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Paola Eynard – Vicepresidente Fondazione Cosso

Ho incontrato Paola Eynard, Vice Presidente della Fondazione Cosso, al Castello di Miradolo a San Secondo di Pinerolo. Se a qualcuno fosse sfuggito il Castello di Miradolo è la sede dove la Fondazione organizza principalmente mostre d’arte.
Da qui son passate le tele di Caravaggio, di Mattia Preti, di Guido Reni senza dimenticare Tiziano e Lorenzo Lotto ed altri importanti nomi.
Da quella che doveva essere un’intervista sull’imminente arrivo dell’esposizione dedicata a Tiepolo e al ‘700 veneto, mi sono ritrovato ad ascoltare una storia, densa di passione, di come questo luogo incastonato al centro di un parco meraviglioso, sia divenuto in pochi anni una sede privilegiata per osservare capolavori della pittura italiana.
Nelle parole Paola Eynard emerge il desiderio di lavorare per un pubblico vasto, anche se non si è studiata storia dell’arte, non significa che non si possa entrare in una mostra con curiosità, piacere. Idea che condivide con la madre, la Presidente Maria Luisa Cosso.

Diceva un poeta riguardo alle mostre d’arte che si “finisce per languire all’ombra del monumentale”, ma in questo caso credo che le cose siano fatte per sortire tutt’altro effetto.
Mi dice che entrambe non provenendo dal mondo dell’arte, ma da quello dell’industria, hanno sviluppato un approccio molto vicino all’occhio del visitatore, bisogna capire cosa si legge, mia mamma che è un meraviglioso imprenditore, è una maestra ma ha dovuto smettere per vicissitudini famigliari, lei passa in rassega tutti i testi dei curatori, le infografiche, e ribadisco che lavora ancora in azienda tutt’oggi, ma visto che questa cosa l’abbiamo creata insieme e la sua esperienza e preziosa per moltissime cose, prima che i testi vengano stampati e diffusi li rileggiamo insieme, con il suo fare garbato, li vira in una lingua meno specialistica, più comprensibile, assimilabile, chiara.
Una mostra che racconta molte cose diverse, deve essere supportata da un linguaggio che non sia astruso, questa è una cosa forse piccola ma che rende l’idea dell’accuratezza con cui seguiamo tutto. Resta fondamentale che il visitatore si porti a casa qualcosa, senza sentirsi sminuito o estraneo.
Non facciamo mostre facili, per esempio se proponessimo Mirò non aggiungeremmo nulla di più, mentre questa scelta di cercare delle mostre di ricerca, o portare sul territorio qualcosa che non c’è mai stato, o stanare un tema un artista poco conosciuto. 

