23 canzoni che percorrono una carriera ventennale, un doppio cd live che racconta di una lunga tournée in Germania realizzata con musicisti straordinari e complici, un DVD che è la sintesi di un concerto registrato alle OGR di Torino, là dove una volta si riparavano le vaporiere. Cantautore e chitarrista, della sua prima vita di capostazione delle ferrovie, Gianmaria Testa conserva la semplicità e l’immanenza del viaggio che nel suo ultimo lavoro ‘men At Work’ è in un certo senso protagonista. Lo abbiamo incontrato e intervistato nella sua unica tappa a Torino
Lei ha racchiuso 23 canzoni,molto aperte, in movimento continuo, per frontiere che non ci sono più però qualcuno le porta sempre dentro. Ci sono vecchie canzoni che lei non aveva mai pubblicato, ho ripreso un passaggio molto interessante da una di queste:” passiamo il Brennero senza sosta di frontiera, ognuno portandosi dentro, aperta, la sua frontiera. Che cos’è la frontiera per Gianmaria Testa in questo momento?
La frontiera è qualcosa che abbiamo tutti, è individuale, quel piccolo ambito nel quale noi ci muoviamo. Questa frontiera può essere aperta, iperprotetta o chiusa e in questo caso diventa banalmente individualismo. Quando invece siamo disponibili all’apertura diventa umanità…. Per esempio sono convinto che da questa crisi si potrà uscire in modo collettivo, ognuno aprendo un po’ la sua frontiera. In momenti di crisi è comprensibile che ognuno tenda a difendere il proprio piccolo presunto privilegio che la frontiera contiene, io penso che questo non porterà a niente il disco si intitola men at work anche per questo: è necessario veramente il lavoro di tutti, uomini e donne, cercando di fare bene ciò che uno sa fare e con l’idea di farlo bene per gli altri, aprendo quella microscopica frontiera che è in noi.
Possiamo dunque cominciare a pensare e probabilmente è anche il messaggio che arriva da men at work non soltanto a noi ma agli altri?
Sarà inevitabile, perché la nostra salvezza individuale sarà impossibile. La salvezza, se ci sarà, sarà collettiva.
Le traiettorie delle mongolfiere… cosa ha ispirato questo brano?
A Mondovi, c’è la scuola italiana di volo in mongolfiera, mi capita di vederne spesso 7/8 in cielo, sembrano ferme ma in realtà si muovono, tu le guardi abbassi lo sguardo e quando lo rialzi ti sembrano sempre ferma ma in realtà si sono spostate.. Le considerazioni che ho fatto guardando le mongolfiere che apparentemente sembrano immobili ma che in realtà hanno dei loro movimenti e spazi che cambiano fra di loro mi ha fatto pensare come metafora ai rapporti tra le persone. Noi ci incontriamo, come ad esempio qui, oggi, e dopo non saremo più uguali, saremo cambiati, un po’… quel tanto che basta da farci partecipi a questo bellissimo gioco che è l’umanità, la capacità di interagire e influenzarci gli uni con gli altri. Il problema è che siamo tutti sulla difensiva, c’è molta aggressività in giro; in realtà secondo me, dobbiamo guardare alle cose che ci accomunano piuttosto che a quelle che allontanano e prendere quell’influenza di cambiamento che ci arriva da ogni incontro. Questo vuol dire Le traiettorie delle mongolfiere.
Nel brano Cordiali Saluti riprendi un estratto del libro di Andrea Baiani sul tema dei licenziamenti
Il libro di Andrea Baiani del 2004 racconta la storia di un licenziatore, uno che di mestiere inviava lettere che pensava fossero cordiali ma in realtà infingarde e violente perché in realtà cercava di indorare l’amara pillola del licenziamento, magari a cinquantenni che non avrebbero trovato più nulla e che sarebbero stati non solo esplulsi dal mondo del lavoro ma anche dal contesto sociale. Ispirandomi a quel libro ho scritto Cordiali saluti che è una lettera di licenziamento ma in verità ogni volta che la canto spero sia il licenziamento del licenziatore.
