I mostri che abbiamo dentro

Silenziosi e insinuanti

Sono il gene egoista Che senza complimenti Domina e conquista.

I mostri che abbiamo dentro Ci spingono alla violenza

Che quasi per simbiosi Si è incollata

Alla nostra esistenza.

La nostra vita civile,

La nostra idea di giustizia e uguaglianza

La convivenza sociale è minacciata Dai mostri che sono la nostra sostanza.

 

Queste parole inquietanti ed evocatrici di presagio, sono una estratto di una canzone allarmante di Giorgio Gaber uscita nel suo album postumo, del 2003.

Quando Carlo Calenda ha dato alle stampe per i tipi di Feltrinelli il suo pamphlet dal titolo “I Mostri, e come sconfiggerli” più che all’omonimo film di Dino Risi la memoria è tornata a Giorgio Gaber, alla sua costante lettura della società senza sconti, senza infingimenti e al suo modulare testo e voce che indicavano con precisione un male e, nel coglierlo, desiderare sanarlo.

Stupidamente intervistando Calenda, che passerà da Torino per presentare il suo libro I Mostri, ho dimenticato di chiedergli se la conoscesse, ma penso di sì, è molto probabile.

I Mostri di Carlo Calenda

Carlo Calenda

Molto del suo libro e dei suoi interventi trattano lo stretto rapporto tra economia e società.

Quello che accadrà e sta già accadendo è che il progresso tecnologico ed economico della globalizzazione vanno molto più veloce della capacità della società di adattarvisi. Per cui spariscono dei lavori ma non è che automaticamente se ne creano degli altri, o meglio per crearne degli altri devi fare delle cose.

Per esempio si deve investire nella formazione, delle persone che sono coinvolte. Questa cosa non è stata fatta dunque la ragione del declino, e della crisi profonda dell’occidente è risiede proprio in questo nel non essere riusciti a rimettere insieme le punte più veloci della società e quella grande parte che resta esclusa da questa spinta in avanti.

In questo affermazione possiamo ritrovare una posizione esposta da M. Heidegger e poi ripresa con altre sfumature da Severino e Galimberti sulla tecnica.

Si, la mia idea è che il rapporto tra tecnica e uomo è fondamentale anche da un punto di vista filosofico, ovviamente la tecnica in senso lato, non solamente il progresso. Il confronto tra chi dominerà il domani è un confronto del tutto aperto, il progresso e tecnologia hanno dominato sull’uomo. Si sono sviluppati e hanno svolto la loro corsa indipendentemente dalla capacità di indirizzarli da quello che sarebbe stato più auspicabile per avere una crescita più armonica.

Ed è la ragione per cui Azione tiene insieme i due elementi, i cardini del Partito D’Azione, la libertà individuale, che è motore potente dello sviluppo ma anche la cura della società, che non automaticamente riesce a seguire la modernità.

Nel libro c’è, per riprendere una espressione di Weber, un politeismo di valori equiparabili, al punto che la confusione ci ha resi incattiviti oltremisura. E lo abbiamo fatto a priori, senza individuare un vero nemico. Anche se poi nel testo lei delinea bene quelle che sono le pecche, i mostri, per renderceli antichi e attuali insieme, gli da una veste mitologica. Ma come abbiamo fatto a diventare così?

Perché il nemico siamo noi, e a volte non lo riconosciamo, infatti il nemico è nell’incapacità di chiudere una stagione di conflittualità che dura dalla fine della seconda guerra mondiale, e si è espressa sempre con toni ultimativi sulla democrazia. Siamo l’unico paese al mondo dove le elezioni sono sempre un confronto che mette a rischio la democrazia. Questa cosa viene ripetuta continuamente, a destra come da sinistra. E facendo questo abbiamo militarizzato ed estremizzato l’elettorato, così oggi è frustrato e incavolato perché  vota quello che rappresenta le sue preoccupazioni ma senza dare soluzioni. E a furia di non dare soluzioni i leader dopo un po’ crollano sotto il peso delle promesse, delle cose non fatte.

E l’elettorato invece di chiedersi se sta votando per le ragioni sbagliate, forze che ripetono quello che l’elettore pensa ma non offre delle soluzioni percorribili, così finisce con l’odiare le persone che elegge. Tutto quello che accade, un mondo che cambia rapidissimamente ci mette sotto pressione, diventa difficile il nostro rapporto con l’ambiente con l’educazione con l’altro da se, tutto questo grande mutamento viene subito e poco capito. Nasce così lo sconforto e finisce a pensare: era meglio prima. Questo è già successo, nella storia, tale e quale. Quando la società agricola dell’800 si trovò a dover accettare l’arrivo della rivoluzione industriale. Il quel frangente non riuscire a governare il cambio di passo ha dato origine alla nascita del nazionalismo e dei regimi autoritari.

