I pigmei Batwa sono i più antichi abitanti della regione dei grandi laghi dell’Africa equatoriale. Attualmente vivono in Uganda, Rwanda, Burundi e Repubblica Democratica del Congo.  Rappresentano meno dell’1% della popolazione di questi paesi, per un totale di non più di 80.000 individui. Alcuni Antropologi stimano che i Pigmei siano esistiti nelle foreste equatoriali dell’Africa per più di 60.000 anni. La foresta impenetrabile di Bwindi, in territorio ugandese, ospita un’impressionante quanto fragile biodiversità, tra cui i famosi gorilla di montagna.
Per migliaia di anni questa foresta pluviale è stata anche la dimora dei Batwa che, in perfetto equilibrio con l’ambiente e le sue creature, sono sopravvissuti cacciando con frecce e trappole e raccogliendo frutti e piante medicinali. In costante movimento, alla ricerca di cibo fresco, i Batwa costruivano ripari provvisori di rami e foglie. Nel 1992 la vita dei Batwa è cambiata per sempre. La foresta impenetrabile di Bwindi diventò parco nazionale e patrimonio dell’umanità per dare rifugio a 350 esemplari di gorilla di montagna. I Batwa furono cacciati e, poiché non potevano rivendicare alcun diritto sulla terra, non ebbero alcun risarcimento.
image010-cucciolo di gorilla di montagna
Diventarono così “vittime dell’ecologia”, “ rifugiati” in un territorio estraneo ed ostile, privati degli strumenti indispensabili per la vita.  Sono, ancora oggi, uno dei gruppi etnici più emarginati dell’Africa. Le società pigmee differiscono enormemente dalle altre presenti sul territorio.     Si tratta di individui incapaci di condurre un’esistenza  stanziale, che cercano un ritorno immediato dal loro lavoro, non accumulano proprietà, non possiedono nulla di superfluo e sono completamente concentrati sul momento presente.
La condivisione dei beni è indispensabile alla sopravvivenza del gruppo e questo fa sì che non vi siano sperequazioni sociali. Le decisioni importanti vengono prese da tutta la collettività , eliminando la necessità di un vero e proprio leader, benché, in situazioni di emergenza, venga accettata l’autorità dei più esperti. Conflitti, problemi o situazioni imbarazzanti vengono evitati semplicemente allontanandosi dalla fonte di difficoltà. La foresta è parte integrante dell’identità Batwa ed è in grado di soddisfare tutti i loro bisogni. Attraverso i rituali, i canti e le danze, essi mantengono il contatto con le entità soprannaturali che la popolano.
image002-Uomo Batwa durante la raccolta del miele
Privati delle risorse indispensabili alla loro vita, hanno praticato il bracconaggio e si sono dedicati a forme minori di artigianato ma, nella maggior parte dei casi, sono diventati mendicanti. Il termine “Batwa” viene spesso usato con significato spregiativo dalle altre culture che li considerano alla stregua di animali. Quasi totalmente esclusi dalle cure sanitarie e dall’educazione, non hanno rappresentanti politici in grado di tutelare i loro diritti. Isolati e discriminati, sono tuttora vittime di intimidazioni e violenze, costretti ad abbracciare nuove fedi religiose e ad adattarsi ad un moderno stile di vita a loro totalmente estraneo.
Nel tentativo di preservare il loro inestimabile patrimonio di conoscenze, la fondazione Kellermann ha acquistato a Bwindi numerosi ettari di foresta ed ha stabilito vari programmi con l’intento di integrare i Batwa nella vita del Paese. E’ quindi possibile accompagnare una piccola comunità Batwa in un’escursione nella foresta, partecipando, insieme ad un folto gruppo di bambini, ad un’esperienza unica ed emozionante. Gli anziani ci raccontano le loro leggende, ci mostrano trappole e tecniche di caccia, ci spiegano come costruivano i ripari, come seppellivano i morti e dove si mettevano in contatto con gli spiriti della natura.
Ci mostrano come si procuravano il miele, come utilizzavano le piante medicinali e come fabbricavano gli abiti di corteccia. I bimbi sgranano gli occhi. A scuola insegnano a leggere e scrivere ma non certo a sopravvivere nella foresta! Le danze rinnovano la gioia di un tempo ma nei loro sguardi leggo solo il rimpianto per la vita che non potranno mai più riavere.
Foto e testo di Anna Alberghina
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