Fragili, fragili, sottili, colorati, pensati per essere visti, esposti ad ogni tipo di intemperie e sguardi. Interpreti di un messaggio grafico simbolico dovevano svolgere il difficile compito di sintetizzare in un immagine sola una meta, un sogno e un luogo.
Sono i manifesti pubblicitari di: Visitate l’Italia! Promozione e pubblicità turistica 1900-1950 a cura di Dario Cimorelli e Giovanni Carlo Federico Villa esposti fino alla fine di agosto nell’aulica sala del Senato di Palazzo Madama.
Carta e calamita, in un allestimento indigente, pauperistico persino d’informazioni. Una paretina in cartongesso colorata che si snoda nella grande sala e accoglie uno in fila all’altro senza soluzione di continuità 150 manifesti appuntati con tondi di calamita. La maggior delle stampe hanno indubbio carattere e forza tranne, sembra incredibile, gli unici dedicati a Torino, tra cui uno del grande Armando Testa che si schianta sul muro delle Porte Palatine in un rosso cupo dove la città sparisce in un retrostante invisibile.


La trasformazione del paese ambiva allora a farsi ricettacolo turistico, le città cercavano nella voce di un manifesto un’identità attrattiva, coagulavano le loro bellezze in elementi di iconografia di sottofondo per la felicità di soggetti sorridenti posti in primo piano per richiamo ed emulazione.
La domanda è, saranno riusciti all’epoca della loro uscita, a portare una vocazione nuova ai luoghi prescelti. Magari molti hanno suscitato curiosità e desiderio, stuzzicato la possibilità di una felicità completamente nuova tra riviere, laghi e montagne.
Se sull’onda del viaggio culturale i luoghi inizialmente più ricercati sono i monumenti e le rovine dell’antichità – con Roma, Pompei e la Sicilia protagoniste assolute -, lo sviluppo dei mezzi di trasporto, primo tra tutti quella stessa ferrovia che oggi si afferma solo per i ritardi, porta all’Italia una posizione di preminenza a livello europeo, affacciandosi verso un richiamo turistico in grado di superare l’oceano, con l’alta borghesia americana che invade lo Stivale scegliendo come mete Capri e Ischia trasformatisi in veri santuari della vacanza di lusso.

Tra i manifesti ne spicca uno in cui una coppia, ritratta tra le nevi di Cortina, dove l’uomo indica una cima con un gesto alla Musk, ma oltre a facili analogie l’insieme delle opere ha il sapore di un viaggio idealizzato. I disegni sono frutto di una indubbia maestria e sapienza compositiva, i pantoni netti dei colori mettono in risalto paesaggi e lungo mare non ancora feriti a morte dalla furia cementizia palazzinara del dopo guerra, annientatore di qualsivoglia bellezza.

Se proporre la mostra possiede originalità la scelta della sede non appare particolarmente appropriata. Non vi è attinenza alcuna con il palazzo, ne con le opere esposte in modo permanente. La mostra appare un intruso, un gioco in minore, che poco si accorda alla maestà aulica di Palazzo Madama e al tipo di proposta che offre al pubblico.
Potrebbe essere un’ospitata, per rifarsi ad un linguaggio televisivo, invece, come un parente ingombrante vi rimarrà sette mesi e, per quanto graziosa, la mostra non possiede la grazia opportuna, elemento che difficilmente porterà all’agognato sbigliettamento.

Il dramma delle risicate risorse per allestire un progetto importante è il convitato di pietra che accoglie il visitatore mentre osserva una giovane fanciulla a cavallo di un delfino rosso in quel di Rimini. Immagine guida scelta appositamente per la città, anche senza essere tra i gelati e le bandiere non fa più scommesse sulla figlia del droghiere.