Come ci si sente a mettere vent’anni di carriera in un disco, è un punto di arrivo, di riflessione, di crescita?
In realtà non era questo l’intento, io non riesco a dare una collocazione temporale a tutto questo tempo passato a suonare in giro. Mi rendo molto più conto del tempo che passa vedendo i miei figli crescere, le mie difficoltà dovute all’invecchiamento. Questo disco è nato perché mi andava di mettere nero su bianco una bella esperienza condivisa con i musicisti che suonano con me Giancarlo Bianchetti, Nicola Negrini e Philippe Garcia, che oltre che bravissimi musicisti sono anche degli amici che mi hanno permesso, per esempio, di fare dei concerti senza nemmeno dover creare una scaletta; si parte con la prima che annuncio, poi si segue una specie di curva emotiva che a me sembra di precepire fra noi e il pubblico, questo mi andava di fare. Non c’era nessun intento riassuntivo.
Perché allora reinserire vecchie canzoni mai pubblicate ?
Più che altro ho inserito delle canzoni che non hanno più una casa. I primi dischi sono stati rieditati alcune volte e non sono più pubblicati quindi, anche se in rete ormai si trova tutta la musica in definitiva la musica ha come casa un disco, alcune di queste canzoni l’hanno ritrovata.
Un cantautore scrive per 20 anni poi passa da Parigi, che ama questi suoni.. e poi si ritrova a dire:”forse il lavoro che ho fatto era interessante”. E’ una consapevolezza che uno ha oppure da un momento all’altro si trova sulla scena internazionale senza accorgesene?
C’è un breve momento. Siccome sono una persona assolutamente ordinaria, la prima volta che ho cantato all’Olympia ho pensato “ecco finalmente hanno capito”, in realtà no, questo è stupido da parte mia pensarlo, in realtà riflettevo che ho avuto la fortuna di un avere un palcoscenico che proietta molto più in là di altri palcoscenici però dopo questo brevissimo momento di euforia che è durato pochissimo, mentre camminavo per le strade di Parigi, mi sono reso conto che ero rimasto uguale prima ma ha aumentato il senso di responsabilità io credo che chiunque abbia acquisito con il tempo qualche diritto a qualche audience questo aumenti il rapporto etico che si ha con quello che si dice. Se uno dice una stupidaggine nel piccolo ambito di una famiglia, ferisce qualche paio di orecchie ma se lo dice davanti ad una telecamera o palcoscenico è più grave, questo secondo me comporta un’assunzione di responsabilità; per esempio verso la propria microscopica verità.
Perché il cantautore ha soprattutto una grande responsabilità etica e morale?
Secondo me si, tra l’altro la responsabilità di non chiudere gli occhi di fronte alla realtà che vive, perché le canzoni non si può pensare che si possano ricondurre solamente a della merce.
Come di fa parlare dell’attuale? Visto che ci provano tutti e anche con dei risultati discutibili?
Io scrivo molto lentamente e spesso mi chiedo se le mie parole siano inutili ma io veramente non penso mai di scrivere per gli altri, scrivo per me e scrivo quando non riesco a dire a me stesso con delle semplici parole, quello che vorrei dirmi, raccontarmi un’emozione positiva o negativa che sia, se poi quello che mi racconto corrisponde anche ad altri io ne sono contento. Non scrivo mai una canzone perché piaccia a qualcuno. Noi, tutti quanti, non riusciamo a descrivere il nostro essere semplicemente con delle parole, ci illustriamo in qualche modo alternativo, possiamo fare una fotografia, scrivere un libro, una poesia, dipingere un quadro, abbracciare qualcuno, piangere, ridere abbiamo delle manifestazioni che vanno a sopperire la mancanza di parole che abbiamo davanti ad un’emozione che ci coinvolge, io scrivo canzoni, nulla di più, nulla di meno..
