Il teatro è il luogo della finzione e ieri in quella mandorla accogliente che è il Teatro Gobetti è stato presentata la XXXVI edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino che dal 9 al 13 maggio 2024 andrà nuovamente a prendere casa in quel capannone mai rinnovato, che non riceve una mano di bianco da un secolo, del Lingotto Fiere.
Sul palcoscenico la commedia ha rispettato i suoi atti con i saluti, i ringraziamenti doverosi, gli interventi delle autorità politiche, finché il momento che da cuore alla pièce è arrivato portando sul palco il nuovo direttore: la giornalista e scrittrice Annalena Benini. La sua era la voce che si voleva ascoltare. In sorte e responsabilità la presentazione della kermesse, le novità, le idee, le persone, le tematiche. Lo chassis su cui è appoggiato e viaggia quello straordinario carrozzone che è il Salone del Libro.
Elegante, sobria, pienamente allineata al mood torinese, la Benini ha esposto il suo progetto, in equilibrio su invidiatissime Louboutin rosa cremisi.
Il discorso incuriosiva per un vuoto d’enfasi, per l’emozione rigorosamente nascosta, seppur sciolto e un poco cantilenante, corretto, con l’unica sbavatura di un consiglio per gli acquisti ad un podcast, estremamente oggettivo, chiaro, senza un’oncia di retorica in eccesso. Quasi straniante. Un comportamento inaspettato, anche perché in città non la si conosce davvero. Porta con se un’aura di mistero. Poco o nulla trapela dal volto o dalle espressioni, una sfinge garbata, cortese senza affettazione.
Fino a che non è tornato in mente un suo articolo uscito nell’agosto di quest’anno. E una fessura nel coperchio del vaso che racchiude la personalità della direttrice si è schiusa.
Scrive. “Perché ci sono molti modi per difendersi dall’invadenza, e ci sono anche molti modi per non dire la verità, se non si vuole, e io ammiro chi ci riesce saltando tutti i convenevoli”.
Eccolo l’asso nella manica, il coup de grâce, scritto in chiusa al pezzo. Una definizione e un programma esistenziale affilatissimo, probabilmente il migliore possibile per resistere sulla tolda del Salone, una beneducazione necessaria a priori e una sublime strategia per difendersi dall’invadenza con la conseguenza di poter omettere questioni scottanti o difficili, saltando appunto tutti i convenevoli.
Una linea che le ha permesso di scegliere sette sezioni, come peccati o sorelle, che ha messo in programma curatrici e curatori che ricordano l’espressione di un amichettismo editoriale da conventicola romana che si incontra nel ninfeo del Museo di Villa Giulia a Roma per lo Strega, talvolta amaro o dolcissimo se lo si vince. Incuriosisce sapere se i sette troveranno agio, disponibilità e collaborazione dietro le quinte del rigido e chiuso mondo della combriccola sabauda. L’idea dice la Benini è che siano come rubriche di uno stesso giornale, forse un po’ dimentica che i giornali risentono la mancanza grave del loro pubblico: i lettori.
Ecco i prescelti. Per l’editoria ci sarà Teresa Cremisi, per l’arte Melania Mazzucco, il Romanzo è nelle mani di Alessandro Piperno, la sezione detta Romance, scrivere romanzo sentimentale o romantico avrebbe abbassato la credibilità del genere, è stata affidata a Erin Doon, infine per la sezione leggerezza Luciana Littizzetto, dove leggerezza può, volendo, essere attribuito sia alla neo curatrice che alla sezione. Per l’ambito dell’Informazione ci sarà Francesco Costa, mentre il cinema avrà la regia di Francesco Piccolo. Ai sette samurai del Salone il compito di ideare e guidare incontri-evento durante le giornate del Salone in armonia con il programma generale.
Il clima della mattina della conferenza stampa è stato raggiante come le foto di rito, abbracci e sorrisi, un frisson d’infatuazione per la novità e per l’incondizionato amore che la città riserva da sempre al suo Salone.
Adesso alla nuova squadra tocca il lavoro duro, severo, difficile, di riuscire a infondere ad una delle manifestazioni più seguite e importanti del paese quel quid di magia che permette all’incantesimo di rinnovarsi ogni anno, per farci sentire nel punto esatto dove cultura e organizzazione combaciano, il rarissimo genius loci, quello spirito del luogo che la città sa rappresentare e presentare al mondo come nessuno altro.