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a cura di Marzia Capannolo

Riflessioni di inizio stagione intorno alla rivoluzione
della POP ART

Sarà perché il rientro dalle vacanze è sempre velato da una pungente nostalgia, sarà perché probabilmente il calendario della fisiologia applicativa dell’essere umano – alle nostre latitudini – fa coincidere questo mese con il vero subcosciente capodanno da cui si riattivano progetti e nobili intenzioni, fatto sta che tutti noi, con le dovute e debite eccezioni, abbiamo stabilito che il mese di settembre segni l’inizio di un nuovo passo, di una novella stagione, di un rinnovato sguardo verso il mondo che ci attornia e che ci attende sulla soglia dell’immediato prossimo futuro. E dunque si scruta l’agenda culturale della Torino dell’Arte e saltano all’occhio immediatamente alcuni appuntamenti che, appena inaugurati, o prossimi all’apertura, rendono necessaria la riproposizione della consueta, retorica e fatidica questione sulla natura stessa dell’Arte. Noi che la studiamo, la promoviamo, la osserviamo cercando di carpirne valore e meccanismi, siamo figli di una rivoluzione di senso (e contenuti) stravolta dalla fenomenale accelerazione che il secondo – secondo dopoguerra ha impresso sul tempo, costringendo i nostri stomaci mentali a prescindere dal legittimo spazio di necessaria digestione: astrazione, espressionismo astratto, Arte Pop, minimalismo, concettuale, l’Arte tutta dei nostri giorni; con una sola notazione da evidenziare, ovvero che la totalità dell’Arte del nostro passato è arte Oggi, e che quasi nulla dell’Arte di Oggi è stato Arte nel nostro passato. Un processo asimmetrico che non prevede reciprocità e che sfrontatamente è divenuto dogma nell’arco un mitico decennio dello scorso Novecento. È tra la metà degli anni ‘50 e la metà degli anni ’60 del XX secolo che il concetto di Arte, già messo a dura prova dalle sperimentazioni delle Avanguardie e dalle provocazioni firmate “Duchamp”, viene sabotato, distorto e azzerato dall’esigenza di esplorare un nuovo territorio, ovvero il mondo della produzione massificata e intensiva che penetra inesorabile e silenzioso tra le mura delle case ricostruite a immagine e somiglianza della società post conflitto bellico, attrezzate per accogliere universalmente i simboli e i feticci della rifiorita economia dei “Paesi vittoriosi”.
Vinti e vincitori. Mentre il mondo cambia e si teme che sbarchino gli alieni (siamo negli anni ’50) la bandiera a stelle e strisce sancisce il rito di fondazione di un Nuovo Pianeta che non ha più bisogno di guardare altrove per costruire la propria identità, ma che comincia a disegnare una autoctona fisionomia facendo tesoro di quanto osservato nel giardino dei cugini dell’Europa e scommettendo sulla nascita di un mondo nuovo. C’è da inventare un idioma, una lingua composta da idiotismi e locuzioni che segnatamente parlino con accento americano. C’è da costruire un nuovo vocabolario di immagini, un lessico di Arte e Opere d’Arte capaci di svettare nell’Olimpo della classica pittura del vecchio continente. Ci si assembla un universo di segni e gesti che coniano il linguaggio introspettivo dell’espressionismo astratto, uno scavo rapido e implosivo dentro il concetto di definizione di Arte. Si allestisce un nuovo bagaglio di strumenti di lavoro che affianchi pennelli e colori, che si sovrapponga a pennelli e colori e che, velocemente, sostituisca pennelli e colori. Nel mentre Jasper Jonns inciampa su una scopa, che null’altro è se non una scopa che intercetta la pittura, interviene sulla tela, modifica l’impasto e spinge finalmente l’osservatore, dopo secoli e decenni di assenza di domande, a chiedersi “perché?”. L’Arte, quando ancora era in grado di intrattenere un rapporto dialogico con il pubblico, si era sempre domandata “Cos’è?, cosa significa?”. Improvvisamente, l’Arte pone un nuovo interrogativo, accettando ineluttabilmente che la definizione del soggetto e del significato possano non appartenere più all’Opera. Robert Rauschenberg si serve di materiali di fortuna a complemento dei canonici strumenti del mestiere, e nulla di ciò che attiene all’uso quotidiano può più esimersi dal divenire mezzo e soggetto dell’Opera. È nata l’Arte Americana!
È la fine degli anni ’50 e non sono in molti a capire che il mondo non sta cambiando, ma che è già cambiato. Fra questi pochi e formidabili visionari c’è un italiano, emigrato negli Usa negli anni ’40 con la valigia piena zeppa di fiuto e di intuizioni. Si chiama Leo Castelli, per gli americani “LIO” è colui che scopre che la nuova lingua dell’Arte made in USA è la glorificazione del quotidiano, dell’oggetto di uso comune innalzato a icona dei tempi moderni, è l’uso abituale di giornali, rotocalchi, frullatori, aspirapolvere e televisioni che invade l’immaginario della riservata e ben vestita vita domestica dei nuovi americani. È il trionfo dell’Arte POPULAR; per comodità e immediatezza di comunicazione, già allora funzionava meglio l’abbreviazione POP ART!
Leo Castelli era un triestino nato nel settembre del 1907 (il 4 settembre per la precisione) e a lui si deve lo sdoganamento dell’Arte dalla riverenza – spesso sterile – verso gli Artisti del passato. Conquista concettuale e metodologica che spesso oggi sfugge proprio ai protagonisti dell’Arte contemporanea.
Oltre a Jonns e a Rauschenberg, Roy LichtensteinArtista al quale la Gam di Torino ha recentemente dedicato una grande mostra – conquista subito l’attenzione di Leo Castelli perché ingigantisce i personaggi di fumetti letti e stra-letti dagli americani, cristallizzandoli in quella austera sospensione tracciata a contorni piatti sulla tela, creando un universo di icone moderne, le icone della banalità del quotidiano. Andy Warhol invece fatica a vincere le iniziali resistenze del gallerista dell’avanguardia newyorkese e allestisce quindi una sua personale fabbrica di prodotti artistici che attraverso la seriale sottrazione della riconoscibilità della mano dell’Artista, ne ottiene l’esaltazione: è la legge del mercato della società dei consumi, è la nascita dell’Arte Moderna, è la ragione che soggiace oggi a un calendario così vario e diversificato di eventi e mostre d’Arte
Le mostre POP di Torino:

  • GALLERIA IN ARCO Piazza Vittorio Veneto 3 TORINO
    dal 24/09/2015 al 28/11/2015 Vernissage: 24/09/2015 – ore 18,30
    LOW CULTURE IN A COLORFUL WORLD: LICHTENSTEIN / RAUSCHENBERG /WARHOL.
  • 8 Gallery Andy Warhol… in the city
    Corte Ristorazione, via Nizza 230, da sabato 7  febbraio a domenica 8 marzo, ingresso libero

E il 27 settembre ne parleremo insieme durante la Colazione d’Arte “Andy Warhol il divo dell’Arte nell’era del POP”.
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Marzia Capannolo
Art Advisor presso MC Studio Art & Cultural Advisory
http://marziacapannolo.wix.com
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