In occasione della mostra Animals – A Different Perception, riportiamo parte della del dialogo tra l’artista Pascal Bernier e Patrizia Bottallo, curatrice della personale.
Patrizia BPascal Bernierxottallo: “Accidents de chasse “  è una ricca e articolata ricerca, affrontata dal 1994 al 2000.  Hai creato  quasi un intero  zoo di animali imbalsamati,  che forse per le pose e gli atteggiamenti  non convenzionali,  o forse per  le ferite messe in rilievo da evidenti  bendaggi,  danno la sensazione  di animali ancora in vita.
Un cucciolo di leone,  una giraffa, una coppia di  giaguari, una tigre, un  babbuino,  un piccolo bambi, una volpe,  un cinghiale cucciolo,  tutte vittime di incidenti,  animali  che hai sottratto all’avidità umana, destinati a diventare obsoleti  trofei , decorazioni  simbolo di potere e di successo frivolo e superficiale, per farli diventare manifesto contro la crudeltà gratuita che affligge i giorni nostri.
Qual è stata la scintilla che ti ha spinto a utilizzare una pratica così lontana dalle tecniche artistiche tradizionali per affrontare questo tema?
Pascal Bernier: Prima di fare la serie  degli incidenti di caccia avevo lavorato sostanzialmente sulla piccola infanzia con i giocattoli che le sono associati, e questo nell’ambiente d’un mondo capitalista utilizzando l’infantilizzazione della massa come “arma” di guerra economica. È cosi che ho sviluppato la serie di mummie peluche, specie d’allegoria della preservazione dei cadaveri dei nostri sogni da bambino e antidoto paradossale all’infantilizzazione forzata.
Parallelamente ero affascinato dalle proporzioni che la manipolazione affettiva  prendeva nella vita politica, economica e mediatica. Il ricorso all’emozione istantanea a dispetto della riflessione raggiungeva dei livelli inediti, che da allora non hanno cessato d’aumentare.
È con questa mentalità, seguito ad un incontro con un piccolo cerbiatto impagliato in cattivo stato al mercato delle pulci, che ho incominciato la serie degli incidenti di caccia.
“Curando” il piccolo cerbiatto, mi sentivo tra l’ironia e la compassione forzata. Ironia, perché, cosa c’è di più inutile che curare un cadavere, e compassione, perché il cerbiatto, una volta ricoperto di fasciature, non lasciava più nessuno indifferente. Tutti cominciarono ad averne pietà!
L’uso dell’imbalsamazione, quando questa tecnica non era ancora diffusa nelle arti plastiche, mi permetteva ugualmente di situarmi nella tradizione della Natura Morta, genere di pittura antica che adoro, e di un “pop art” d’avanguardia e il post-modernismo.
I problemi ecologici e ambientali (meno mediatizzati nel 1994) non erano la mia preoccupazione principale.
Da allora, questa dimensione dell’opera si è amplificata nella percezione del pubblico per causa d’aggravamento drammatico di questi problemi nel nostro mondo.
Patrizia Bottallo: Ho trovato originale e sottile la serie WWF (1996-2000), insetti  volanti organizzati in squadriglie,  che richiamano aerei militari di guerre passate, caratterizzati  dagli emblemi delle forze armate della nazione di appartenenza. Hai scelto gli insetti, che tra gli esseri viventi sono quelli con una maggior propensione all’organizzazione sociale e militare, come allegoria del genere umano? Se dovessi riproporre oggi questa ricerca, dato il complicato panorama bellico del nuovo millennio, adotteresti le stesse simbologie o ne utilizzeresti di più attuali?
Pascal Bernier: La scelta inizia
le si è concentrata sulle farfalle a causa del famoso concetto “effetto farfalla” che ha divulgato le teorie dei sistemi non lineari, detti caotici. Grosso modo, l’idea era che una piccola causa può avere grandi effetti o, che il battito delle ali di una farfalla può provocare un uragano molto lontano. Mi piaceva l’idea di fare delle farfalle delle armi segrete per provocare la desolazione climatica dal nemico. (idea irrealizzabile perché appunto sono fenomeni non lineari)
Ho utilizzato degli stemmi della Seconda Guerra Mondiale perché sono i più “iconici” , i più conosciuti per tutto il mondo (le croci tedesche, le stelle americane…). Questo mi ha ugualmente fatto riannodare con la mia infanzia nella quale ho realizzato vari modellini di aerei della Seconda Guerra…
Patrizia Bottallo: Ritengo che i titoli siano tanto significativi al punto da diventare parte integrante dell’opera. Il tuo processo creativo parte da questi ultimi o li definisci una volta terminato il lavoro?
Pascal Bernier: I titoli sono molto importanti per me.
Per non esaurire i loro soggetti, miei lavori sono ambigui e paradossali. Mie immagini ed oggetti sono spesso semplici, basati su un incollatura semantica, e i titoli sono lì per rinforzare il paradosso ed evitare  delle interpretazioni univoche.
Generalmente, il titolo lo trovo dopo. In realtà il mio lavoro lo scopro quando ho finito!
Patrizia Bottallo: Il tuo percorso artistico è caratterizzato da una costante tematica, la natura nella sue diverse manifestazioni (flora e fauna), e l’utilizzo di un vasto spetto di mezzi espressivi, penso al video “flowers serial killer”,  alla scultura “Bipolar Perversions”,  al quadro “Snails Attractors” o alla serie di fotografie “Farm sets”. Questo ha certamente consentito di dare più eco, non soltanto, alla tua creatività ma anche a un profondo senso etico.  Le tue opere si possono definire  espressioni  di un messaggio moralizzatore?

Pascal Bernier: La dimensione morale delle opere è un effetto secondario che non ho pianificato; Quello che m’interessa è il rapporto dell’essere umano alla realtà. Cos’è la realtà? (e dunque la verità?)
Sono gli argomenti più basici (il rapporto alla morte, alla natura, al desiderio, alla paura…) che, da secoli, sembrano portare le risposte più interessanti. Il mondo cambia, ma non gli argomenti di base.
Nel mondo attuale, dove emergono nuove e terrificanti minacce che sembrano mettere in pericolo la sopravvivenza a breve termine della nostra specie, è normale che i miei lavori siano delle “superficie di proiezione” d’interrogazioni etiche e morale generate dal nostro mondo in cattivo stato.
Non ho nessun messaggio moralistico da darle e preferisco piuttosto l’umorismo come via di liberazione mentale in un ambiente sempre più soffocante…

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