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Il Parco

Il caso emblematico fu la prima ed unica mostra mai realizzata dedicata a Orsola Maddalena Caccia, contemporanea di Artemisia. Figlia del pittore Guglielmo Caccia e badessa del monastero di Moncalvo, piccola città del Monferrato, Orsola fu autrice di uno straordinario numero di opere a carattere religioso e significative nature morte, che di fatto inaugurano il genere in Piemonte. Chiusa tutta la vita in un convento, scoperta grazie ad una storica dell’arte, abbiamo fatto il primo catalogo su di lei, che ha avuto anche successo editoriale. Se qualcuno domani vorrà studiarla potrà partire da qui. E’ con questo spirito che ci muoviamo.
Come nel caso delle donne del Risorgimento, un’idea di mia mamma, ed così che con una ricerca approfondita abbiamo raccontato le eroine di quella stagione storica. Un modo per partecipare alle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia con una mostra ideata per ripensare al ruolo e alla presenza delle donne piemontesi nel percorso storico che ha portato all’unificazione.
La mostra  ricostruiva e sintetizzava l’attività di donne protagoniste del Risorgimento e approfondiva alcuni temi centrali tratti da queste figure e dai loro rapporti personali e sociali: il ruolo corale delle donne indagava nella famiglia e nella società, nelle cospirazioni carbonare e nell’attività politica, nell’istruzione e nell’assistenza, nei salotti e nel dibattito culturale e politico. Unita alla storia delle maestre valdesi, che hanno contribuito a costruire la cultura di questo paese.
Quando mi dice che, noi vogliamo davvero andare al di là di un’opera appesa al muro per quanto importante, chi viene qui deve portare a casa qualcosa, sono di fronte ad un vero spirito di mecenatismo contemporaneo, un slancio che induce fiducia, una qualità invidiabile espressa con la massima semplicità e serietà.
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La Fondazione è nata con precisi obiettivi, era il desiderio della mia famiglia, quello di fare qualcosa di buono per il territorio e sul territorio. Sapevamo che volevamo lavorare nell’ambito culturale, perché è su quello che un paese si pesa, con i giovani al centro del nostro interesse. Per arrivare a loro dovevamo costruire un percorso; raggiungerli è difficile, questo luogo desidera diventare un punto d’interesse per loro, con il tempo ci stiamo riuscendo.
A questo punto la conversazione ruota intorno alla situazione piemontese, molte istituzioni risentono fortemente della mancanza di fondi, e di conseguenza il pubblico di opportunità per conoscere, vedere, partecipare. I biglietti non hanno mai compensato un’iniziativa culturale. Per questo l’impegno economico, oltre che culturale della Fondazione, spicca quasi come un’anomalia. Sono rarissime le realtà industriali che decidono di dedicarsi ai progetti culturali e personalmente credo che sia un segno di riprovevole arretratezza del nostro paese.
Ma la vivacità della mia interlocutrice supera subito il classico cahiers de doléances italico, e mi racconta come è nata la prima mostra. Frutto di una casualità.
La prima mostra è stata una casualità, la Provincia decise di celebrare il pittore Lorenzo Delleani con delle grandi mostre a Torino a Palazzo Bricherasio ad Alessandria e qui perché Delleani trascorse molto tempo in questo castello a dipingere. La contessa Sofia proprietaria del Castello era l’allieva prediletta del pittore. Il Sindaco di San Secondo di Pinerolo ricevette la richiesta di utilizzare il Castello per questa mostra e il castello era da poco divenuto di nostra proprietà. Ma non c’era ancora niente, era a gennaio e la mostra era pensata per ottobre. E decidemmo di sì, era il 2008. Ma deve pensare che il Castello era in uno stato terribile, senza muri di cinta, all’interno era stato depredato di tutto, e il giardino era da rimettere a posto. Abbiamo coinvolto le aziende con cui lavoravamo, che conoscevamo. Ma su tutto abbiamo cercato di indurre passione e siamo riusciti a finire per tempo in un clima e con uno spirito che cerchiamo di portare in tutte le cose.
Chiedo se hanno sostenuto tutti i costi e la risposta è di assoluta franchezza. Si. Tutto.
Ci sono altre cose che stanno dando carattere e una nuova impronta a Miradolo. Vengo a sapere che oltre alle mostre si sono affiancati altri progetti, e tra questi ha un peso rilevante il tema della natura, visto in prospettiva del restauro del parco ormai quasi ultimato. Il parco porta ad avvicinarsi a chi fu un progettista sensibile e innovatore del paesaggio. Uno come Pietro Porcinai. E da questo la mostra delle foto sui lavori di Porcinai, che è nata anch’essa per caso, osando l’azzardo del paesaggio e della fotografia a colori.
Dopo una gita all’orto botanico di Padova ho deciso di inserire una maggior scelta di libri sui giardini.Mi sono innamorata del lavoro di Porcinai, decisamente dimenticato in Italia, e il caso mi ha fatto incontrare un fotografo che aveva conosciuto e fotografato il suo lavoro. Così ci siamo buttati in questa avventura che dopo Caravaggio sembrava davvero impossibile. 
E poi arriviamo a un coinvolgimento delle scuole di un liceo in un progetto proposto da Avant-dernière pensée: il tema  è Ulisse, non personaggio ma “discorso” sull’uomo, sulla sua natura, conteso tra la ricerca dei propri limiti e il desiderio del ritorno, tra la spinta verso la conoscenza e gli affetti e i sentimenti domestici.
Le 11 sale storiche hanno così ospitato una performance in cui la scenografia si è intrecciata al racconto in musica dello straordinario viaggio compiuto da Ulisse. Il pubblico, poteva percorrere le sale, tra voci, archi e un armonium, ma anche grandi vele bianche e installazioni video.
Tutto questo è avvenuto il 18 febbraio, replicato il 19 il 20 si smonta tutto e si parte con l’allestimento della mostra dedicata al Tiepolo. Il vero divertimento, si fa per dire, mi dice che sarà riuscire a collocare due quadri alti 3 metri e 78 cm  e 3m. e 79 cm. per un soffitto alto 3.90, quindi un margine di solo 6 cm. In passato per un quadro di San Sebastiano abbiamo dovuto usare una gru per portarlo all’interno, cosa che abbiamo fatto di notte. 
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Leggere lo spazio, disporre con cura, un posto che non è asettico ma ogni stanza è diversa dall’altra, e un percorso logico che permetta di fruire le opere nel modo migliore. 
Il progetto nuovo, e qui mi concede una piccola anteprima, saranno le audioguide del parco, per raccontarlo e farlo conoscere nelle sue caratteristiche, e una manettiana déjeuner sur l’herbe, possibilmente vestiti. Con una pasticceria della zona hanno composto un cestino con panini e dolcetti e si potrà mangiare sul prato del parco, verrà data anche un coperta per fare un lezioso picnic.
Ma come siamo arrivati a Tiepolo…?
Eravamo partiti con l’idea di dare il via ad alcuni cantieri, e si era deciso di tenere chiuso il castello, fino alla fine dei lavori. Ci arriva una mail del professor Villa, dopo un incontro, ci avvisa che la Pinacoteca di Palazzo Chiericati di Vicenza verrà chiusa per restauri e le opere potrebbero essere disponibili; il Professor Villa conosceva il nostro lavoro,  e…ci ha proposto Tiepolo. A quel punto non potevamo dire di no.
Mentre mi avvio attraverso il parco, ripenso alla lunga e gradevolissima chiacchierata; la grande arte italiana, il giardino, il castello, ci sono tutti gli elementi di una fiaba moderna, e con questi pensieri che sbaglio sentiero e quando finalmente arrivo all’uscita trovo il cancello elettrico chiuso. Telefono per farmi aprire. Questo posto possiede davvero un incanto, forse è il motivo per cui non trovavo più l’uscita.

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