Robert Doisneau è considerato uno dei massimi esponenti della fotografia umanista francese: idolo dello stesso Cartier-Bresson, è stato in grado di trasformare il materiale umano in un privilegio per gli occhi, nel desiderio del bene, nel bene stesso.

La mostra da poco inaugurata da Camera e curata da Gabriel Bauret su questo personaggio di spicco della fotografia del Novecento rivela il filo conduttore tra le tematiche che maggiormente hanno coinvolto la sua ricerca, cercando di esplorarla oltre i confini del celeberrimo “Bacio davanti all’Hotel de Ville” o del topos narrativo dell’infanzia.

Il bacio di Robert Doisneau

Robert Doisneau Le baiser de l’Hôtel de Ville, Paris 1950

Il potere delle immagini di Doisneau è quello di evocare un desiderio, di cercare – e trovare – nel reale l’immagine di ciò che è buono, puro, ancora innocente. Quando ferma l’espressione del marito che guarda di sbieco il quadro che ritrae una donna nuda mentre la moglie è intenta ad osservarne un altro nella stessa vetrina, non è il pensiero cinico a prevalere, non l’arteria ostruita del realismo volto al negativo, quanto semmai lo spirito del vero commediografo, di un Martone parigino, un Plauto moderno.

Il bacio di Robert Doisneau

Robert DoisneauUn regard oblique, Paris 1948

 

Il desiderio di Doisneau, ha detto lui stesso: “ […] era un mondo in cui mi sentivo a mio agio, in cui le persone erano gentili e dove potevo trovare la tenerezza che desideravo ricevere. Le mie foto erano come una prova del fatto che quel mondo può esistere.” Il dramma è anche relegato a ciò che in prima battuta pare non occorrere alla narrazione di una storia che inspiegabilmente si sa già che avrà un lieto fine, ed è per questo che guardando la signora che dorme in un rifugio d’emergenza in conseguenza ai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, non siamo di fronte al negativo della disperazione, ma alla resilienza del suo positivo.

La fotografia ha come potere intrinseco quello di rendere inattaccabile tutto ciò che fissa e che ritrae: ogni espressione umana, ogni idea che dell’uomo ci si fa guardandolo rappresentato, non concede argomentazioni contrarie, facendo cessare ogni possibile idea antitetica a quella che naturalmente l’immagine offre. Pare per questo che Doisneau sposò la fotografia per dar vita al suo lido felice, allo scenario immaginario da cui non dover fuggire, in cui potere, anzi, sostare anche per sempre. Doisneau è stato in questo modo in grado di creare un’intera, società verosimile nelle sue immagini, essendo ogni soggetto ritratto parte e partecipe di un più grande sistema a cui tutti sembrano appartenere senza riserve, in cui pure pare di poterli far dialogare da una fotografia all’altra senza la minima forzatura.

Il bacio di Robert Doisneau

Robert DoisneauLes frères, Paris 1934

A differenza di Cartier-Bresson, il cui genio ha reso possibile trovare e racchiudere la vita nella forma, traducendo il tormento impressionista di Monet in fotografia, Doisneau appartiene a visioni più miti, come in Manet. I suoi soggetti sono beati anche se non santificati, ancora del tutto reali e per questo non trasfigurati: ciò che raccontano appartiene a quel buono che c’è sulla terra, per le strade, nelle piccole abitazioni delle portinaie, nei sobborghi parigini destinati agli operai.

Manca in mostra il celebre ritratto che il fotografo fece al suo alter ego letterario, Jacques Prévert, e che ha racchiuso tanto spirito di Doisneau in poche parole: “Padre nostro che sei nei cieli/ restaci pure/ quanto a noi resteremo sulla terra,/ che a volte è così bella […]” (Pater noster – Parma, Guanda 1989).

Il bacio di Robert Doisneau

Robert DoisneauLe vélo de Tati, Paris 1949

Anche l’ingrediente ironico assume in Doisneau un connotato a sé stante nei suoi lavori: a differenza di Elliott Erwitt, in cui prende forma in un sarcasmo adulto e irriverente, nel fotografo francese riesce a rimanere congelato in un’espressione ancora serenamente fanciulla, capace di generare immagini non tanto in grado di far sgranare gli occhi a chi le guarda, ma di farli socchiudere in un sorriso a labbra strette. La grande fotografia umanista in generale e quella di Doisneau in particolare è il vero lusso per gli occhi: ogni storia pare possa avere un proprio senso, trovando trama e svolgimento senza il peso dell’intreccio.

Il bacio di Robert Doisneau

Robert DoisneauL’enfer, Paris 1952

L’uomo esiste, esiste il bene, suggerisce Doisneau; ed esiste la sopravvivenza di quel bene: cercarne i frammenti superstiti significa vedere nella realtà un residuo di sogno, fotografare le testimonianze di un’utopia. Come il bambino che probabilmente vede nel rivolo d’acqua ombre e riflessi rifratti dalle ondine che la discesa infonde al liquido, Doisneau stesso e noi con lui altrettanto probabilmente vediamo stupefatti nelle sue immagini le ombre incarnate di un mondo che esiste.

Carola Allemandi