Hotel Supramonte, rifatta. Perchè questa canzone? Per raccontare una storia umana?
Perchè secondo me ha delle grandi eredità che De Andrè ci ha lasciato, per me forse è la più significativa, è stata l’estrema dignità con cui ha affrontato il suo essere cantautore, senza mai scendere sotto il livello della dignità. Si possono amare più o meno le sue canzoni ma lui non le ha mai considerate merce. Hotel Supramonte, secondo me, è simbolica di questa dignità perchè è stata scritta da lui con Massimo Bubola subito dopo l’episodio molto triste che lo ha coinvolto insieme a Dori, quello del sequestro e dei cinque mesi di prigionia. In questa canzone non c’è mai, nemmeno per un istante una vendetta, neanche verbale. C’è soltanto il racconto di quel momento complicato. Anche in quel momento ha mantenuto questa dignità che per me rappresenta un’eredità molto grossa che ci ha lasciato.
Qual’è l’obiettivo che tu, un cantautore, si pone quando cerca di mettere nero su bianco e poi in musica un’emozione, qual’è il rischio che possa non essere compresa?
Quando scrivo una canzone, non penso mai a chi la ascolterà tranne che ai miei figli perchè dovranno conviverci. Per chiunque sia genitore la posizione della barra etica è semplice ed è : i miei figli devono convive con quello che sono, quello che faccio e ciò che scrivo. Potranno farlo o no ? Se mi rispondo di si quella canzone verrò licenziata. Non basta che piaccia a me o al pubblico, è non è questione di giudizio; loro possono anche dire che questa canzone non gli piace ma non devono mai doversi vergognare di quello che è stato scritto. Devono capire che c’è una microscopica verità con la quale devono convivere, con la quale possono non essere daccordo.
Tante canzoni, dici di scrivere molto lentamente, ce n’è qualcuna scritta sull’onda di una emozione meno meditata? Tu dici che scrivi con molta calma, c’è sempre una visione dall’alto, di osservazione.
In realtà ci sono canzoni ragionate con l’intento di raccontare un’emozione, altre scaturiscono e quando invece scaturisce qualcosa senza la mediazione di un ragionamento Ti rendi conto che racconta un’emozione, ecco quella è una canzone che ha un valore aggiunto perchè è come stringere la mano ad un conoscente o abbracciare una persona a cui vuoi bene, è diverso, possono essere due gesti onesti ma in uno c’è più calore che nell’altro.
Che sensazione dà capire che quella canzone piace, piace a tutti?
Questo a me non da particolare sollievo, io sono contento quando scrivo una cosa che mi riporta all’emozione che l’ha generata perchè per almeno due giorni sono sereno, è quasi terapeutico, è tirar fuori qualcosa che hai dentro, come poterla guardare e soprattutto poterla riutilizzare.
Hai detto che le canzoni, anche quelle che hai già interpretato sono reinterpretate a loro volta nel corso degli anni, non conta più dunque la traiettoria quanto piuttosto la direzione che un tempo forse non era così importante
E’ vero, però per fortuna le mongolfiere non sono dei Jet, subiscono e devono tener conto della volubilità dei venti e questo le rende umane, comprensibili e accessibili a noi. Anche noi siamo così, cerchiamo di dare una direzione in tutto questo marasma, più o meno forte. E’ una bella sensazione.
Risuonarla dal vivo da sempre la solita emozione? Molti dicono di non voler suonare sempre le vecchie canzoni.
Questo a me non succede, però io non riesco a togliermi quel senso di ridicolo che sempre mi prende ogni volta che salgo sul palcoscenico, c’è una quota di esagerazione che non mi appartiene. Se avessi potuto sarei stato scrittore o pittore, insomma avrei fatto delle cose che non necessariamente avrebbero previsto la mia presenza. C’è un senso di esagerazione che non mi corrisponde, però poi alla fine salgo sul palcoscenico tranquillamente senza mai avere l’ansia , io non faccio spettacolo, canto come dicevo prima, la mia microscopica verità sono contento, ovviamente, preferisco l’applauso agli sputi o alle verdure, però non è una condizione che cerco necessariamente.
