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<Il blocco ha conseguenze positive e negative. Tra le positive il fatto di rafforzare lo spirito di lotta, tra le negative l’efficacia e la dipendenza per tutti i macchinari che venivano costruiti negli Stati Uniti di cui non si trovano i pezzi di ricambio>.
Così il Che nel 1964 risponde, seduto in un appartamento a Manhattan, alle domande della giornalista americana Lisa Howard. <Sembra quasi che mi stia invitando a passarle informazioni riservate – racconta nei suoi Diari quello che sembrava realmente essere un duello verbale -, ma nonostante le sue intenzioni, continuiamo ad essere due nemici>.
<El bloqueo económico, comercial y financiero que provoca enormes danos humanos y económicos a nuestro paìs debe cesar>: dichiara ufficialmente Raùl Castro il 17 dicembre 2014 al Consiglio di Stato cubano.
Le svolte, a Cuba, capitano sempre a Natale; o almeno così pare.
Il 25 dicembre del 1998, infatti, a 90 miglia dalle coste americane, sull’isola rivoluzionaria, combattente, comunista, atea, ci si preparava ad accogliere Giovanni Paolo II.
Il 17 dicembre 2014, grazie alla mediazione del primo Papa gesuita della storia (buffo pensare che anche Fidel è andato a scuola dalla Compagnia di Gesù), il presidente americano Obama e Castro junior hanno deciso e annunciato di ristabilire le relazioni tra i loro Paesi. La dichiarazione dei due leader non elimina ancora l’embargo commerciale dello Stato a stelle e strisce – per quello bisogna aspettare il Congresso e le lunghe, inevitabili discussioni che ne seguiranno –, ma ristabilisce le relazioni diplomatiche interrotte dal 4 gennaio 1961.
Quello che non era riuscito agli inizi degli anni ’80 a Ronald Reagan e al generale veterano della Guerra Fredda Vernon Walters, è stato possibile, sotto la supervisione di papa Francesco in qualità di fata madrina, a un Presidente americano sconfitto nella politica interna, che cerca di affermarsi in quella estera, e al fratello minore del Jefe della rivoluzione contro il corrotto Fulgencio Batista, su cui in pochi avrebbero scommesso.
<L’embargo ha fallito – ha dichiarato Obama -, ha contribuito a impoverire l’isola. L’approccio è stato sbagliato e Cuba ancora oggi è governata dai Castro e dal partito comunista. Di contro la politica americana delle sanzioni ha ridotto la capacità d’influenza degli Stati Uniti sia nei confronti dell’isola che verso gli altri paesi dell’America Latina. Ora bisogna cambiare atteggiamento: dove possibile collaboreremo insieme e dove non siamo d’accordo, ad esempio sulla questione dei diritti umani e della democrazia, affronteremo le differenze in modo diretto>.
Nonostante l’ira degli yankee anticastristi e della destra americana, <si apre un capitolo nuovo nella storia delle Americhe>. Un primo passo verso una grande svolta che archivia la Guerra Fredda; i rimasugli della cortina di ferro scesa attraverso il continente si sono diradati. Una volta rimosso il velo ricomparirà l’ambasciata americana e Cuba verrà cancellata dalla lista dei paesi che sponsorizzano il terrorismo, le rimesse dei cubani emigrati negli Usa saliranno da 500 a 2000 dollari a trimestre e i turisti americani potranno portarsi dietro beni per un valore pari a 400 dollari, compresi 100 per sigari e rum. Sicuramente ci vorrà del tempo perché il cambiamento si estenda alle istituzioni e alla società, ma il primo passo verso il superamento di un provvedimento ormai anacronistico è stato fatto.
Il 17 dicembre ha inaugurato un nuovo paragrafo e ha chiuso un intero romanzo di miti rivoluzionari e grandi ideali, di combattenti per il popolo e di eroi della libertà, del Líder máximo e dei guerriglieri.
Con il 17 dicembre si chiude l’era del Socialismo o muerte! e si apre quella del Todos somos americanos.