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Approdato da poco meno di una settimana al Cinema Massimo di Torino, «Libere disobbedienti innamorate – In between» (titolo originale Bar Bahr) è l’opera prima della regista israeliana Maysaloun Hamoud, una storia ambientata in una Tel Aviv moderna e liberale solo in superficie. Un’opera coraggiosa che è valsa il riconoscimento all’Haifa International Film Festival, oltre che un raro esempio di cinema mediorientale lontano dai soggetti di guerra fortemente stereotipati.
Leila, Salma e Noor sono tre ragazze palestinesi che condividono un appartamento nella città; le prime due, rispettivamente avvocato penalista e dj omosessuale, sono occidentalizzate ed emancipate; l’ultima arrivata invece è una musulmana osservante, sottomessa da un promesso sposo che la picchia e la stupra. Grazie all’aiuto delle due coinquiline, Noor riuscirà a trovare il coraggio per allontanarsi dal suo fidanzato e a conquistarsi anche lei la propria «libertà».
Ma è solo un’illusione. Al di là di questa singola vittoria, il film mostra una generazione perdente contro le discriminazioni di genere, in una società che continua a vivere sulle contraddizioni del mondo moderno: si recita spesso in arabo ma si veste all’occidentale, ci si sballa ma si pretende la purezza, ci si vuole affermare, come future generazioni, ma si è impediti dalla tradizione patriarcale dominante.
E anche il tema dell’emancipazione femminile, pur affermandosi nello stile di vita delle protagoniste, rimane intrappolato, tanto da poter affermare che la «libertà», ad esclusione del titolo, non esiste. Libertà significa affermazione di sé ‘senza se e senza ma’ e in questo film i compromessi sono soffocanti: Leila è costretta a separarsi dal suo innamorato, rivelatosi anch’egli un fondamentalista, Salma non ha altre scelte che fuggire a Berlino e Noor, in una scena di grande poeticità, assapora la propria libertà illusoria andando in contro alle onde del mare.
Il film infine si conclude come è cominciato, in discoteca, suggerendo un’immobilità culturale dalla quale si può evadere solo attraverso un’ulteriore illusione, quella indotta dalle droghe, altro leitmotiv costante, che travia dal mondo ‘reale’ e concede qualche attimo di spensieratezza dal disorientamento della vita.
Federico Biggio
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