fotografa e non mostra niente a nessuno però è bravissima, sembra un personaggio da romanzo: mi ha ricordato la protagonista dell’eleganza del riccio, la portinaia descritta da Muriel Barbery.
Una Mary Poppins, ciò ha nutrito un sacco di mitologie, è molto gratificante, per un fotografo: un domani si verrà riscoperti grandi fotografi; insomma è davvero un personaggio dell’immaginario, la scoperta, la versatilità.
Non è la prima riscoperta, ci sono state tante storie simili, lo stesso Jacques Henri Lartigue era un fenomeno, ha iniziato ad esporre dopo i sessant’anni. Lui aveva una storia più agiata, nobiliare.  Accarezzare la mitologia della fotografia fa molto piacere, combacia con le aspirazioni dei fotografi dilettanti e no.
Questo tuo blog, su cui lavori molto, e il suo titolo Fotocrazia, come è nato e come è arrivato al pubblico. Sappiamo dei tuoi libri scritti in precedenza e gli articoli di critica e la curatela di mostre ma il blog..?
La cosa è nata nel 2009 contemporaneamente all’uscita del libro “Un’autentica bugia: la fotografia, il vero, il falso” Contrasto, che parla del vero e del falso in fotografia, le manipolazioni. Sei mesi dopo mi sono accorto che avrei voluto aggiungere un sacco di cose al libro, cose che nel frattempo succedevano e, mi rammaricavo del fatto che non potevo riscrivere tutto. Ho pensato che potevo utilizzare una scrittura on the run, quella del blog, che può essere aggiornata e corretta tutti i giorni. Interattività confronto con i lettori, dialogo.
E gratuità…
Si e questo non mi fa molto piacere…
Intendo che se si scrive su un giornale cartaceo, lo devo acquistare per poterti leggere, diversamente sul web si arriva facilmente ad un grande pubblico.
Al blog mi sono appassionato e ho dato voce ad alcuni temi che mi piacevano: il ruolo dello strumento, il rapporto tra immagine e testo; pochissime le recensioni di mostre o libri,  e quando le faccio servono come spunto per partire per la tangente e affrontare altre cose.
E il titolo ? 
Il titolo non doveva essere quello, io avevo pensato Post-fotografia, poi era un nome inflazionato e ho preferito Fotocrazia..
Anche perché è un potere, esercita un potere e ne è vittima, è diventata una parola sintetica, scherzosamente sono diventato il fotocrate; riconosco di gestire una sorta di potere, per chi mi legge, qualcuno poi lo chiama fotograzia e forse è perfino meglio, più dolce.
Due grandi scrittori contemporanei come Julian Barnes e Yasmina Reza, hanno utilizzano come strumento narrativo la fotografia, a diversi livelli. Ciò risulta interessante perché la letteratura ci aiuta a leggere le immagini, uno spunto in più dentro un contesto letterario.
La foto irrompe nel mondo letterario molto tardi, bisogna prima stamparla, e aspettare l’ultimo ventennio dell’800 perché divenga un oggetto comune. Ma la vera novità risiede nel fatto che essa può arrivare sui libri, illustrandoli. La reazioni degli scrittori di illustrare un romanzo con delle foto era piuttosto negativa, ci furono persino delle inchieste, perché è una sfida all’immaginario, incatena la fantasia a quello che si riteneva fosse un eccesso di oggettività.
La utilizzerà André Breton, per un romanzo, con il fine liberarsi dalle incombenze di tipo realista, prosaico. Le foto devono rappresentare la realtà di modo che l’autore possa varcarne i limiti, è stato difficile per la letteratura aver a che fare con la foto. W. G. Sebald, ha fatto questo libro, Austerlitz, dove le foto non hanno quasi nulla a che fare con il testo, si può leggere quasi un romanzo parallelo attraverso le immagini.
Un rapporto molto affascinante e non risolto. Di converso possiamo ricordare la litigata, divenuta storica, tra Elio Vittorini e il fotografo Luigi Crocenzi; questi si lamentò a ragione che le sue foto erano mal utilizzate, depotenziate e non considerate come testo narrativo. In Italia domina un logocentrismo crociano di lunghissima data. Solo Epoca portò idee nuove copiando da Life.
Ultima cosa, alle pareti di casa tua cosa c’è? 
Ho un tuffatore di Nino Migliori, con dedica.
Non colleziono per autodifesa, per lasciare qualcosa ai miei figli, collezionare è peggio di una malattia, ti coinvolge moltissimo.

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