Da qualche anno al Castello di Miradòlo si svolgono esposizioni di pittura, alcune a cura di Vittorio Sgarbi. Mi era già capitato un paio d’anni fa di visitarne una sua dedicata al Tiziano e l’avevo trovata molto ben realizzata in ogni aspetto. Di recente ho avuto modo di vedere anche questa su Caravaggio e il suo tempo, che resterà aperta fino al 10 aprile prossimo.
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Ne scrivo qui perché, nonostante siano molte le cose che mi allontanano dal personaggio mediatico “Sgarbi”, trovo che in occasioni come queste riesca a trovare un equilibrio raro tra erudizione e divulgazione. Equilibrio che riesce a favorire riflessioni utili anche in persone non addentro alle questioni più specialistiche.
Nel caso specifico, si pone l’accento sull’importanza rivoluzionaria di Caravaggio come pittore che sposta il centro dell’attenzione dal tema del “bello” a quello del “realismo”. In sintesi, preannuncia sia con i metodi sia  con i concetti quella definitiva rivoluzione che sarà rappresentata dall’immagine automatica, la fotografia, oltre due secoli dopo. Sgarbi fa direttamente cenno all’approccio “fotografico” del Caravaggio nel video di accompagnamento della mostra. In questo mettendosi in sintonia con le ricerche sperimentali di David Hockney.

Tra l’altro la vicenda dell’oblio dell’opera caravaggesca, iniziata subito dopo la sua morte e, nonostante l’influenza che ebbe su molti pittori successivi, arrivata fino alla metà del Novecento può, a mio parere, essere anche interpretata come l’inizio del conflitto, ancora in corso, tra immagini tradizionali e immagini automatiche per il predominio nell’immaginario collettivo.

In apparenza oggi sembrerebbero prevalere in modo straripante le seconde, tuttavia ciò avviene solo quando sostituiscono, imitandone i meccanismi, le prime. Una storia infinita.
Fulvio Bortolozzo

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