Ritratto di Silver Veglia

Per una lunga vita, com’è stata la sua, nessuno ha pubblicato sue foto o interviste. Poco o niente. Caso unico nell’Italia da vetrina. Non perché il protagonista non interessasse ma perché al protagonista non interessava per nulla apparire. Evitava media e giornalisti come la peste.
E quanto aveva ragione. Si sapeva che in gioventù era bruno e dai capelli ondulati, che era un bell’uomo, che era tenace, che amava smisuratamente il suo lavoro. E soprattutto, che sapeva farlo meglio di chiunque altro. Figura già mitica da lungo tempo, affascinava Operai e Capi di Stato (non facendo differenza tra loro) con la sua affabilità, la sua riservatezza, con i suoi tocchi di simpatia, arguzia, umorismo, gusto del paradosso. Talvolta un po’ amarognoli com’è nello spirito di Langa. Sempre umani e positivi, come un esorcismo dei cattivi pensieri.
Possedeva l’educazione degli insegnamenti familiari e una leadership naturale, ma anche le radici di cultura di un’area che seppe mirabilmente combinare valori antichi, valori di pietra (di Langa, appunto) e modernità fluida.
Si sapeva anche che non ammetteva alternative all’autofinanziamento integrale della sua sempre più grande azienda, e che rifuggiva – come la peste e i giornalisti – i “Merger & Acquisition” ovvero la crescita drogata per via finanziaria, l’assimilazione con conseguente distruzione del capitale più importante: la personalità dell’Impresa, la sua indecifrabile ma autentica personalità, somma di sudore e intelligenze.
Illuminato anche in questo. Plasmò dalle rovine del dopoguerra, nella scia dei fondatori Pietro e Giovanni, l’unica vera azienda che sia in primo luogo italiana e al tempo stesso autenticamente internazionale. EI FU, e la citazione non sembri fuori luogo. Nessuno che io sappia, ha ricordato – d’altronde pochi lo sanno –che ad Alba nacque l’unico Imperatore romano d’origine piemontese: Elvio Pertinace. Cresciuto alla scuola di Marco Aurelio, imperatore, militare e filosofo, Elvio, valoroso, incorruttibile e tenace, come sottolinea il nome che gli fu attribuito, regnò per un breve periodo ma fu esemplare. Chissà se Michele Ferrero avrebbe gradito l’accostamento? Scompare con lui, Michele, la leggenda dei grandi Capitani d’Impresa italiani. Da Ferrero a Olivetti a Mattei, per quanto diversi potessero essere. I giovani di buona volontà e di talento, che non mancano neppure oggi – io li vedo – pur nell’Italia viziata e sfatta, hanno un modello al quale ispirarsi. Forse è vissuto a lungo anche per questo scopo: passare il testimone.
A suo figlio Giovanni, portatore di un nome famigliare anch’esso denso di carisma, vanno i voti e le speranze di una valorosa gens e di una Nazione incerta che ha bisogno più che mai di buoni esempi e forse sta finalmente iniziando a comprenderli e vorrebbe seguirli.

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