Per tutto il corso della guerra avevo fatto parte del Regio esercito italiano. Il Duce e i suoi dettami non mi avevano mai convinto troppo ma come tanti avevo preferito credere di non aver altra scelta. Tuttavia da poche ore era stato proclamato l’armistizio e non si capiva più chi fossero i cattivi e se dovessimo ancora combattere. Solo allora trovai il coraggio di disertare. Che quelli a cui avremmo dovuto sparare fossero stati biondi o bruni con le lentiggini non m’importava più: ero stufo di quel gioco assurdo. Andai via di nascosto, nel cuore della notte.

Trovai rifugio nella boscaglia di una collina poco lontana dal villaggio, nei pressi di una rimessa in pietra che pareva abbandonata. Ero in un punto rialzato dietro ad alcuni grandi massi e avevo buona copertura e visibilità. Grazie a delle piccole scorte sarei potuto restare lì almeno tre giorni.
Presto notai che a dispetto delle apparenze dalle parti della cascina c’era un discreto via vai di gente. La prima mattina vi entrò un contadino con la moglie e due bambine. La donna aveva in mano un grande cesto pieno di frutta e ortaggi. Ne uscirono diverse ore dopo. La sera invece vi entrarono dei giovani che a giudicare dai vestiti lunghi ed eleganti dovevano appartenere all’alta società.
La mattina seguente la famiglia di contadini ritornò alla stessa ora. Era frustrante però non essere abbastanza vicino da poter vedere i loro volti. Mi sarei sentito meno solo e avrei capito se la guerra fosse finita o meno.
Nel pomeriggio vidi entrare una donna dalla lunga chioma liscia e un portamento orgoglioso, anche se vestita con abiti molto umili. Vi uscì dopo qualche ora e per quella sera il padrone di casa non ricevette altre visite. La mattina dopo però arrivò una coppia di nobili con un bambino per uscirvi dopo circa quattro ore. E nel pomeriggio un’altra donna sola varcò la soglia dell’abitazione ; portava abiti più costosi di quella della sera precedente e un grande cappello fugava ogni dubbio sulla sua estrazione sociale.
Iniziai a domandarmi cosa potesse avvenire dentro quel luogo. In quei due giorni vi avevo visto entrare l’aristocratico e il contadino, la nobil donna e la popolana. Cosa accomunava queste persone provenienti da quotidianità così diverse ? Nel tentativo di rispondere a tale quesito dimenticai le preoccupazioni relative alla mia sopravvivenza ; in particolare cosa avrei fatto una volta finite le scorte di cibo e se avessi dovuto muovermi verso Est o verso Ovest. E soprattutto al fatto che chiunque mi avesse trovato, che fosse stato tedesco, inglese o italiano, mi avrebbe probabilmente sparato a vista.

La mattina dopo il padrone di casa uscì per la prima volta. Fece un giro rapido intorno all’entrata e raccolse dei fiori. Da lontano riuscii a vedere che indossava un lungo camice bianco e allora pensai che doveva essere un dottore che aveva organizzato lì il suo studio medico.
Quella mattina non ricevette alcuna visita e nel pomeriggio uscì di nuovo per recarsi nel retro dell’abitazione. Dopo qualche secondo vi uscì a bordo di una macchina e quindi costeggiò la casa per imboccare la strada che conduceva al villaggio.
Non ero sicuro che dentro l’abitazione non ci fosse nessuno ma non avevo altra scelta : stavo finendo i viveri e dovevo provare ad entrare .
E poi ero curioso di capire chi fosse davvero colui che in parte condivideva la mia stessa solitudine in quella boscaglia : il mio nuovo e unico amico ; e quale fosse il suo segreto per attrarre a sè, senza distinzione, gente di tutte le età e di tutti i ceti sociali.
Mi avvicinai al casolare facendo il minimo rumore possibile. Presi una pietra e la lanciai verso la finestra da una distanza di qualche metro, poi corsi a rifugiarmi dietro il grande tronco di un albero. Frantumandosi il vetro fece un gran frastuono. Se ci fosse stato qualcuno sarebbe venuto fuori urlando, ma ciò non accadde ; e dopo qualche istante mi risolsi a procedere.
Entrai dalla stessa finestra che avevo rotto e mi ritrovai in quella che doveva essere la cucina. Su un tavolo c’erano del pane, della verdura e delle patate. E anche della frutta. Addentai subito un pezzo di pane. Dovevo fare in fretta. Non sarei però andato via senza capire cosa avvenisse lì dentro. C’erano due porte. Una era socchiusa e s’intravedeva una vasca : doveva trattarsi del bagno. L’altra sulla mia sinistra era chiusa. La aprii lentamente… In un primo momento il locale mi sembrò completamente vuoto per quanto fosse ampio e illuminato. La luce proveniva da una enorme vetrata sulla destra, dal lato opposto a quello in cui mi ero rifugiato durante quei giorni. E poi lungo i bordi erano collocati dei cavalletti e su alcuni vi erano delle tele. Altre tele erano appese sulle pareti ed altre ancora giacevano per terra, appoggiate al muro e coperte da lenzuola bianche. Un grande tavolo di legno in un angolo raccoglieva centinaia di utensili e tubetti di colore.
Avvicinandomi e osservando le tele che erano sui cavalleti ritrovai la famiglia di contadini che era entrata il primo giorno e la coppia di aristocratici con il suo giovanissimo rampollo. C’erano anche  la popolana e la nobil donna. Vidi per la prima volta le loro facce.
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Pur avendo l’ aria grave e malinconica di chi conviveva ogni giorno con gli orrori della guerra, dai soggetti traspariva una luce di bellezza e incanto, come trasportati in uno spazio lontano e in un tempo fiabesco. Mi soffermai sul ritratto di un bambino ben vestito, che a guardarlo bene doveva essere un adolescente. Malinconico, certo ; ma pure dallo sguardo curioso e intelligente, dal quale traspariva un certo stupore. Sarà  stato sorpreso di scoprire che un uomo, nonostante gli scempi e le brutture di quegli anni, riuscisse ancora nell’impresa di trovare un filo di bellezza e di speranza ; e dedicare a questa causa la sua esistenza.
Una porta si spalancò dietro di me e non ebbi il coraggio di girarmi. Riuscii solo a chiudere gli occhi. Non prima di aver fissato ancora una volta lo sguardo di quel ragazzo, così simile al mio.

Pierdomenico Bortune