Il tuo estratto Lasciami andare ha come tema lasciar andare qualcosa, chi lasci andare?
E’ una canzone molto personale sull’inutilità degli addii definitivi. L’età che avanza ha come effetto collaterale evidente, che sempre più spesso capita di dover salutare qualcuno, io quando mi trovo in quella situazione io provo grande imbarazzo perché c’è una di sproporzione enorme tra quella che è stata la vita insieme a quella persona, magari un amico e questo tuo essere lì a salutarlo, non ho nemmeno il conforto di pregare, non sono credente, ho cercato di dirlo in questa canzone, forse come dicono alcune tribù dell’africa gli addii non sono previsti, si va e basta. Negli addii conta soltanto il tempo vissuto insieme il resto è inutile.
Come matura un cantautore, ci pensa due volte quando scrive, è più riflessivo?
Per me è maturato il metodo, quando un’emozione mi chiede di essere trasformata in canzone, io prendo la chitarra e la canto dopodiché la lascio stare, anche a lungo. Questa canzone bussa ogni giorno, poi bussa più fievole fino a smettere. Quando smette riprendo la chitarra e cerco di ricordarmi che cosa avevo scritto, qualche volta non mi ricordo cosa avevo scritto e mi dico che non ne valeva la pena.
Ma quando chiama un’emozione?
Può essere nella quotidianità più assoluta, io so di cosa non sono capace : descrivere la grande gioia o la grande tristezza perché sono sufficienti a loro stesse , nel quotidiano c’è una quantità di situazioni emotivamente rilevanti che valgono la pena di essere raccontate.
Tu parli di frontiere personali che non dovrebbero esistere ma in realtà esistono, in questo viaggio che racconti con queste auto a nove posti. E’ sicuramente importante per un musicista, non tanto viaggiare ma creare un’esperienza comune con i propri musicisti girando l’Europa, come vede il futuro Gianmaria Testa?
Chiunque sia padre o madre è obbligato dall’esistenza dei figli ad immaginare un futuro Viviamo un’epoca in cui è molto difficile immaginare anche il dopodomani, questa è la grande differenza con la mia epoca, con il mio essere giovane, tutti noi nei ‘70 ci si immaginava, sbagliando, un futuro migliore del presente e questo ci rendeva il presente molto più vivibile, questa è la difficoltà che io vedo adesso nei ragazzi, l’impossibilità di immaginare un futuro migliore del presente,questa costante precarietà rispetto al presente. Come sarà il futuro non lo so; sono per forza costretto ad essere ottimista e realista la realtà attuale mi fa dire che o interverranno grandi cambianti fra la gente e dovremo essere in tanti ad intervenire in questo cambiamento se no c‘è una china che è pericolosa.
Sei in partenza per un lungo tour, è questa la vera fatica del cantautore?
E’ il lato B della medaglia, tutto questo viaggiare è diventato per me che sono nato contadino e poi sono diventato capostazione quindi stanziale è diventata la vera fatica però ripagata.
Pensi mai a quando eri capostazione?
Ci penso spessissimo, al di là del lavoro, non avendo mai immaginato di fare il capostazione da bambino, c’era e c‘è ancora un’umanità tra colleghi , solidarietà… si stava bene…
Giamaria Testa è soddisfatto, sereno felice?
Soddisfatto no, perché non ho l’obbiettivo di vincere qualche cosa per cui.. sarei abbastanza sereno ma ho la tendenza a cercare questa serenità nel piccolo microcosmo della famiglia invece non sappiamo tutti quanti che non possiamo essere interamente sereni se a fianco a noi c’è tutta questa di sproporzione. Almeno, per quanto mi riguarda io non riesco a essere totalmente sereno.
Luciana Bassano
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