Lucien-Clergue
Sabato scorso, al termine di una sofferta malattia, si è spento all’età di 80 anni il fotografo francese Lucien Clergue, genitore sapiente e prodigo dei Rencontres d’Arles, irrinunciabile appuntamento annuale estivo degli appassionati di fotografia, la più importante vetrina europea internazionale per i professionisti e gli artisti di talento. Di lui si dirà che ha lottato senza sosta perché la fotografia fosse riconosciuta come arte maggiore.
Parodiando Picasso dirò «la Fotografia è più forte di me, mi fa fare quello che vuole». (Lucien Clergue)
Poeta e cantore dell’amata Camargue, ne ha afferrato il sentimento autentico attraverso le mute immagini in bianco e nero dei saltimbanchi e della corrida, la malinconia dei nińos gitani, l’immobilità delle carcasse degli animali morti sotto il vento, le grafie effimere sulla spiaggia. Poi la forza espressiva degli scatti agli amici illustri, Pablo Picasso, Jean Cocteau, François Truffaut. E le inquadrature inusuali e sghembe dei nudi zebrati nel languore sensuale nitido o livido dei giochi di luce e degli strappi di colore, mentre la gioia rotonda delle torsioni di donna raccontano la trasparenza di cristallo del mare, della sabbia e delle onde che accarezzano e si frangono. E lontano, le linee pure e rette delle architetture brasiliane di Oscar Niemeyer. Indimenticabili poetiche della tecnica a gelatina su lastra d’argento, a cui è rimasto fedele per tutta la vita. Una carriera scandita da 800.000 immagini.
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«Questo invisibile che ha commesso la folle imprudenza di apparire» (Jean Cocteau)
La prima passione è stata il violino, a cui ha dovuto rinunciare per scarsità di mezzi. Abbandonato il sogno di un ingresso al conservatorio ed assunto come giovane operario in un’officina di Arles, ha iniziato a scattare fotografie un po’ per caso, facendone il passatempo preferito della pausa pranzo, quella tra le dodici e le due del pomeriggio. Incoraggiato a proseguirne le inedite sperimentazioni dal minotauro Picasso, con cui aveva stretto amicizia sugli spalti dell’arena la mattina di un’afosa domenica del ’53, a soli 24 anni riesce a pubblicare il suo primo libro Corps Mémorable (Seghers Editions), commentato dal poeta Paul Eluard, dallo stesso Picasso e dal regista e drammaturgo Cocteau.

Abbandonata definitivamente l’officina nel ‘60, l’anno successivo, di ritorno da una personale al Moma di New York, inizia la sua battaglia personale per il riconoscimento della fotografia come vera e propria forma di rappresentazione artistica. Alla fine riesce ad istituire, all’interno del Musée Réattu delle Belle Arti, nella natia Arles, la prima sezione di fotografia artistica di Francia. Nel ‘69 si affeziona all’idea del festival e l’anno dopo realizza la prima edizione dei suoi celebri Rencontres Internationales de la Photographie in Arles, di cui ha poi assunto la direzione per diversi anni, grazie alla collaborazione preziosa di Agnès de Gouvion Saint-Cyr, altra figura di spicco della fotografia arlesiana, allo scrittore Michel Tournier e allo storico conservatore dei Musei cittadini Jean-Maurice Rouquette.
L’evento, nato come attività assolutamente pionieristica di diffusione della fotografia presso il grande pubblico, da luglio a settembre, attraverso un percorso articolato e caleidoscopico, promuove dozzine di mostre, prodotte in collaborazione con le migliori eccellenze istituzionali della cultura francese ed internazionale. Di qui sono transitati i maestri Brassai, William Eugene Smith, André Kertesz, Ansel Adams e Robert Mapplethorpe, tanto per citarne alcuni.
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E con la medesima determinazione nell’82 promuove la creazione la Scuola Nazionale Superiore della Fotografia, di cui resta docente fino al ‘99. Primo fotografo ammesso, nell’ottobre del 2007, sotto la coupole dell’Accademie Française tempio e massima istituzione a guardia della lingua nazionale, ha ottenuto i massimi riconoscimenti onorifici di Francia. Innumerevoli gli allestimenti e le retrospettive internazionali a lui dedicate nel corso degli anni. Ha pubblicato più di 75 libri in Francia, USA, Giappone, Germania, Italia, Gran Bretagna, Spagna e Canada. Née de la Vague (Belfond Edition) del ‘68, il più diffuso, ha ispirato generazioni di fotografi. Ultima, la grande monografia del 2007, Lucien Clergue 50 years of photography (La Martinière edition).
“Nessuno come noi, non potrà scordarsi di noi. Il nostro tempo potrà perdersi nell’eterno, solo se riuscirà a distruggere tutte le immagini riprodotte che conserva di sé.”
Per gli appassionati, gli originali, numerati e firmati dall’artista, e stampati nel suo studio di Arles, sono in vendita alla Galerie Patrice Trigano di Parigi e sul sito della figlia Anne.
Tu dici “Cosa devo guardare”. Io dico “Come devo vivere”. È la stessa cosa. (tratto da Il Deserto Rosso, 1964 di Michelangelo Antonioni).
A Torino le fotografie di Clergue  le portò in mostra Luisella D’Alessandro nel 2005, le famose  immagini della «Tauromachia» con lui disse «mi ammalai di fotografia».
Forse chi impara a guardare, impara a vivere. Forse per sempre. Arrivederci Monsiù Lucien.
Barbara Biasiol

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