Femminismo ai Golden Globe Award.
Siamo alle solite. La storia è  – più o meno – sempre la stessa ormai da 40 anni, trita e ritrita, cambiano solo i personaggi. Perché si sa, del femminismo si può dire tutto, l’importante è non discostarsi mai dalla visione comunemente accettata e politicamente corretta somministrataci da anni fino alla nausea, lasciandoci andare ai più veementi e, spesso, ipocriti dibattiti da salotto in difesa dei più indiscutibili ideali. Altrimenti è meglio rimanere a casa, dove gli unici che possono assistere ai vostri discorsi anticonformisti e scandalosi sono i vostri familiari che vi conoscono e chiudono un occhio.

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Natalie Portman

Con questo si è ben lungi dal criticare il femminismo in sé, ovviamente. Mettere in discussione il valore inestimabile delle instancabili lotte per la parità dei sessi portate avanti negli anni da donne coraggiose assetate di libertà sarebbe oltraggioso, nonché profondamente ingiusto. L’importante è avere la capacità di riconoscere il limite oltre il quale una legittima battaglia diventa mera ossessione ideologica, una presa di posizione radicale priva di qualunque fondamento razionale.
Stavolta il teatrino ha avuto luogo alla serata dei Golden Globe Awards dello scorso 7 gennaio, alla quale molte attrici si sono presentate in abito nero e sguardo serioso in segno di rispetto verso tutte le donne vittime di molestie sessuali. Gesto di lodevole e sincera vicinanza emotiva o puro stratagemma pubblicitario di poco conto. Le luci della ribalta sono accese e tutti applaudono al sentito tributo.
Il tema della serata diventa chiaro quando alcune delle attrici più popolari del momento danno inizio a una carrellata di appassionati e accorati discorsi contro ogni genere di violenza e in sostegno al women power, tra i quali spiccano quelli della regina dell’entertainment americano, Oprah Winfrey (che ancora una volta  conferma il suo status di più grande ammaliatrice di folle degli Stati Uniti) e della fidanzatina d’America Reese Witherspoon, tra l’altro candidata come migliore attrice per il ruolo di Madeline nella miniserie Big Little Lies, aperta denuncia alla violenza contro le donne.

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Oprah Winfrey

La cerimonia fila liscia tra i convenzionali ringraziamenti dei premiati e il continuo scroscio degli applausi. Tutto cambia, però, quando a salire sul palco è la bella Natalie Portman, chiamata a presentare i candidati alla miglior regia. Sull’onda femminista della serata, la star de Il Cigno Nero esordisce con un caustico “ed ecco le nomination interamente maschili” e scoppia la polemica. In sala, registi di tutto rispetto come Steven Spielberg e Guillermo del Toro sembrano alzare gli occhi al cielo (per poi correggere il tiro durante le interviste di rito, appoggiando apertamente la causa dell’attrice; mica scemi) e in rete si scatena la bufera: chi sostiene strenuamente la Portman e chi ne critica l’eccessiva impudenza.
D’altronde si sa, il confine tra ciò è giusto e sbagliato è di rado ben definito. Occorrono notevole equilibrio e capacità analitica per non cadere nella facile trappola della protesta fine a se stessa. E molte donne queste capacità ce l’hanno, eccome. Una tra tutte la meravigliosa Catherine Deneuve, firmataria, insieme a un altro centinaio di attrici francesi, di una lettera indirizzata al quotidiano Le Monde contro la “caccia alle streghe” iniziata a seguito del caso Weinstein.
Ancora una volta l’icona francese da prova della sua saggezza affermando che “lo stupro è un crimine, ma tentare di sedurre qualcuno in maniera insistente o maldestra non è un reato, né la galanteria è un’aggressione del maschio”. Nella lettera si legge inoltre che molti uomini sono stati “costretti a dimettersi avendo avuto come unico torto quello di aver toccato un ginocchio, tentato di strappare un bacio, o aver parlato di cose intime in una cena di lavoro, o aver inviato messaggi a connotazione sessuale a una donna che non era egualmente attirata sessualmente“.

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Catherine Deneuve

La questione è dunque molto complessa, così ricca di sfaccettature che é impossibile minimizzarla a semplice slogan acchiappa consensi: la famosa campagna #meToo, tanto per citarne uno. Non sarà che, nell’impeto della protesta, l’istinto abbia avuto la meglio sulla ragione? Fin dove è lecito spingersi in nome dell’uguaglianza?
Dopotutto, un mondo dominato dagli uomini fa paura, ma altrettanta ne fa uno dominato dalle donne.
Ilaria Losapio

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