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La Rivoluzione è femmina, ed è appena cominciata. A sostenerlo, la giornalista Giuliana Sgrena, ospite della serata intitolata “Dalle Rivoluzioni violate allo Stato islamico”, «partendo dal presupposto -ha introdotto Alessandro Pirisi – che la libertà, se non è condivisa da tutti, non è niente più che un privilegio. Ed è perciò doveroso, per noi giovani che viviamo in Paesi in cui i diritti fondamentali sono acquisiti, dare uno sguardo a realtà in cui il processo democratico non è ancora compiuto». 
Ed in effetti, azzeccata è risultata la scelta dell’interlocutrice  cui chiedere lumi, dal momento che la Sgrena, inviata del Manifesto dal 1988,  figura tra i massimi esperti del mondo arabo, anche se il suo volto è noto al grande pubblico generalista più per essere balzata agli onori delle cronache nel 2005. Il suo rapimento da parte della Jihad Islamica a Bagdad tenne infatti col fiato sospeso gli italiani a lungo e si concluse con il tragico epilogo di una liberazione da parte dei servizi segreti italiani, che costò però la vita al dirigente del Sismi Nicola Calipari, portando con sé uno strascico di polemiche. «In Medioriente –ha esordito Sgrena- siamo di fronte purtroppo oggi ad una promessa non avverata di laicità ed eguaglianza, tradita da infiltrati nei movimenti di protesta che lo hanno reso la sua antitesi». La giornalista lancia l’allarme nel suo libro intitolato “Rivoluzioni violate. Primavera laica, voto islamista”, che compie una analisi accurata dell’attuale fase di controrivoluzione cui si assiste nei Paesi Arabi a causa dell’ascesa islamista. «Dopo la caduta delle dittature, spesso laiche -ha sottolineato la giornalista- il processo di democratizzazione, nell’intento di qualificarsi come il più inclusivo possibile, ha previsto la legalizzazione dei partiti di stampo religioso, che sotto molti aspetti tendono a far coincidere le leggi dello Stato con quelle della morale islamica».
La Sgrena ha immediatamente sgomberato il campo da paragoni inopportuni con la storia italiana . «Chi sostiene- ha affermato Sgrena- che anche in Italia abbiamo compiuto il medesimo percorso con l’affermarsi della Democrazia Cristiana nel dopoguerra, dimentica che nel nostro caso si è assistito ad un processo di secolarizzazione che altrove invece manca».
L’ascesa di queste forze politico-religiose islamiche di stampo oscurantista, agevolata secondo gli esperti dalla disponibilità di petrodollari e dal sostegno di una televisione dall’impatto di Al Jazeera, è culminata nella creazione di un clima antilibertario e soprattutto misogino. Già, le donne. «Sono state loro –sostiene l’inviata- insieme ai giovani, le protagoniste indiscusse della Primavera Araba, scendendo in massa nelle piazze e rivendicando diritti, dignità e parità di genere». Tra i Paesi misogini più insospettabili una piazza d’onore spetta all’Arabia Saudita, prezioso alleato dell’Occidente. Là alle donne è vietato guidare un’auto e le bambine non figurano neppure nell’albero genealogico, per fare in modo che l’egemonia economica resti confinata all’universo maschile. In altri Paesi le donne non possono neppure presenziare ad un funerale o divorziare, salvo dietro pagamento del coniuge. «La Rivoluzione al femminile –ha proseguito Sgrena- ha determinato una crisi nel maschio arabo, che ha visto messo in discussione il proprio concetto di virilità e ha determinato di proposito la vittoria dei partiti di stampo islamista».

Tuttavia, secondo la giornalista, non tutto è compromesso, anzi. Nonostante la deriva teocratica tendente a limitare drasticamente e progressivamente le libertà al femminile, il libro della Sgrena raccoglie infatti voci di donne che non si arrendono.
«Quella in corso -ha sostenuto- è una rivoluzione che necessita di tempi lunghi e rispetto alla quale è troppo presto per alzare bandiera bianca e dichiarare estinta la speranza di un reale cambiamento». Anche se dal mondo giungono purtroppo segnali inquietanti di segno opposto. «In Afghanistan -ha ammesso Sgrena- sembra che addirittura si stia trattando per un ritorno dei talebani al potere» Ma in una situazione di questo tipo, quale può essere il ruolo dei giornalisti inviati di guerra nel testimoniare la realtà? In alcuni Paesi infatti non è possibile recarsi, mancano fonti dirette e quelle indirette non sono spesso attendibili. «L’informazione -ha precisato Sgrena- rischia di dare una visione parziale. Sempre più spesso il giornalismo di guerra sta diventando un processo di copia e incolla da internet a causa della precarizzazione della professione giornalistica e il fenomeno dei giornalisti al seguito delle truppe rischia di risolversi in pura propaganda di guerra».
E sulle speranze riposte in un Islam politico moderato «non esiste un Islam politico moderato –ha risposto Sgrena ai suoi interlocutori-. Dal momento che non è laico. Può invece esistere un Islam religioso moderato, in grado di svolgere una funzione molto importante nell’arginare il jihadismo e il terrorismo».
Barbara Virga

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