Maison de Couture Walter Dang 3

Maison de Couture Walter Dang

In questi giorni è in corso la Torino Fashion Week (27 giugno – 3 luglio 2016), la settimana dedicata al design ed alla ricerca nella moda – quest’anno alla sua prima edizione –  organizzata da TMODA, con la direzione artistica dello IAAD. L’evento si articola in sette giorni di sfilate, presso lo spazio MRF, l’ex area industriale di Mirafiori in Corso Settembrini 164, dove più di 100 fashion designer emergenti, provenienti da 15 paesi europei, presentano una personale capsule collection seguendo i temi di contemporaneità, qualità e innovazione.
Ospite d’eccezione di TFW#1 è Walter Dang, stilista eclettico d’origine franco-ispano-vietnamita, protagonista della moda indipendente e d’avanguardia del capoluogo piemontese, con una vocazione verso le culture e i popoli del mondo.
Lo abbiamo incontrato nel suo atelier torinese all’interno di Palazzo Priotti al n. 52 di Corso Vittorio Emanuele II: ‘mise degagé’ firmata Antonio Marras – uno dei suoi stilisti preferiti – ed un’empatia fuori dal comune.
D. Cos’è per lei la moda? Ci racconta qual è stato il suo percorso formativo?
R. La moda è il mio equilibrio nella vita, per me è una necessità. E’ un grande mondo.
Prima di tutto una professione che può avere molte sfaccettature ed un campo d’azione a 360°.
Normalmente non bado alla tendenza, al colore, alla particolare tecnica sartoriale, l’importante è che gli abiti prendano forma e che siano indossabili.
Ho iniziato con la sartoria. Ho conseguito diversi diplomi in Francia, in tutto 7 anni di studio, fino a diventare tecnico della moda per poi scegliere l’indirizzo ‘haute couture’. Ho avuto la chance di essere l’assistente personale del grande maestro Pierre Cardin e questa esperienza è stata molto importante per la mia formazione successiva.
Ho proseguito negli uffici stile di note case di moda come Thierry Mugler, de Castelbajac, Alaïa e Courrèges.
Mugler, è un architetto, un “costruttore di vestiti”. Non ha mai utilizzato pences nei suoi modelli. Se capitava di dover modificare un abito era necessario smontarlo e rifarlo da capo. Alaïa è uno dei sarti più visionari al mondo. Da de Castelbajac ho appreso la tecnica di lavorare assemblando forme geometriche, a partire da quadrati, rettangoli e cerchi di stoffa.
Da Courrèges ho imparato una modellistica semplice, che, nonostante misure elementari e non comuni, porta l’abito a cadere perfettamente sul corpo.
Dopo tante esperienze diverse ho sentito il bisogno di riflettere su me stesso piuttosto che lavorare in collaborazione. Oggi lo “stile Walter Dang” è eclettico. Nasce dalla sintesi di nozioni e suggestioni apprese nel tempo dai grandi stilisti che ho frequentato.
D. Afferma che Torino è la sua “maison”, perché ha scelto proprio questa città?
R. Inizialmente avevo due città in mente Torino e Roma.
Ho scelto Torino perché la considero una culla di creatività, cultura e storia, ma anche di innovazione e design, nella quale si poteva immaginare di lavorare in termini di avanguardia anche nel settore moda.
D. Come ha inizio il processo creativo per le sue opere sartoriali?
R. A partire dal manichino e da un tessuto creo direttamente tagliando e fissando le diverse parti dell’abito.
Spesso ho presentato il mio metodo ‘live dressing’ in eventi performativi dedicati.
Normalmente non creo utilizzando disegni o bozzetti. Eccezion fatta per la collezione sposa e prêt-à-porter in cui è necessario trasferire informazioni ai modellisti che successivamente dovranno realizzare gli abiti.
Le creazioni “couture”, invece, sono pensate e assemblate ‘live’.
Sentire e creare d’istinto è il metodo che più caratterizza il mio lavoro.
Se poi dormo male sono ancora più creativo.
Se avessi potuto avrei preferito realizzare i miei abiti esclusivamente di notte. Dalle 20 della sera alle 3 del mattino, lavorando senza essere disturbato. Ascoltando musica o guardando (senza vedere) un film. Quando lavoro non guardo le immagini, le ascolto. Spesso ho pensato: “come avrei fatto se fossi stato cieco?” Così ho provato e sono riuscito a tagliare una camicia a occhi chiusi. O meglio ho ottenuto una forma da cui poi è nata una camicia. Sono convinto che tutti quelli che amano questo mestiere siano in grado di farlo.
Io l’ho visto fare da Azzedine Alaïa: toccare con gli occhi chiusi un abito sul manichino e trovare tutti i difetti possibili. La prima volta pensavo fosse in trance, invece era proprio il suo modo di operare. A volte, nella fase preparatoria di una sfilata, annusava i manichini come se fossero dei fiori: se ne spostava uno significava che quello era da rifare. Nessuno ti insegnava nulla si doveva imparare dai gesti e dai comportamenti di ogni giorno.