Quando succede questo avviene una sorta di alienazione che spinge a desiderare l’uomo forte, chiunque possa riportare indietro nel tempo, ad un tempo ideale.

Questo è un sentimento diffuso nella società anche oggi.

Nel libro “Orizzonti selvaggi”, cercavo di spiegarlo. Si idealizzava la società di quando si viveva in campagna in una situazione armoniosa, semplice, facile, comprensibile, mentre oggi persino i vaccini vengono messi in discussione come elemento della modernità.

La verità è che siamo spaventati dalla società in cui viviamo e ancora di più da quella in cui vivremo.

Leggendo il suo libro mi è tornato in mente, sempre relativamente ai temi economici e alla borsa, quando l’economista Federico Caffè provocatoriamente suggeriva in un saggio di eliminare la Borsa, quasi come tutela da un mercato finanziario senza regole, in nome di un sistema che possedesse ancora un pochino d’umanità. Da lì siamo finiti alle bolle finanziarie.

Questa cosa l’ho spiegata nel mio primo libro, la bolla finanziaria serviva per cosa? Di fronte al declino del reddito della classe media per consentire un aumento dell’indebitamento della classe media, ci fu una dose di morfina. Mentre la classe media si impoveriva, le frontiere si aprivano a vertigine e, per continuare a stimolare i consumi e la domanda di nuovi mercati si è aperta la strada dell’indebitamento collettivo.

Questo è avvenuto molto di più negli Stati Uniti dando origine alla bolla finanziaria.

Sostanzialmente ha costruito una possibilità di indebitamento per una classe che non ha più soldi. Quindi l’ho chiamata una grande iniezione di morfina, perché addormentava, mentre si perdeva benessere reale.

La presentazione avverrà alle Ogr, le ex officine grandi riparazioni, un luogo simbolico del lavoro che ha cambiato destinazione. Torino da ex capitale del paese e capitale dell’industria è alla ricerca allo stesso modo di una nuova dimensione, di un rilancio sociale e economico. Lei cosa suggerisce?

Teorizzo nel libro che il declino italiano è lo stesso delle città. Una fragilità derivante da quasi cinquant’anni di malanni diventati cronici.  Conosco Torino dalla mia prima esperienza alla Ferrari, la città ha una spiccata vocazione tecnologica e manifatturiera, che si riflette poi nel terziario avanzato, un know how che non può disperdere.

Se fa un lavoro fortissimo sui centri di ricerca, con il Politecnico, il lavoro sulle nuove tecnologie, puntando sull’automotive, investendo sull’incrocio tra digitale e la manifattura può tornare ad essere nuovamente competitiva.

Si deve aggiungere un punto che adesso è divenuto fondamentale: ed è la questione ambientale e il come affrontarla per il futuro. Dobbiamo gestire la transizione ambientale in maniera virtuosa e proficua. La proposta che ho fatto è di allargare il perimetro d’impresa della 4.0 rafforzandolo con tutti i beni e le tecnologie che fanno riferimento all’ambiente e all’economia circolare.

Questo potrebbe dare una spinta importante. Bisogna aiutare quei centri di competenza che uniscono ricerca, Università e imprese, facendole finanziare dallo Stato. Un esempio da seguire sono le fraunhofer tedesche, grandi organizzazione di ricerca applicata. Tradotto è la trasformazione di idee originali in innovazione facendo collaborare le imprese, creando benessere per la collettività e per il rafforzamento dell’economia.

Questa credo sia il futuro per Torino, i soldi del recovery fund vanno indirizzati in questa direzione.

Tra le priorità abbiamo proposto, un grande piano di investimenti, impresa A5.0, ambiente, poi ricostruire l’asse della formazione, con gli istituti tecnici, le borse di studio per gli specializzandi, e il servizio sanitario nazionale. Queste azioni ben condotte possono ricostruire una fiducia profonda nelle città e nel paese.

In questo libro mette gli italiani sul lettino dell’analista. Dice: Siamo un paese piccolo, vecchio, sconfitto e ignorante. Sempre più diviso e sempre più arrabbiato. Arrabbiato con tutti – l’Europa, gli immigrati, i fascisti, i sinistri, i meridionali, i giovani, i vecchi, i ricchi e persino il Papa – tranne che con se stesso, come comunità che ha compiuto, anche se inconsapevolmente, scelte sbagliate.

Noi siamo spesso consapevoli dei difetti italici, il problema vero è che questa consapevolezza non si trasforma in azione. E uso la parola Azione a proposito. Riunire politica e pensiero è importante quanto rimettere insieme politica e tecnica di governo. Questo per dire che i mostri si possono sconfiggere.

La politica non si fa per il partito, si fa per il bene del paese.