Walter Dang

Walter Dang

D. Cosa intende per Prêt à Couture, termine da lei coniato per definire il suo stile?
R. Mi piace tornare nel 2003 quando ho inaugurato il mio atelier a Torino.
In quell’anno fui selezionato nell’ambito del Premio Giovani Talenti Internazionali organizzato da AltaRoma (lo stesso che dall’anno successivo si chiamerà “Who Is On Next?”) in cui 6/7 stilisti (ora 10) venivano scelti per presentare la loro visione dell’Alta Moda.
E’ qui che ho lanciato la mia idea di Prêt à Couture. Inizialmente nessuno ha compreso questo termine. Neanche l’establishment della moda. Volevo una linea d’abbigliamento che a livello visivo si avvicinasse all’Haute Couture, mentre a livello sartoriale fosse a metà tra la tecnica industriale e l’Alta Moda, ossia con rifiniture realizzate a macchina e perfezionate a mano.
Avrei dovuto brevettare il termine. L’importante è sapere di essere stato il primo!
Ancor oggi una parte della critica sostiene sia una parola inadeguata. Grandi giornalisti di moda come Anna Wintour, l’autorevole direttrice di Vogue, l’hanno, invece, utilizzata. Anche case di moda di fama mondiale come Delpozo, Dior, Schiaparelli hanno lanciato collezioni Prêt à Couture.
D. Qual è stata la collezione o l’abito che più ha amato?
R. Tutte. Ma appena passate non mi piacciono più. Odi et amo.
Adesso mi viene in mente la rigorosa collezione LUMI (AI 2010), in cui avevo giocato sull’austerity anni ’40 tipica dei paesi del nord e della cultura protestante. Quest’anno mi sono stupito di me stesso quando mi sono reso conto (sfogliando le riviste dal dottore perché io normalmente non compro riviste) che la moda dello scorso inverno proponeva proprio questo stile. In effetti era una collezione molto all’avanguardia concepita nell’impeto creativo. E a cui non avevo più pensato…
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D. Crede nel rapporto sinergico tra arte e moda? C’è un artista a cui si è ispirato spesso nella sua carriera?
R. Si, ci credo. Da sempre arte e moda si influenzano vicendevolmente. Nei tempi moderni mi vengono in mente contaminazioni e collaborazioni tra artisti e stilisti come nel caso di Sonia Delaunay che lavorò nel campo della moda per tutti gli anni ’20, dedicandosi contemporaneamente anche alla pittura, considerando i due campi strettamente connessi; Salvador Dalì che negli anni Trenta collaborò con Elsa Schiaparelli, Chanel con Picasso, a cui si ispirò anche Yves San Laurent per le sue collezioni. Anche Lucio Fontana, negli Anni Sessanta, applicò la poetica del “taglio” ad abiti sartoriali.
Nell’estate 2006 creai un’intera collezione dedicata all’arte contemporanea piemontese.
Mi lasciai ispirare da Carol Rama, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto. Dedicato alla Venere degli stracci di Pistoletto realizzai un abito con differenti pezzi di jeans.
Mi sono spesso ispirato all’arte che mi emoziona per le mie creazioni. Mi riferisco alle opere di due pittori catalani. Per le collezioni PE penso a Joan Mirò per la dimensione del colore. Lo stesso logo W*, una emme rovesciata con una stellina (W di Walter, per me simbolo di vittoria) è ispirato alla firma stilizzata di Mirò, anche se le stanghette della stellina dell’artista sono quattro e io ne ho tracciate solo tre…
Per le collezioni AI guardo ad Antoni Tàpies, che considero il più grande poeta della pittura contemporanea.
D. Lunedì 27 giugno ha inaugurato la TFW 2016. Può darci qualche suggestione in anteprima sui modelli che presenterà durante la sua sfilata di domenica 3 luglio?
R.  Presenterò la collezione AI 2016 cercando come sempre di includere tutti i tipi di donna. “Tijuana. Ushuaia 22.782” è il tema di quest’anno. Si tratta di un viaggio in auto e in aereo attraverso l’America Latina. Sono partito da Tijuana in Messico fino ad arrivare a Ushuaia in Argentina fermandomi nei villaggi del Belize dove le donne lavorano tutto l’anno a livello sartoriale per realizzare un abito da ballo ricamato da indossare durante la festa del paese. L’abito può essere colorato o nero per le vedove. Sono passato dal Guatemala – le giacche corte ricordano i giacchini da uomo guatemaltechi – per arrivare in Cile – i piumini si ispirano alle giacche dei minatori cileni – attraversando l’Ecuador – in cui le giacche di uomini e donne dei paesi frontalieri con l’Amazzonia sembrano di matrice russa.
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Naturalmente per ispirazione intendo il saper cogliere alcuni dettagli degli abiti di questi territori e reinterpretarli in chiave contemporanea, senza cadere nel folkloristico. E’ un percorso ideale che ho fatto grazie a internet. Il tutto è nato in una notte insonne in cui ho iniziato a giocare con la fantasia prenotando hotel extra lusso di San Salvador a 4000 euro a notte, passando per le piantagioni di caffè del Nicaragua dove si affittano capannoni a pochi euro, arrivando a Buenos Aires e pernottando in una suite da 15.000 euro al giorno. E’ stato un viaggio straordinario della durata di 3 ore.
Che la sfilata abbia inizio!

www.walterdang.com

 

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